La violenza sessuale nella seconda metà del Novecento – intervista a Serena Terziani

Serena Terziani, dottoranda dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ci racconta il suo tema di ricerca: la violenza sessuale nella seconda metà del Novecento e la percezione di tale fenomeno da parte dell’opinione pubblica.

Serena Terziani è dottoranda in Scienze Documentarie, Linguistiche e Letterarie per il curriculum in Studi storico-letterari e di genere presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Il suo lavoro di tesi per la seconda laurea magistrale in Scienze storiche risulta vincitore del premio Tralerighe Storia e nel 2022 si vede pubblicato in “La violenza sessuale nella seconda metà del Novecento. Casi a confronto e dibattito femminista“. Ottiene inoltre il Premio di Laurea Angela Romanin da parte della Casa delle Donne per non subire violenza Onlus di Bologna nel 2021. La dott.ssa Terziani oggi conduce un progetto di ricerca che verte sulle leggi contro la violenza sessuale a partire dai fatti del Circeo.

E noi, Francesca e Viviana, l’abbiamo intervistata per conto di uRadio.


Da cosa nasce l’interesse per il tema?

«Ho sempre avuto un interesse per la storia contemporanea. Nel discutere l’argomento con la relatrice abbiamo deciso di affrontare il tema della violenza sessuale nella seconda metà del Novecento, anche alla luce dei fatti di Terrazza Sentimento dell’ottobre 2020. Siamo partite dall’analisi di alcuni casi emblematici (Santa Maria Goretti e Franca Viola), per poi arrivare al massacro del Circeo.

Ho iniziato ad appassionarmici perché purtroppo è una tematica attuale e definirla “emergenziale” è riduttivo, non fa prendere consapevolezza di una realtà che è connotata da stupri e violenze quotidiane. Mentre stavo stendendo la tesi, nel 2021, è stato pubblicato un report dell’OMS con dati sconcertanti: una donna su tre è vittima di abusi sessuali nel corso della sua vita. Questo fa prendere consapevolezza di un fenomeno globalmente diffuso, alimentato da molteplici stereotipi e falsi miti. La tematica è molto forte e a volte è faticoso: confrontarsi con le testimonianze è pesante a livello emotivo, ma è davvero interessante e formativo».

La dottoressa ci racconta che per la sua tesi magistrale ha lavorato principalmente sulle fonti a stampa, consultando archivi di quotidiani online, che l’hanno aiutata a ricostruire la percezione della violenza sessuale da parte dell’opinione pubblica. In particolare, “mi vengono in mente le parole di Pasolini o Dacia Maraini in merito alla violenza sessuale, è stato interessante per capire l’ottica della società in merito”. Per il dottorato, invece, ha avuto accesso a diversi archivi, in cui ha potuto consultare materiale inedito su casi come quello del Circeo.

Dal momento che è un tema delicato, hai avuto difficoltà nel trattarlo?

«Delle volte è pesante. Lo è stato specialmente quando mi sono occupata degli atti di Donatella Colasanti sul massacro del Circeo. Però ho sempre cercato di leggere le testimonianze in maniera umana ed empatica. Mi rendo conto che questo è il ruolo della ricerca e della ricerca storica: farci prendere consapevolezza che c’è una storia dietro la violenza sessuale. È faticoso rendersi conto che non stai parlando di qualcosa di lontano da te, perché che succede quotidianamente. Credo però che sia necessario: è difficile, ma anche stimolante. Quando faccio i seminari con gli studenti è bello vedere commozione o empatia nel leggere le testimonianze, e questo fa superare la difficoltà dell’approfondire il tema. Ripaga vedere tanta sensibilità parlando di un argomento così pesante, ma necessario da affrontare».

Ti va di raccontarci come viene percepita la violenza sessuale a livello sociale?

«Per la tesi magistrale, ho potuto analizzare principalmente i commenti rispetto alla vicenda di Santa Maria Goretti, Franca Viola e del Massacro del Circeo. Soprattutto per quanto riguarda quest’ultimo caso, si apre un dibattito nel paese, quindi gli articoli sono interessanti perché ripropongono le posizioni di intellettuali e giornaliste/i che hanno avuto voce. Mi viene in mente un articolo di Dacia Maraini che interroga i lettori rispetto all’indignazione popolare. Trattandosi di due ragazze povere, provenienti da un quartiere popolare, lei si domanda: “Se fossero state due prostitute, l’indignazione popolare sarebbe stata la medesima?”. Forse no, perché l’opinione pubblica ha risposte conformi alla minore o maggiore adesione delle vittime ai ruoli sociali predominanti.

È interessante anche lo scambio tra Calvino e Pasolini, in cui si cerca di comprendere perché è avvenuto il massacro, se è prodotto di una società, di una classe sociale o di un’appartenenza politica – i tre artefici facevano parte della destra fascista di Ordine Nuovo. La discussione si sviluppa e va oltre: non si tratta di appartenenza politica, di classe, ma di vedere la donna come mero oggetto sessuale. Interessanti anche le testimonianze in merito alle firmatarie e ai firmatari della legge: c’è chi firma perché magari ha una figlia e ha paura possa subire violenza, c’è chi firma perché pensa che alla donna spetti parità di diritti… questo fa comprendere come la società reagisce e soprattutto qual è il pensiero comune e diffuso».

Ad oggi è cambiato qualcosa nelle narrazioni dell’opinione pubblica?

«Mi sento combattuta. Avrei la speranza di dire di sì, ma alla luce di articoli, trasmissioni televisive, dichiarazioni di politici, ecc… non mi sembra che gli stereotipi siano stati decostruiti. Siamo sicuramente arrivati a una legge (n. 66/96) che riconosce finalmente lo stupro come violenza contro la persona. Questo è un traguardo notevole, ma a livello culturale dobbiamo continuare a combattere contro gli stereotipi. Per esempio, nel 2021 l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per una sentenza del tribunale di Firenze, in cui la vittima veniva accusata di essere connivente perché aveva mostrato la sua biancheria intima rossa, rendendosi colpevole della violenza che aveva subito. Non è molto diverso dalle considerazioni che venivano fatte in merito ai fatti che ho analizzato.

Vorrei dire sì perché forse nella nostra generazione c’è più consapevolezza, ma non so quanto possa essere socialmente diffusa. Penso alle dichiarazioni di Grillo rispetto al caso del figlio, in cui ho ritrovato gli stessi termini usati da Angelo Izzo per i fatti del Circeo. Serve un’educazione di genere nei luoghi formativi: la legge è utile, ma dobbiamo continuare a lavorare su questo aspetto per prendere consapevolezza di quello che è la violenza sessuale».

Come se ne dovrebbe parlare a livello mediatico?

«Io non sono esperta di questo campo, ma si deve evitare di definire gli autori di violenza “mostri” o “orchi”. Questo deresponsabilizza la persona, riconducendo la figura alla dimensione della fiaba e della favola.

Un altro aspetto è che spesso non viene citato il cognome della vittima, come se fosse una persona qualsiasi, di cui si descrive soltanto l’aspetto estetico. È la stessa cosa che era successa con Santa Maria Goretti: dopo la sua morte l’hanno descritta come “degna del pennello del Beato Angelico”. Il riferimento alla parte estetica non fa altro che sottintendere che la bellezza ha attirato l’attenzione del violentatore/dell’omicida, e si dipinge il fatto come se fosse colpa della donna.

Inoltre, sui media si fa sempre riferimento ad una dimensione emergenziale, come se fosse una parentesi. Mi sento di dire che non è così: è un fenomeno ordinario, quotidiano, e lo dimostrano le statistiche. Prendere consapevolezza di ciò ci aiuta a comprendere che dobbiamo decostruirlo. La comunicazione dovrebbe riuscire a descrivere le radici storiche, sociali, culturali di questo fenomeno che noi dovremmo iniziare a comprendere e a decostruire anche e soprattutto attraverso la ricerca storica. Abbiamo delle rappresentazioni del maschile e del femminile che non fanno altro che alimentare questa violenza: il femminile, considerato subalterno e inferiore, legittima la violenza maschile, considerata come la norma.

Mi rendo conto che le nuove generazioni possono portare ad un confronto con le passate, ma deve esserci un cambio culturale che passi attraverso l’informazione. Ci deve essere anche un cambio istituzionale, non soltanto delle leggi, ma se non cambiamo le istituzioni non riusciamo cambiare il resto».

Come si inserisce il tema della violenza sessuale nel dibattito dei femminismi nel panorama italiano?

«È proprio con il massacro del Circeo che i movimenti femministi si attivano. Il processo ai pariolini è stato il primo in cui le donne hanno preso parte in maniera attiva per esprimere solidarietà a Donatella e per opporsi ad un sistema di valori che alimenta la violenza contro le donne. Nacque da lì la proposta di legge di iniziativa popolare che venne sostenuta da vari movimenti e collettivi femministi, anche se contestata. Penso ad esempio alla Libreria delle Donne di Milano che non condivide il ricorso alla legge in quanto questa rappresenterebbe uno strumento del patriarcato e di una società maschile».


Il nostro scambio con la dott.ssa Terziani ci ha ricordato, ancora una volta, quanto importante sia prendere consapevolezza della quotidianità e dell’ordinarietà della violenza sessuale, e dei molteplici nomi e volti che questa assume. La violenza contro le donne non si combatte con un fiocchettino rosso il 25 novembre, ma con una costante presa di coscienza su cosa significhi “cultura dello stupro”. Per sradicare, insieme, quelle radici storiche che hanno plasmato il nostro immaginario intrinsecamente sessista.


Francesca Chiga, Viviana Fossati

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