LOST & FOUND : LEWIS TAYLOR – LEWIS TAYLOR

IL CONTESTO

Nello stesso anno in cui, con grande stupore dei fan, i Take That proclamarono il loro scioglimento, i Pink Floyd venivano insigniti del titolo di leggende della musica entrando a far parte della prestigiosa Hall Of Fame. Intanto gli AC/DC regalavano al pubblico un memorabile live nella Plaza de Toros de Las Ventas a Madrid e la band punk/rock statunitense Ramones annuncia il suo ritiro dalle scene con un ultimo concerto a Los Angeles. Si potrebbe ritenere il 1996 un’annata costellata da importanti notizie riguardanti la musica, ma non solo: nello stesso anno Fidel Castro si reca a Roma per una memorabile visita al pontefice e  Andrew Wiles incassa il premio Wolfshehl di cinquantamila dollari per aver risolto l’Ultimo teorema di Fermat. Infine il 1996 fu un anno critico dal punto di vista politico internazionale, poiché fu l’anno seguente all’accordo di Dayton (Ohio) con cui venne siglata la fine della Guerra in Bosnia ed Erzegovina; venne fatto quindi un bilancio sulle gravi perdite umane e strutturali dell’area, rivelando al mondo intero gli orrendi risvolti di un conflitto che si inquadra all’interno di un altrettanto terribile contesto di guerra intestina che sconvolse i territori della Ex Jugoslavia dal 1991 al 1995.

 

LA VICENDA

Nei piani della Island, l’etichetta discografica dipendente dalla Universal Music Group e di sede in Inghilterra, Lewis Taylor sarebbe dovuto diventare il nuovo blasonato rappresentante del blue eyed soul ( detto anche soul bianco, esso indica la musica soul interpretata dai bianchi, o quegli artisti vistosamente influenzati da sonorità R&B e soul tipiche della cultura musicale afroamericana, ndr). Genio compositivo moderno che, con fiuto eccezionale, Taylor rintraccia i suoni di una tradizione musicale a lui solo apparentemente lontana per poi imprimere un denso marchio di fabbrica; Lewis Taylor scrive, produce e arrangia per intero i suoi brani e, per intero, tutti si suoi album. Un’occasione ghiotta per i dirigenti della Island, che scorgono nel talento di Taylor inquietanti coincidenze con quelle di Prince e tutti, allora come adesso, sapevano quanto avrebbe fatto bene alla musica un impressionante serbatoio di creatività come quello di Lewis Taylor.

Qualcosa però non andò per il verso giusto: l’etichetta chiese espressamente all’artista londinese di partire con offerta musicale semplice e con un target specifico, quello del grande pubblico. Taylor però sembrò fare orecchie da mercante alle tarpanti richieste della casa discografica, presentandosi nel 1996 con un lavoro che di semplice e fruibile aveva ben poco; l’album si componeva di un numero di canzoni spropositatamente superiore a quello della media dei soliti album destinati al grande pubblico. La Island decide così di sfrondare consistentemente l’album di Taylor e di darlo alle vendite con scarso rilievo pubblicitario, cercando di liquidarlo presto per dare una lezione al giovane Taylor. Inoltre non erano lontani i noti episodi di quel Prince che si comparì in pubblico con il volto segnato dalla scritta slave (schiavo, ndr), accusando nella maniera più esplicita la Warner Bros Records  rea di aver gestito malamente i suoi album, di aver frustrato le sue richieste e di aver pilotato le sorti della sua carriera. Fiutando un possibile caso-Prince, la Island decise di ridurre il suo supporto verso Lewis Taylor il quale, si vide costretto a lavorare da solo e per la sua arte, contando su pochissimi aiuti esterni.

Nel 2006, dopo una sfortunatissima carriera, Lewis Taylor abbandona la musica per dedicarsi ad altro; si mormora che oggi faccia l’idraulico.

Luis Taylor 2

L’ALBUM

L’omonimo album d’esordio di Lewis Taylor è uno di quei lavori che riesce a mettere in crisi l’ascoltatore ed è, questo, uno dei compiti più difficili da assolvere nella musica, la quale viene spesso concepita dalla media degli utenti come un importante spazio di disimpegno e dotato di mezzi espressivi destinati a regalare emozioni elementari. Lewis Taylor è una preziosa gemma musicale seppellita dalle vicende che l’hanno condannata sin dalla nascita; una filiazione artistica destinata al dimenticatoio ma tanto complessa da far impallidire anche quelli che oggi consideriamo geni musicali e che hanno costruito il loro talento su di una carriera pluridecennale.

Ciascun brano di Lewis Taylor è intriso di un’oscura linea melodica che inquieta l’orecchio, ma non per questo lo fa desistere dall’ascolto: a cominciare dai paranoici giri di basso del brano iniziale, Lucky, che si infilano subdolamente nel secondo, Bittersweet, squisito resoconto di un R&B rinnovato nelle sue basi, per poi cambiare registro in maniera impressionante con Whoever e sfoggiare una sonorità che strizza gioiosamente l’occhiolino al  pop-sinfonico e al Southern California rock di metà anni 70 (e non sarebbe un azzardo chiamare in causa i suoni dei Pet Shop Boys). Altra sorpresa è l’elettronica in apertura di Track che si mescola ai vaghi accenti post-rock dei secondi successivi. I testi affrontano per la maggior parte le tematiche dell’introspezione, dell’amore sofferto e degli episodi di vita in generale con una semplice lucidità e intelligenza tali da considerare Lewis Taylor come un ottimo paroliere.

Neo-Soul sarebbe l’etichetta con cui inquadrare questo misterioso album (tuttora difficile da trovare in commercio, ndr) e su questa definizione si potrebbe aprire un dibattito irto di pareri contrastanti (ma da cui bisognerebbe convenire sull’opinione  secondo cui l’album si presenta come un serbatoio miscellaneo di generi musicali): resta il fatto che questo album, per la sua complessità sonora, per l’impatto emotivo di certi testi e per lo spirito creativo con cui è stato creato e con cui sono stati fagocitati tanti generi musicali, riproposti poi nella maniera più personale possibile, può essere considerato senza troppe remore  un classico  in senso calviniano, ovvero come un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso1. Sicuramente un album, nel migliore dei casi, da scoprire in ogni ascolto.

1 Perché leggere i classici, Italo Calvino, ed. Oscar Mondadori, 2011 pp. 9 punto 8.

 

Leonardo G. Stenta

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