Robert Plant – “Lullaby and…the Ceaseless Roar”

L’appassionato di rock, al nome di Robert Plant, avrà avuto un tuffo al cuore. E, perché no, si sarà ricordato di quando, iniziando ad ascoltare per la prima volta quello che poi sarebbe diventato il suo genere musicale preferito, si è imbattuto in un gruppo che poi avrebbe cambiato per sempre i suoi gusti: i Led Zeppelin. Ciò che portò il gruppo inglese nell’Olimpo del rock

furono le grandi, grandissime canzoni, nonché le personalità dei suoi componenti: dal piede impazzito di John “Bonzo” Bonham alla batteria, per arrivare a Jimmy Page e ai suoi riff e assoli memorabili. Ma l’elemento forse più iconico, e senza dubbio il più immediatamente riconoscibile, era la voce di Robert. Il suo timbro unico è ancora qui tra noi e, seppur invecchiato, continua a regalarci emozioni. Il suo ultimo lavoro solista è Lullaby and…The Ceaseless Roar, datato 2014: ed è, diciamolo subito, un signor disco.

Plant ha viaggiato in lungo e in largo durante la sua lunghissima carriera, attingendo di volta in volta dalle sonorità dei luoghi che ha visitato. Questo disco nasce, però, dalla necessità di un ritorno a casa, in quei luoghi tra Galles e Inghilterra da dove tutto è iniziato. L’ex singer dei Led Zeppelin è tornato a vivere lì, e lì ha composto questo Lullaby and…The Ceaseless Roar (per brevità, da qui in poi chiamato Lullaby): un album che tuttavia contiene moltissimi spunti presi dalle succitate sonorità etniche.

Prendiamo, ad esempio, l’opener Little Maggie, in cui un banjo che richiama certe sonorità del folk americano è accompagnato da tipiche strumentazioni africane. Binomio, questo, che ritornerà più volte nel corso di Lullaby, in certi casi rivisto in matrice più blueseggiante, in certi più tipicamente hard rock. Tutto questo dimostra una volontà di sperimentare non comune per nessuno, figuriamoci per un artista che, ormai alla soglia dei 70 anni, ha già cambiato, insieme alla sua band, la storia del suo genere musicale. Ascoltando questo disco, si resta sorpresi dalla grande voglia che dimostra Plant di cambiare continuamente le carte in tavola, attingendo a tutto il suo bagaglio di esperienze musicali e non, senza tuttavia dare l’impressione di perdere il filo del discorso. Anzi, la maestria con cui lui e la band che lo ha aiutato nella composizione dell’album (i Sensational Space Shifters) amalgamano ispirazioni e paesaggi sonori così distanti è da applausi. Esempi di tutto ciò: il singolo Rainbow, melodico e piacevolissimo, l’atmosferica Pocketful of Golden, la struggente e meravigliosa ballad A Stolen Kiss, la successiva Somebody There che, con il suo arpeggio iniziale, ricorda non poco qualcosa dei vecchi Zeppelin…l’elenco di brani riusciti, in realtà, comprende l’intera tracklist di questo lavoro.

Perché non vi sono passi falsi né riempitivi, ogni canzone ha una sua essenza ben determinata e inserita alla perfezione nel contesto del disco. Un contesto che rapisce già dal primo ascolto, regalandoci delle vere e proprie perle, nonché dei momenti da brividi in cui il sound dei Led Zeppelin si fa molto vicino: e noi, da nostalgici quali siamo, non possiamo non apprezzare. Insomma, Lullaby è un lavoro degno del nome di Robert Plant, un album davvero bellissimo, nel vero senso della parola, da ascoltare e riascoltare. Un ottimo modo per sentire ancora una volta la voce di chi ha cambiato la storia del rock.

Giacomo Piciollo

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