San Galgano si staglia sventrata contro le colline senesi. Arrivando alle 17 per seguire le prove dell’orchestra ho potuto osservare l’abbazia sotto una luce sempre diversa, fino ad arrivare al buio della notte, quando il soffitto si punteggia di stelle (sempre troppo poche) e le luci illuminano l’estinta abside. Al posto dell’altare, un palco. Al posto dell’Eucaristia, l’Orchestra Giovanile Italiana; al posto degli officianti, Luciano Acocella alla direzione e Boris Belkin al violino solista. E, sempre per rimanere nella metafora, le preghiere e gli inni sono Natura Renovatur (1967) di Giacinto Scelsi (1905-1988), il Concerto per violino e orchestra in re magg. di Johannes Brahms (1833-1897) e la Sinfonia n. 3 in mi bemolle magg. “Renana” di Robert Schumann (1810-1856).
Come ormai ben sapete, il mio passatempo preferito mentre aspetto l’inizio del concerto è osservare il pubblico, composto in questa occasione da una buona parte di turisti che, affascinati dall’idea di ascoltare un concerto in una location così inusuale, hanno affollato il botteghino per accaparrarsi un posto. Dietro di me, ad esempio, c’era una piccola famigliola che parlava una lingua che non riuscivo a identificare. Poi tedeschi, giapponesi e cinesi, qualche inglese. L’ingresso dell’orchestra interrompe i miei pensieri. Le luci si spengono: il rito può iniziare.
Tre brani, tre momenti diversi
Scelsi conferma subito l’atmosfera iniziatica creatasi. Siamo invitati a partecipare a qualcosa di liminare, incongruo, dionisiaco. Qualcosa di primitivo si aggira sotto le note; e l’assenza di un soffitto, e quindi di un limite, ci porta in alto. Forse troppo in alto. I giovani orchestrali rimangono statuari, concentratissimi nell’esecuzione, che a tratti sembra impersonale.
Con il Concerto di Brahms l’orchestra pare essersi sciolta un pochino. L’atmosfera è decisamente più distesa, meno carica di inquietudine. Eppure qualcosa stonava: troppo movimento sul palco. E c’era qualcosa che non mi tornava anche in Belkin. Sarà stata la stanchezza, il troppo caldo, ma non mi ha catturata come pensavo. L’orchestra era decisamente più in forma, confermando il suo essere un’importantissima realtà nel panorama della musica sinfonica italiana.
Il terzo e ultimo brano ha segnato la definitiva distensione dell’atmosfera. Non è rimasto niente dell’inquietudine iniziale: l’aria era più leggera, piena di vita; come l’abbazia piena di persone e di musica. La sinfonia di Schumann, con la sua delicatezza velatamente nostalgica, mi ha decisamente catturata di più. Vedere dei musicisti così giovani eseguire un pezzo così importante nella storia della musica è stato molto bello: una nuova generazione di musicisti ha dato vita a un brano di un’epoca completamente diversa, con dei presupposti culturali lontanissimi dai nostri. Se a ciò aggiungiamo le rovine riportate in vita potete capire quanto mi sentissi fluttuare tra due o tre mondi diversi. O forse, appunto, avevo preso un colpo di sole durante il pomeriggio.
Il prossimo appuntamento è il 24 luglio di nuovo nella Chiesa di Sant’Agostino, con un altro viaggio nella musica del Novecento.
Federica Pisacane.