Il Festival dell’italiano e delle lingue d’Italia è terminato domenica sera; nel più canonico degli schemi circolari, due tra i più suggestivi luoghi senesi, rispettivamente la sala del Mappamondo e il Teatro dei Rinnovati, hanno aperto e chiuso i battenti di un’iniziativa culturale ambiziosa ma allo stesso tempo capace di rispettare le alte aspettative riposte, dimostrando di essere inclusiva e interessante per tutti.
Il Teatro dei Rinnovati ha ospitato la mattina “Piccolo slam poetico”, un incontro presentato e coordinato da un vivacissimo Lello Voce, colui che ha introdotto la poesia slam in Italia, durante il quale abbiamo sentito la produzione poetica di Stefania Rebuffetti, Silvia Salvagnini, Simone Savogin, Luigi Socci e Alessandro Burbank. Fondamentali i testi, ma indescrivibili le performance lontanissime dai reading di poesia a cui siamo abituati e molto vicini alle competizioni di poesia introdotte nel 1986 da Marc Kelly Smith in ambito statunitense.
Di seguito riportiamo le riflessioni di Silvia Salvagnini e Alessandro Burbank sul ruolo e le caratteristiche del recitato nelle loro performance.
S. S. : “La mia è una performance nuda, un’apertura a cuore aperto. È ovvio che si tratta sempre di uno spettacolo, però quello che cerco di fare è di non mettere del recitato sopra ma, con anche paura, di mettermi a nudo e trasmettere il ritmo e il lavoro che faccio sul testo, senza aggiungere sopra un personaggio. Parla la musica, il tempo che ha il testo; la mia è una performance povera, dove cerco di portare fuori il testo che altrimenti rimane solo sullo scritto. Sembra teatro perché la poesia ha una sua voce, ma è una voce intima, propria, specifica. Quello che io spero di riuscire a fare è portare fuori il testo, per quello che il testo è, con la sua musica e il suo ritmo, e darlo. Fine.”
A. B. : “Io credo che sia sempre una recitazione, basta metterci d’accordo su quello che intendiamo con recitazione. Nel testo è inserito un codice, che è quello della scrittura e l’oralizzazione, la vocalizzazione del testo può assumere infinite altre variabili. Dov’è che si incontrano? Quando nell’oralità ci sono dei rimandi alla lettura: ad esempio io utilizzo i giochi di parole per far sì che i miei testi siano leggibili alle altre persone, perché il gioco di parole è più bello se viene condiviso perché magari sono riferimenti alla società, ai ricordi che ci accomunano. Non è solo una questione di differenze tra recitato e lettura personale. Così come nella musica esiste la musica classica, e quindi la musica colta e poi c’è la musica folk, e cioè le canzoni in dialetto; così come esistono questi generi nella musica anche la poesia secondo me, se noi la dividiamo in generi, ha una scena; perché la poesia non la puoi ingabbiare. Ci sono quelli che pubblicano principalmente libri, ci sono quelli che assieme al libro preparano anche il reading, se lo studiano, se lo strutturano, ci mettono la musica. C’è la poesia per pochi e poi c’è la poesia folkloristica, la poesia popolare…”
L’evento finale, invece, ha visto un programma ricco e variegato, dedicato al rapporto tra letteratura e cultura pop, tra tradizione e contemporaneità. La prima parte della serata è stata diretta dalla docente Paola Grillo, che, con l’aiuto di colleghe e studenti, ha mostrato alcuni interessanti progetti di rielaborazione artistica di Dante che si sono sviluppati in provincia di Foggia; particolare attenzione è stata data alla reinterpretazione musicale del Sommo Poeta, con alcune esibizioni dal vivo.
Sempre a proposito del padre della lingua italiana, Luigi Chessa, di professione pastore, ha recitato interamente a memoria il canto III dell’Inferno, mostrando che l’amore per la letteratura può sbocciare in ognuno di noi, senza distinzioni di età o di preparazione scolastica. A chiudere la prima sessione sono stati Alessandro Cola e Fabio Antonelli, che hanno recitato alcune poesie dialettali, sia di produzione propria che altrui, come la spassosa “L’uccelletto” (che potete trovare qui).
Maria Vittoria D’Onghia (Università per Stranieri di Siena) così commenta l’incontro “Dante, Pasquino, il pop” : Una delle cose davvero difficili è comunicare agli studenti che la Commedia di Dante non è solo un “mattone apocalittico” che riempie i programmi scolastici dalle scuole medie in poi. L’incipit della serata di ieri al Teatro dei Rinnovati mi ha fatto sorridere perché sia da studentessa che da insegnante (doposcuola) mi sono scontrata spesso con questo sentimento di repulsione per un’opera difficile e troppo lunga. Io mi sono ricreduta. I miei studenti ancora no. Sul palco del teatro, una docente di una scuola media di Foggia ci ha raccontato di come ha affrontato questa sfida con i suoi alunni e di come l’ha vinta. Il segreto: la musica. Conoscere i personaggi della commedia dai testi di alcune canzoni di Gianna Nannini, Caparezza, Ligabue. Ma molto più divertente è stato, racconta, musicare insieme ai ragazzi le terzine più famose. Al pubblico di Siena hanno fatto ascoltare una versione rap e un’altra eseguita al piano dall’alunna vincitrice del concorso Dante in Musica, che ha musicato i versi di Caronte sulle note di una famosa canzone di Paolo Conte. Per molti mesi si canticchiava Dante a ricreazione, nei corridoi e nei cortili. Ci si può innamorare della Commedia, però, anche oltre i banchi di scuola: Luigi Chessa è un pastore sardo che ha imparato molti canti a memoria leggendoli durante il pascolo del gregge; sul palco li recita emozionato. Per tutta la serata ho preso appunti. Ai miei piccoli studenti racconterò queste storie.
Nella seconda metà, invece, un gruppo di rapper provenienti da varie parti d’Italia hanno dato una dimostrazione della loro arte, per poi lasciare spazio ad alcuni esperti di ottava rima. Il sardo Rubick Shiro, il ligure Memme, il napoletano Zunami e il toscano Danomay, coordinati dal senese Zatarra, si sono esibiti con alcuni pezzi hip-hop, seguiti poi da Francesco Burroni, Mauro Chechi, Fernando Tizzi ed Elino Rossi, esponenti dell’ottava rima, basata sull’improvvisazione a metà tra poesia e canzone. Infine, i due gruppi di artisti si sono sfidati, prima ognuno nella propria disciplina, poi tentando anche un affondo in quella dei “rivali”: Rubick Shiro ha recitato alcuni versi in ottava rima, così come Francesco Burroni ha stupito per la sua abilità nel rappare.
La serata e il Festival si sono chiusi con i saluti degli organizzatori, capeggiati da Massimo Arcengeli, che hanno ringraziato il folto pubblico e promesso che ci sarà una seconda edizione nel 2018. Che sia l’inizio di una lungo e celebre futuro? Ce lo auguriamo tutti.
Davide Delle Chiaie
Giada Coccia
Maria Vittoria D’Onghia