"STEVIE'LL NEVER WALK ALONE"

15 aprile 1989, Hillsborough. La più grande, inspiegabile tragedia del calcio inglese. Persero la vita 96 persone giunte a Sheffield per seguire il Liverpool nella semifinale di FA Cup. Fra quelle 96 persone, c’era un bambino di appena dieci anni, Jon-Paul Gilhooley. Suo cugino aveva nove anni, giocava nelle giovanili dei Reds ed era destinato a legare per sempre il suo nome alla storia di questo club. Si chiamava Steven Gerrard.

«È stata dura quando ho saputo che uno dei miei cugini aveva perso la vita, vedere la reazione della sua famiglia mi ha spinto a diventare il giocatore che sono oggi» (Steven Gerrard, “Gerrard: My Autobiography”, 2006)

Il destino. Sembra semplice e superficiale affidarsi all’idea che tutto sia già scritto per giustificare gli eventi, positivi o negativi, che segnano la nostra vita. Ma la carriera del centrocampista che più di tutti ha rivoluzionato il ruolo negli ultimi anni, è una catena che con la casualità non ha niente a che fare.

Quando il 29 novembre del 1998 si ritrova per la prima volta a guardare la leggendaria Kop dal campo, sulla panchina siede Gérard Houllier. L’uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto. La fiducia in questo ragazzo del Merseyside in pochi anni cresce a dismisura. Arrivano, tutti in una stagione, tre trofei che il Liverpool non vinceva da tempo. Una consacrazione sia in campo nazionale che internazionale, non solo di squadra, ma anche individuale. Quel ragazzo ventenne comincia a dimostrare doti calcistiche non indifferenti, ma soprattutto una personalità tale da imporsi come leader in una squadra fatta di campioni di fama mondiale.

Doti che, senza ripensamenti o dubbi di alcun genere, nel 2003 permettono ad Houllier di sfilare dal braccio di Sami Hyypiä la fascia di capitano e consegnarla a lui, che era diventato il vero idolo della curva più calda e passionale d’Inghilterra. Lui che si sentiva e si sente in tutto e per tutto “uno di loro”. Un’identificazione totale e incondizionata.

Così forte da far gridare al tradimento quando, per la prima volta, le sirene di un mercato fatto di milioni e milioni di sterline, hanno rischiato di compromettere definitivamente il rapporto fra Steve G e la sua Liverpool. Furono persino bruciate le maglie col suo nome. Ma la ragione non riuscì a battere la passione. Il capitano restò a guidare la sua squadra e in panchina arrivò Rafael Benitez. Proprio quando tutto sembrava finito, quella decisione sofferta gli aprì le porte dell’olimpo del calcio.

Gerrard segnava e stabiliva record a raffica, la squadra girava come mai aveva fatto ed il destino lo condusse ad una delle imprese più memorabili della storia del football.

Quella magica notte di Istanbul. Quella finale agguantata anche e soprattutto grazie ad un suo gol, al rientro dall’infortunio, negli ultimi minuti della partita contro l’Olympiakos, decisivo per la qualificazione agli ottavi. Quel 3-0 fulminante del Milan e quel canto. Una poesia d’amore intonata dalla sua curva per dare coraggio e permettere alla squadra di giocare con la spinta necessaria a compiere il miracolo. “You’ll never walk alone” al rientro dagli spogliatoi e una rimonta che portò Steven ad alzare la Champions League.

«Come potrei pensare di lasciare Liverpool dopo una notte come questa?» (Steven Gerrard, 25 maggio 2005, Istanbul)

Quella maglia era cucita sulla sua pelle. Gli aveva regalato trofei e riconoscimenti individuali. Mancava solo un obiettivo da raggiungere: riportare sulla sponda rossa del Merseyside il titolo di campione d’Inghilterra che da quelle parti non si vedeva dal 1990. Stavolta il destino aveva in serbo per lui un finale estremamente amaro.

27 aprile 2014, Anfield Road. Si gioca Liverpool – Chelsea. Se i Reds vincono, il titolo è loro. L’atmosfera è letteralmente da brividi, la Kop è una bolgia come non mai.  Terzo minuto di recupero del primo tempo. Un appoggio banale per Steve G. Una palla da gestire senza problemi. Il capitano scivola, Demba Ba raccoglie il regalo e deposita la palla in rete. Nel secondo tempo non serve a niente l’assalto dei padroni di casa. È finita. Il titolo è sfumato. Una ferita tremenda. Un destino crudele.

A 35 anni, quando si sa di aver perso un’occasione così grande, gli stimoli se ne vanno inesorabilmente. Così il 2 gennaio 2015, in una nota pubblicata sul sito ufficiale del Liverpool, viene annunciato che al termine della stagione Steven Gerrard lascerà i Reds dopo 17 stagioni, di cui 12 da capitano.

Da bandiera intramontabile, continuerà a lottare fino all’ultimo pallone dell’ultimo minuto dell’ultima partita con quella maglia e quella fascia. Ha dichiarato tante cose dopo questo annuncio. Ha confermato quanto sia difficile pensare al momento dell’addio. Ha spiegato che il legame col suo popolo ed il suo stadio non svanirà mai. E lo ha fatto alla sua maniera, senza mezze misure.

«Quando sarò in punto di morte non portatemi all’ospedale, ma ad Anfield. È lì che voglio morire!» 

Ai suoi ordini, Capitano!

Leonardo Fiaschi

Foto: theguardian.com

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