Maurizia Cacciatori: intervista ‘senza rete’


Non capita molto spesso di incontrare una leggenda della pallavolo italiana. Maurizia Cacciatori: 228 presenze in Nazionale, 5 scudetti, 5 coppe nazionali, 3 supercoppe italiane, 3 coppe campioni, oro ai Giochi del Mediterraneo, miglior palleggiatrice del mondo 1998.

A prima vista, un curriculum di tutto rispetto, che però restituisce solo una faccia della medaglia. Sfide, delusioni, discese ardite e risalite. Tutto questo, insieme con una grandissima forza di volontà, rende Maurizia Cacciatori la donna giusta per parlare di resilienza.

Eh già, perché è proprio la miglior palleggiatrice del mondo in carica, ai Mondiali 2002 non viene convocata dalla nostra Nazionale. Dallo stesso allenatore che, tra l’altro, pochi giorni prima, l’aveva pure elogiata. E quindi? Leale e testarda, dapprima si trova a pulire il sudore delle compagne di squadra dal pavimento – loro, a differenza sua, si allenano. Per prendere poi la via della Spagna e far vincere al Tenerife l’European Champions League.

Maurizia Cacciatori con tre redattori di uRadio

Insomma, la persona giusta per spiegare come Allenarsi per il futuro, titolo del progetto contro la disoccupazione giovanile ideato da Bosch Italia in collaborazione con Randstad ed altre imprese, enti ed istituzioni su tutto il territorio italiano. L’incontro, tenutosi il 25 novembre al Santa Chiara Lab, ha riscosso un enorme successo di pubblico (vi siete persi la conferenza? La trovate tutta qua!).

Prima del suo intervento, come avevamo fatto con Giovanni Galli, abbiamo sottratta Maurizia ai fotografi per farle qualche domandina. Dopo un sorriso e una stretta di mano, non s’è affatto tirata indietro e ha risposto alle nostre domande senza battere ciglio.


L’INTERVISTA



Maurizia Cacciatori, benvenuta su uradio.org. Siamo qui per questa conferenza il cui tema è proprio la resilienza. Hai scritto, a tal proposito, un libro, Senza rete, uscito lo scorso anno. È vero che tuo figlio ha avuto un ruolo importante?

Sì, è stato fondamentale. Non avevo mai pensato di scrivere un libro: me l’avevano chiesto quando giocavo ma mi sono sempre domandata cosa avrei potuto raccontare.

Invece, dopo aver concluso la mia carriera da sportiva a e dopo essere diventata madre, quando mio figlio mi disse che le addizioni gli riuscivano bene ma che con le sottrazioni voleva proprio mollare, mi sono detta che era ora. Volevo spiegargli quante volte avevo voluto dire io «non ce la faccio».

Così, ho deciso di lasciare in eredità un libro che spiegasse come la loro mamma si sia spinta tante volte oltre il proprio limite. E la resilienza, in effetti, è proprio questo.

Il libro l’ho scritto per i miei figli e questo l’ho specificato nelle prime righe: ogni pagina profuma di loro.


Ti dirò: quello che mi è piaciuto è proprio questo. Di solito, nei libri autobiografici, lo schema è simile: tanto impegno porta alla vittoria. Nel tuo ‘Senza rete’, il percorso è decisamente più complicato, vero?

Sì, è proprio vero. Io volevo un libro veritiero. Spesso si pensa che un atleta che ha vinto tanto sia infallibile. Non è per nulla così: non esistono gli eroi e, se esistessero, mi starebbero anche abbastanza antipatici.

Il mio libro è quindi particolare perché parla di grandi vittorie ma anche di grandi cadute. Quella del 2002, per esempio, è stata una grandissima batosta.

Credo che lì si misuri la persona e il vincente: nell’equilibrio tra il saper gestire la vittoria e la sconfitta. Il libro parla di pallavolo, certo, ma è rivolto alla casalinga che la mattina si sveglia e deve organizzare i figli, all’imprenditore, allo studente, al giovane sportivo …

In realtà, è anche un thriller (ride), perché si parla del mio privato e mi sono divertita a fare qualche outing. Sempre nel rispetto di tutti, eh.


Infatti ripercorri tutta una serie di vicende anche abbastanza complesse. Riviverle per metterle nero su bianco è stato doloroso?

No, anzi, è stato molto piacevole. L’ho scritto in collaborazione con un grandissimo amico, Riccardo Romani, che mi ha impostato un po’ il tutto.

Tra l’altro, è stato scritto praticamente di notte: era estate, i bimbi non erano a scuola, quindi di giorno stavo con loro. La notte, stanca e sfinita, mi sedevo in terrazzo e iniziavo a scrivere.

Io poi ho sempre scritto nella mia vita tantissime pagine di diario, quindi ho colto punti e momenti e li ho riuniti qui. Non è stato quindi doloroso ma è stata un’operazione di collage di vari pezzi, che hanno trovato la loro collocazione.


Insomma, sei caduta, ti sei rialzata, sei andata avanti. Ora forse vedi le cose più chiaramente, in questo tuo ‘secondo tempo’. Ecco, alla luce di tutto questo, cosa diresti alla Maurizia Cacciatori del ’91? Cosa le consiglieresti di fare?

Questa è una domanda bellissima. Sai, tutti i miei dubbi li ho gestiti in maniera molto solitaria e in modo coraggioso.

Ci ho sempre messo la faccia, in prima persona: per questo, penso che le nostre scelte, anche sbagliate, vadano rese nobili, perché appartengono al nostro percorso.

Quindi cosa dire alla Maurizia diciottenne? Ero un po’cabezota, si direbbe in spagnolo, bella testarda. Le direi: guarda alla fine avevi ragione te!


Grazie davvero, Maurizia. Tra l’altro, resti indimenticabile anche per quello splendido spot …

Ah quello dove mangiavo i biscotti al bambino? (Ride) Ah, mi sono proprio divertita! Perché sai, alla fine sono davvero un po’ così io …



Mattia Barana.

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