Chiunque bazzichi un po’ per librerie e blog dedicati ai libri non può non aver sentito parlare nelle ultime settimane di un romanzo che è diventato un vero e proprio caso editoriale e che sta facendo parlare di sé sia per le sue doti intrinseche sia perché si tratta di un libro postumo da cui è stato tratto un film omonimo.
Ma perché proprio questo romanzo ha riscosso così tanto successo? È un libro breve, di circa duecento pagine; è una storia semplice, che definirei “soffice”, delicata, sull’orlo dell’onirico, ma di una potenza dolceamara, poetica e insieme non sdolcinata. L’aver saputo combinare in modo così sapiente i vari elementi, come in un’alchimia, è davvero un’impresa magistrale da parte di Haruf che, non a caso, sebbene poco noto a noi, è considerato uno dei migliori scrittori americani del nostro secolo.
La storia è all’apparenza quanto di meno “trascinante” e appassionante possa esserci: due anziani vicini di casa, ormai entrambi vedovi, hanno convissuto nello stesso quartiere per anni, mantenendo rapporti puramente formali. Improvvisamente, superata la soglia dei settant’anni, la donna, Addie Moore, decide di proporre a Louis Waters di passare le notti da lei. Così lui, armato solo di un sacchetto di plastica contente spazzolino e pigiama, ogni sera attraversa l’isolato per raggiungere la casa di Addie e i due, insieme, alla luce delle stelle, si addormentano nello stesso letto tenendosi per mano e sussurrandosi in una quiete perfetta i ricordi di due vite simili e diverse insieme. Costruiscono tra loro una nuova forma di libertà e di piacere spirituale nel condividere la tenerezza della notte: la semplicità di dormire l’uno accanto all’altro.
La grande lezione che scoprono insieme è quella di essere stanchi di vivere la loro vita come gli altri pretendono che essi la vivano; il tempo, l’esperienza del vissuto sono dalla loro parte: non c’è più ragione, a settant’anni, di non fare ciò che si desidera fare, quando questo non nuoce a nessuno.
Ma la società, soprattutto quella di un piccolo paese, ovviamente non ama “le stravaganze” e qualsiasi comportamento fuori dalle righe diventa un motivo di biasimo basato su preconcetti difficilmente scardinabili. Come ha giustamente precisato la moglie dello scrittore, Cathy, “Le nostre anime di notte” è la storia d’amore di un uomo e una donna che decidono di vivere con autenticità di fronte alle critiche e ai giudizi.
Ci tengo infine a sottolineare un particolare aspetto positivo che riguarda l’edizione italiana del libro, che risulta particolarmente curata e che presenta, tra le altre cose, un commento profondo e interessante da parte del traduttore (non sulle scelte di traduzione, come ci si potrebbe aspettare, ma proprio sulla storia in sé), oltre a una dettagliata mappa della immaginaria Holt.
Il mio consiglio è dunque quello di non lasciarvi sfuggire una lettura bella e delicata come questa: travolti da un mondo che corre follemente senza meta e che spesso ci costringe in gabbie dorate che abbiamo quasi smesso di vedere, “Le nostre anime di notte” è un’oasi di quiete e di libertà che scava nel profondo del nostro sentire e che ci ricorda con tutta la potenza del silenzio la nostra umanità.
“Sto parlando di attraversare la notte insieme. E di starsene al caldo nel letto, come buoni amici. Starsene a letto insieme, e tu ti fermi a dormire. Le notti sono la cosa peggiore non trovi?”
Kent Haruf (1943-2014) è stato uno dei più apprezzati scrittori americani, ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui il Whiting Foundation Award e una menzione speciale dalla PEN/Hemingway Foundation. Con il romanzo Il canto della pianura è stato finalista al National Book Award, al Los Angeles Times Book Prize, e al New Yorker Book Award. Con Crepuscolo, secondo romanzo della Trilogia della Pianura, ha vinto il Colorado Book Award. Benedizione è stato finalista al Folio Priz.
Rossella Miccichè
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