Status Quo – Hong Kong e la democrazia per pochi

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Vietnam, esecuzioni pubbliche

Con questo quarto capitolo che si focalizzerà sulla situazione di Hong Kong dove la democrazia è per pochi, andremo definitivamente a chiudere il controbattuto tema cinese, con cui spesso ci siamo ultimamente confrontati.

Il problema cinese purtroppo non riguarda solo i suoi confini ma anche quelli dei paesi altrui, che, se nella carta si presentano come “repubbliche democratiche indipendenti”, in verità nei fatti, sono solo pedine di una scacchiera tutta guidata e giocata da Pechino. Hong Kong infatti se nella carta si presenta come territorio autonomo nel sud-est cinese, nei fatti ci appare come una terra decisamente diversa.

Una terra travagliata

Tolto il suo passato coloniale sotto varie dominazioni, compresa quella mandarina, oggi è uno dei luoghi più incivili e antidemocratici dell’area asiatica.

L’inizio della fine lo possiamo datare con facilità, 2014, pochi anni fa: lo scoppio di proteste per l’ottenimento del suffragio universale è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso dell’intolleranza. Ad oggi il paese con il suo sistema vigente filo-cinese, garantisce ai cittadini di eleggere parte dei propri rappresentanti nel potere legislativo, solo metà di essi, nessuno in quello esecutivo, che rappresenta uno dei sinodi del potere nella nazione, scatenando la famosa rivolta degli ombrelli e una disobbedienza pacifica collettiva al sistema centrale, eppure, dopo 79 giorni iniziali (divenuti oltre 200 poi) di manifestazioni, nulla cambiò, ma gli animi si accesero sempre più.

Hong Kong
Hong Kong

L’intolleranza e la sfiducia nelle istituzioni raggiunse il suo massimo apice nel momento in cui, esattamente due anni fa, nel marzo 2019, il governo approvò la legge sull’estradizione, che acconsentiva e facilitava accordi bilaterali con Taiwan e Cina. Piccolo passo indietro, la falce cinese oltre che mietere continui silenzi e soppressioni delle libertà, manda in fuga migliaia di dissidenti l’anno, che per scappare alle detenzioni e alle sparizioni forzate del partito, fuggono nei paesi limitrofi più democratici, primi fra tutti ovviamente Singapore e guardate un po’, proprio Hong-Kong.

Se queste due potenze manipolate erano fino a due anni fa ritenute abbastanza sicure come porto di approdo, e la legge sull’estradizione neanche immaginabile, due primavere fa gli incubi di pochi sono diventati drammatiche realtà di molti. Essere estradati in Cina o in Taiwan significava venir riportati nel paese contro il quale ci si era battuti e nei quali si era ricercati, nel paese contro il quale si faceva propaganda di resistenza a distanza, ma significava anche esser fatti sparire da un momento all’altro.

Incubo carcerario

Finire in una carcere cinese equivaleva ad una vita persa nelle torture e nei soprusi continui, poche sono le testimonianze che ci sono pervenute, ma certe e sicure sono quelle che abbiamo: si parla di oltre 10 ore al giorno di lavori forzati in industrie disumane (spesso stampate multinazionali, Samsonite prima fra tutte), turni di lavoro incessanti, routine quotidiane interminabili e violenze disumane da parte del personale delle prigioni.

Nessun rispetto, nessuna pietà, qualche possibilità di vita in più solo per i carcerati europei che non devono morire a nessun costo, zero sconti a tutti gli altri.

I racconti ci parlano di sveglia alle 4 tutte le mattine, una ciotola di riso come primo pasto (e spesso unico), interrogatori che superano le 19 ore di fila, un buco comune nel pavimento per i bisogni che spesso si infetta date le assenti condizioni igieniche, la continua prostrazione al sistema ( «Onorevole guardia, sono il prigioniero …”, è la formula con la quale interloquire ad un addetto alla sicurezza), corsi di rieducazione comunista e prove da superare per guadagnare qualche Yen a fine mese (la “corsa dei punti” viene chiamata), per non parlare delle torture fisiche, prima fra tutte la sedia di metallo, alla quale lo sfortunato viene legato in posizioni anomale e lasciato a perire per settimane, “soprattutto chi violava le regole del carcere tentando il suicidio veniva rinchiuso nella sezione 14 della prigione.

Qui le guardie spruzzavano prima in aria dello spray al peperoncino, poi colpivano il detenuto con scariche elettriche al petto, alle gambe e al collo, lasciando che la sostanza urticante si posasse sulle ferite. Quando i detenuti rientravano a forza nella loro cella, tenevano al collo un cartello con scritto: “Mi vergogno di ciò che ho fatto”, racconta il quotidiano online Tempi che chiude con questa ultima dichiarazione “La Cina ha firmato la Convenzione Onu contro la tortura ma non l’ha mai fatta rispettare. Le telecamere venivano sempre spente quando le guardie dovevano pestare o torturare i carcerati”.

Le proteste di Hong-Kong si rivolsero essenzialmente a questo e alle dimissioni di chi se ne occupò, ossia Carrie Lam, leader dell’esecutivo del paese, e nonostante la tranquillità dei manifestanti, la repressione è stata feroce sia da un punto di vista fisico, con l’uso di idranti e strutture militari di assalto da parte delle masse armate, che soprattutto mediatico, nella rete, con continue minacce e incentivi alla resa.

Come colpire il popolo

Ma facciamo un passo indietro, la legge con Pechino venne approvata dall’esecutivo ben prima di quel fatidico marzo 2019, non si sa di preciso quanto, ma di sicuro era nei piani da mesi, se non da anni, e anche al momento della sua conferma non fu diffusa al pubblico, ma anzi, venne nascosta il più possibile dalla luce dell’opinione pubblica, inoltre i crimini che questa condanna sono di “terrorismo”, “sovversione” e “collusione con paesi stranieri”, ossia nulla letteralmente, o meglio, nulla di incontrovertibile.

Free Hong Kong

Termini vaghi, vaghissimi, che però prevedono pene estreme, tutto fuorché astratte, facilmente mal interpretabili dalle autorità e giudicabili arbitrariamente dal potere giudiziario. Come se ciò non bastasse, il giornale online osservatoriodiritti.it ci spiega chiaramente che “La legge sulla sicurezza prevede, infine, l’imposizione della giurisdizione del governo cinese anche su individui non residenti ad Hong Kong. Ciò significa che qualunque persona, ovunque si trovi nel mondo, può essere accusata di aver violato la legge e essere quindi arrestata e processata se si trova sotto la giurisdizione cinese anche solo temporaneamente”.

La risposta della cittadinanza è stata immediata, l’interruzione delle proteste ha visto un rapido avvio e la paura di essere estradati nell’area continentale cinese ha colpito ogni manifestante, tenendo pure di conto l’aggravarsi a fine 2019 della situazione sanitaria con l’epidemia di Covid19.

Parlare di questa terra è come parlare della Cina che, con in più la pandemia e i festeggiamenti per l’anniversario di Piazza Tienmen, si abbrutisce in sé stessa sempre più e pone il problema della censura primo nella sua lista di pratiche interne, così tanto che per mesi le truppe armate gialle si erano schierate nel litorale Kongiano in attesa dell’ordine di repressione nell’isola e la dichiarazione dello stato di emergenza.

Purtroppo la fogna politica continua ancora a dominare sovrana, adesso in un’area del mondo che nonostante le sanzioni dell’Occidente e la Guerra Fredda 2.0, si sta imponendo nel mercato e nella scacchiera politica globale, sfoggiando esempi di falsa democrazia e apertura al policentrismo umano.


Noël De La Vega.

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