Nel 2012 l’uscita di The Avengers si rivelò una gallina dalle uova d’oro per i Marvel Studios, tramutando in un successo clamoroso tutti gli sforzi mirati alla creazione di un vero e proprio universo cinematografico autonomo e coerente. Tale successo non rappresentò infatti una vera e propria sorpresa: la cosiddetta fase 1 (costituita in ordine cronologico da Iron Man, L’Incredibile Hulk, Iron Man 2, Thor e Captain America: Il Primo Vendicatore) era stata infatti funzionale a porre le basi per l’appuntamento clou nel quale i nostri supereroi avrebbero fatto squadra superando le loro divergenze per il bene del pianeta.
Una volta introdotti i personaggi nei loro rispettivi “capitoli” (per la verità non tutti di pregevole fattura), la difficoltà era farli coesistere in unico film senza che questo risultasse sfilacciato e privo di coesione. Lo sceneggiatore e regista incaricato di trovare il giusto equilibrio fu Joss Whedon, autore apprezzato principalmente per il contributo dato alla serialità televisiva (Buffy – The Vampire Slayer e Firefly), scelta rivelatasi a dir poco azzeccata: Whedon si dimostrò abile a gestire l’ampia mole di personaggi in un prodotto come quello promosso dai Marvel Studios che fa della serialità (cinematografica in questo caso) il suo marchio di fabbrica.
Con lo stesso canovaccio, la fase 2 del Marvel Cinematic Universe si è aperta nel 2013 con lo scopo di condurci al secondo grande crocevia di questo percorso: parliamo di Avengers: Age Of Ultron.
Uscito in Italia in anteprima rispetto agli Stati Uniti, il nuovo capitolo dedicato ai Vendicatori trova la conferma di Whedon al timone e tutti i personaggi dell’episodio precedente, sebbene non manchino alcuni innesti significativi come ad esempio i gemelli Maximoff (Quicksilver e Scarlet Witch).
La trama questa volta vede il nostro team di supereroi più unito e meno dedito a frizioni interne, almeno apparentemente: gli eventi dei film precedenti hanno difatti lasciato qualche strascico, e fra uno Shield che tenta di ricostruirsi dalle macerie (Captain America: The Winter Soldier) e le gemme dell’infinito che diventano man mano sempre più centrali negli sviluppi narrativi, è il solito Tony Stark/Iron Man (Robert Downey Jr) a mettere in luce le maggiori ambiguità riguardo al compito che gli Avengers dovrebbero portare a termine, ovvero garantire una pace duratura.
Ancora afflitto dalle paure riguardo al futuro che hanno fatto breccia in lui dopo gli eventi di The Avengers e vittima di una premonizione causata da Scarlet Witch, Tony decide, con l’aiuto di Bruce Banner/Hulk (Mark Ruffalo) e all’oscuro degli altri compagni, di usare la gemma dell’infinito contenuta nello scettro di Loki per mettere a punto un sistema di difesa consistente in un’intelligenza artificiale.
Le cose non vanno come previsto ed il progetto, denominato Ultron, si ritorce contro i nostri eroi diventando autonomo e incapace di distinguere fra quiete e caos: il modo per conseguire l’ordine diventa dunque l’annientamento del genere umano.
A questa presa di coscienza da parte di Ultron seguiranno i tentativi degli Avengers di vanificarne i piani di distruzione, non senza che il riemergere delle tensioni e il contrasto fra i diversi caratteri dei vari componenti del gruppo faccia nascere delle complicazioni.
Alla stregua di tutti i film che hanno composto questa fase 2, The Avengers: Age Of Ultron denota un fare interlocutorio utile a consolidare ancora di più lo status dell’universo cinematografico in essere, ma quali e quanti siano gli effettivi passi in avanti prodotti dal punto di vista diegetico è questione aperta. Acquisendo sempre di più gli stilemi di una narrazione frammentaria e seriale propria dei prodotti televisivi (non a caso anche la serie tv Agents Of Shield fa parte del MCU) i film prodotti dai Marvel Studios finiscono per puntare sulla quantità più che sulla qualità, dando l’idea di timbrare il cartellino nell’attesa del capitolo successivo che negli intenti e nelle aspettative si presenterà sempre come più emozionante di quello precedente.
A conti fatti, ci ritroviamo dunque con un episodio della saga che appare di passaggio e mirato soprattutto ad aprire la pista per Avengers: Infinity War che sarà diretto non più da Whedon ma dai fratelli Russo.
Nonostante ciò, la capacità di Whedon di dosare i vari ingredienti riuscendo a garantire un solido intrattenimento è ancora presente (esilarante la sequenza/gag in cui Capitan America riesce quasi a sollevare il Mjolnir causando lo spavento di Thor) ed è senza dubbio apprezzabile l’evidente tentativo di riservare maggiore spazio a quei personaggi che non hanno un proprio film a disposizione: di Clint Burton/Occhio di falco (Jeremy Renner) conosciamo il lato intimo che lo rende il più umano in una squadra che si compone di semidei, supersoldati e mostri di colore verde; di Natasha Romanoff/Vedova Nera (Scarlett Johansson) scopriamo finalmente lampi di un nefasto passato e infatuazioni impreviste (abbastanza fuori dagli spartiti la sua liaison con Banner).
Le new entry si dimostrano convincenti, specialmente il personaggio di Visione (Paul Bettany) riesce a dare accenni di spessore ad un nemico Ultron, di cui costituisce una controparte più riuscita e carismatica. L’antagonista prescelto per questo secondo film riservato ai Vendicatori è infatti una pecche principali, risultando affascinante solo sulla carta: personaggio non inedito in quanto già avversario degli Avengers nei fumetti, Ultron non riesce mai ad essere veramente temibile e finisce per pagare il fatto di essere l’ennesima riproposizione dell’espediente delle macchine al potere che nel cinema, specie quello di fantascienza, non è certo ciò che si definisce novità.
Come di consueto, la scena dopo i titoli di coda ci mostra che per gli Avengers i guai non sono certo finiti qui e che all’orizzonte la minaccia incombe.
Preso atto che la fine del Marvel Cinematic Universe è ancora ben lontana, non ci resta che attendere episodi più ispirati, coraggiosi e dalla maggiore impronta autoriale degli ultimi (Guardiani Della Galassia escluso), tendenti più che altro a replicare la medesima formula.
Piero Di Bucchianico