Avevamo già accennato a Thronebreaker in precedenza, all’interno del nostro articolo su Gwent Homecoming (che potete trovare qui), un gioco di carte innovativo e avvincente che è stato capace di riscuotere enorme successo nelle ultime settimane. A esso è collegato un secondo titolo, quello di Thronebreaker, che è infatti stato rilasciato lo stesso giorno e che riesce ad unire sotto un’unica luce il genere RPG con quello delle carte. Due giochi, due generi differenti, uniti come un’unica medaglia grazie ai due unici punti in comune che hanno: le carte e l’ambientazione. È stato un tentativo riuscito? Scopriamolo insieme!
Una terribile guerra di resistenza
Thronebreaker è un gioco sviluppato sempre dalla CD Projekt RED, la software house polacca che da dieci anni a questa parte ha continuato a farci amare il mondo dei Witcher. Questa storia è addirittura ambientata prima della saga di Geralt of Rivia, in una realtà di guerra e di tradimenti che bagna il terreno dei regni settentrionali come il sangue delle truppe che perdono vita sotto i comandi dei loro generali. È una storia raccontata tramite le voci dei protagonisti di una resistenza, attraverso la storia e il viaggio della regina Meve di Lyria e Rivia, in lotta contro l’Impero di Nilfgaard. Nomi che già forse troverete familiari, perché presenti come fazioni nel gioco di Gwent.
Nè Bene nè Male
Ogni passo è caratterizzato da una moltitudine di scelte dove non vi è Bene o Male, ma solo la vostra morale a guidare gli eventi del gioco. Le vostre scelte, che possono vedere la fiducia nella persona sbagliata diventare causa di morte di centinaia di civili o salvezza verso un futuro migliore. C’è quella zona grigia che tanto è stata amata già nella serie dei Witcher e che in Thronebreaker diventa ancora più importante: quella via di mezzo tra giusto e sbagliato dove il senso di responsabilità diventa atroce, dove le decisioni non ricadono solo sul protagonista ma anche su chi ha intorno, sugli innocenti, su intere popolazioni e sulla guerra stessa. Non esiste una scelta dalla quale uscire con la coscienza pulita, perchè anche l’azione che sembra più innocente può rivelarsi, durante il gameplay, un fatale errore di valutazione.
È un mondo dove una giovane regina deve prendere in mano le conseguenze di un terribile tradimento e dove i suoi territori, appunto Lyria e Rivia, vengono invasi da nere legioni di soldati. Terre dove la razzia è all’ordine del giorno, dove la Temeria, la Redania, e con esse tutto il Settentrione, vengono messe a ferro a fuoco dalla sanguinosa guerra che Nilfgaard porta con sè. Un momento storico in cui chi non soccombe decide di allearsi con il nemico, un momento in cui il giocatore però deve accompagnare Meve nella difficile scelta di preparare la controffensiva. Una scelta che peserà su tutto l’arco della narrazione e che, di volta in volta, saprà porre di fronte al giocatore sfide sempre più intricate.
L’intensità della narrazione
La componente narrativa è il vero punto forte dell’intero gioco. La qualità dell’audio, delle voci e della musica, dell’atmosfera che si crea dietro ogni nuova zona, è sicuramente qualcosa che riesce a scavalcare la grafica a fumetti per regalare un’esperienza profonda e intensa. Non importa che muoversi per le mappe ricorda un po’ Diablo, perchè il risultato finale è di gran lunga più coinvolgente di quanto la grafica, ad una prima occhiata, possa voler suggerire.
La trama è complessa, ricca di personaggi, storie e decisioni, tanto da rendere il giocatore responsabile di ogni vita che incontra sul suo cammino. È un gioco “semplice” dal punto di vista del gameplay, rendendolo adatto a qualunque tipo di utenza, pur senza perdere il tono serio e dark che anima la storia. Una storia che si estende su una mappa del mondo dipinta a mano, dove le sorprese sono dietro l’angolo e la curiosità del giocatore può ritrovarsi premiata con nuovi tesori come punita con severe conseguenze. Dove bisogna costantemente viaggiare alla ricerca di alleati per riconquistare un trono perduto, dove il giocatore non può ignorare nessun dettaglio perché niente è lasciato al caso. L’esplorazione quindi è una parte importante e vitale del gioco, perché è quella che permette di sbloccare nuove aree e scendere in battaglia con un buon mazzo di carte contro i nemici della corona.
Le differenze con Gwent
Non bisogna però farsi ingannare dal Gwent come punto in comune, perché le carte all’interno di Thronebreaker sono spesso e volentieri totalmente differenti da quelle che si possono trovare in Homecoming. Il design è identico, ma le azioni che possono essere scelte variano in base alle sfide che vi vengono offerte e ai puzzle che trovate di volta in volta. Spesso è difficile intuire alla prima quali siano le strategie migliori per vincere perché, a differenza del Gwent, qui non è sufficiente superare il nemico con i punti delle proprie carte. Bisogna invece rispettare gli obiettivi secondari, adattare i mazzi alle sinergie dell’avversario e comprendere il pattern da seguire per poterne uscire vittoriosi. Le carte rappresentano sostanzialmente l’esercito al vostro seguito, i mercenari che potete reclutare o i maghi che decidono di seguire la vostra causa, i vostri generali e le vostre macchine da assedio. Motivo per il quale reclutare carte buone diventa di vitale importanza per la sopravvivenza dell’esercito e il successo della vostra missione.
Il campo di battaglia è sempre lo stesso, come ormai lo conosciamo, un tavolo diviso in due sezioni per player – una per le carte corpo a corpo e una per le carte di combattimento a distanza. Su queste è possibile posizionare tutte le nostre unità, facendo bene attenzione alle diciture di ogni carta e ai requisiti richiesti –giocare una carta sulla fila sbagliata può annullarne del tutto l’effetto e farvi perdere un intero round! Come se non bastasse, avere un vantaggio di carte non è necessariamente una condizione certa di vittoria – perché spesso è meglio sfoltire il deck per avere la certezza di far uscire le carte migliori negli ultimi round.
Un ottima palestra per allenarsi
Forse proprio il fatto che non funzioni propriamente come il Gwent può portare però a una certa ripetitività dei puzzle presenti, lì dove la bella grafica e le meccaniche accattivanti possono lasciare lo spazio a soluzioni spesso facili e fin troppo intuibili. È però un buon campo di allenamento anche per chi esperienze di Gwent non ne ha, permettendo appunto a chiunque di intrattenersi con un gioco sicuramente diverso e facile da apprendere. Le tipologie di carte sono infatti state ridotte a due, dorate e bronzo: le prime sono molto più potenti delle seconde ma meno capaci di combo efficaci. Ci sono certi puzzle che cambiano totalmente le regole del gioco per mettere davanti al giocatore sfide differenti, dove magari si parte in svantaggio di carte o dove ci si può trovare a dover vincere entro un certo limite di tempo.
Promosso con riserva
Ciò che rende Thronebreaker meritevole di una buona prova è il particolare mix tra l’esplorazione, la storia e le modalità di battaglia – passando sopra l’aspetto un po’ cartoon e provando un’avventura nuova, che sicuramente ha i suoi pregi e i suoi difetti. Un’ avventura che ha una buona varietà di obiettivi, mappe e colpi di scena, abbastanza da raggiungere le 30 ore di gioco senza sforzo. È un intrattenimento piacevole, sostazialmente rilassante, se si escludono appunto le decisioni di vita o di morte sulle persone, e sicuramente capace di dare grandi soddisfazioni. È un gioco che, se da una parte può far storcere il naso per la modalità di esplorazione, dall’altra può far divertire per via delle sfide che ti propone e delle scelte che ti forza a prendere.
Ed è anche, per i più nostalgici ma anche per i nuovi, una meravigliosa finestra verso il mondo dei Witcher come ancora non li avevamo vissuti.
Adria J. Necula.