Premessa doverosa: l’utilizzo del termine disagio nel titolo è volutamente forzato. Il seguente articolo non pretende di essere un micro-trattato di musicoterapia applicata alle moderne tecnologie.
“Nei tuoi ultimi ascolti Spotify, che artisti ci sono?”
Un mesetto fa, in un’intervista, feci questa domanda ad un musicista e la sua rispose mi colpì particolarmente: “Non saprei proprio risponderti: ogni volta che entro su Spotify c’è talmente tanta scelta che mi ritrovo in difficoltà a scegliere cosa ascoltare”
Il sorriso che mi strappò sul momento mi ha tuttavia portato, nel periodo successivo, a una breve ma profonda riflessione sul mio ruolo di fruitore di musica.
Quante scelte ogni venerdì!
Da un anno e mezzo a questa parte, da amante delle statistiche, ho iniziato ad usare la famosa applicazione di scrobbling (annotazione automatica dei brani, ndr) Last.Fm, con cui posso comodamente monitorare tutti i miei ascolti.
Dopo un picco di circa 2500 ascolti nel mese di gennaio, a febbraio sono sceso a circa 990: quasi 1500 in meno. Come posso spiegarmi questo calo? Eppure di tempo libero a disposizione per dedicarmi all’ascolto di musica ne ho anche avuto abbastanza. Possiamo addirittura parlare di una piccola crisi di rigetto?
Come già detto in apertura di articolo, la possibilità di scelta su Spotify è quasi infinita di suo (ok, non ci sono i Tool…); se poi ci aggiungiamo che ogni venerdì, giorno di uscita dei nuovi album, viene ulteriormente rimpolpata, capiamo che siamo dentro a un tunnel senza via d’uscita.
Che sport pratichi? Ascolto musica
Intendiamoci: per me ascoltare musica è una cosa tremendamente seria e di conseguenza ho dei criteri abbastanza personali nel portare avanti questa attività. Non sono il tipo di ascoltatore che ogni mese fa passare nel suo iPod cento album diversi: preferisco concentrarmi su pochi dischi alla volta e interiorizzarli al meglio, specialmente quando mi concentro su una singola band.
Tuttavia, nell’ultimo periodo mi sono spesso ritrovato ad aprire Spotify, fissare lo schermo per minuti e pensare: “E quindi? Adesso cosa posso ascoltare?”; situazione che si fa ancora più critica quando mi devo affidare alla libreria offline, dove ci sono dischi che, più o meno, ho ascoltato sufficientemente.
Quindi, in conclusione?
Criticare la comodità di questa applicazione sarebbe un’operazione abbastanza inconsistente. Certo, si potrebbe obiettare su come la diffusione di Spotify (ma anche quella di servizi affini) abbia modificato la fruizione della musica, tendendo a privilegiare l’ascolto della singola canzone, magari inserita in una playlist, rispetto all’album intero. Tuttavia qui si ritorna al metodo d’approccio che, ovviamente, è del tutto personale.
Nel mio caso particolare l’abbondanza di scelta può creare certamente qualche problema, specialmente quando si cerca di ascoltare più musica possibile e di genere diverso. Una sorta di contrapposizione fra il dover ascoltare più roba possibile, quasi fosse un dovere morale, e il rimanere nella propria comfort zone musicale, fatta di ascolti selezionati, lungo un determinato periodo di tempo.
Ormai è innegabile che Spotify sia una parte integrante della mia quotidianità e, come tutti i rapporti, vive di alti e bassi. Possiamo dire che febbraio ha rappresentato un periodo di pausa reciproca. Da marzo in poi, con il riprendere delle lezioni e dei viaggi in pullman, avrò sicuramente modo di recuperare il tempo perso.
Leonardo Bindi.