La campana di vetro (Sylvia Plath)

Esistono libri che ci inseguono nel tempo, tenaci.

Romanzi che ci attraggono più di altri, ma che, proprio per questo, teniamo lontani, finché possiamo. Però poi succede che, in un giorno grigio come un giornale, quell’inchiostro nero esplode. Divampa incontenibile: lava incandescente di parole che ti raggiunge e ti obbliga a fissarla, a guardarla in faccia. Tutti abbiamo una faccia da evitare.

La mia faccia, quella che ho evitato per anni, è quella di Sylvia Plath.

Parlare di lei, scrivere di lei, è veramente difficile. C’è chi definisce la sua un’anima nera, una poesia nera, una scrittura nera. Ma il nero non è altro che un colore-mantello. Copre e sovrasta i colori veri, quelli che si vedono e si distinguono l’uno dall’altro.

Insomma: prendiamo i polmoni. Sì, i polmoni. No, non sto delirando.

Se ne stanno lì, insieme al cuore, nella gabbia toracica. E sono sani, vitali, rosa. Ecco, ora pensiamo alle sigarette. Arricciate il naso, eh? Poco tempo, tanto fumo e quei polmoni diventano neri, come carbone.

Ora, pensateci bene: è solo nicotina, ipocrita. Se lo volessimo davvero potremmo ritornare ai colori reali, primari.

Ma quando il nero di una boccata di troppo ti sovrasta e proprio non riesci a rammendare la tua anima, allora ti chiudi in una campana di vetro. E lo racconta lei, Sylvia Plath, che sotto quella campana ci è stata per tutta la sua, seppur breve, vita: “dovunque mi fossi trovata, sul ponte di una nave o in un caffè di Parigi o a Bangkok, sarei stata sotto la stessa campana di vetro, a respirare la mia aria mefitica.

Romantica, pazza, depressa, esaltata, visionaria: quante etichette le hanno appiccicato addosso? Io non ci riesco. Un po’ perché odio racchiudere frammenti di anime diverse in insignificanti e riduttivi termini, un po’ perché, in fondo, chi me ne dà il diritto?

Dobbiamo sempre dare una definizione a qualcosa o qualcuno per capire?

Nel 1963, neanche un mese prima della sua morte, la Plath pubblica il suo unico romanzo, “La campana di vetro”, sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas, proprio per il carattere biografico dell’opera e, forse, anche per il conseguente e legittimo timore di ridurlo a semplice confessione. A dispetto quasi, dopo il suicidio, il romanzo venne ripubblicato con il vero nome dell’autrice.

Di confessione non c’è proprio nulla, comunque. Nessun “salvatemi”, solo un ritornello: “io sono, io sono, io sono”.

L’ossessiva e quasi spasmodica passione per i dettagli contorna tre periodi diversi della vita della scrittrice: prima l’educazione di una tipica ragazza americana di media borghesia, poi il baratro della pazzia e, infine, la (finta) riabilitazione. Da normale ad anormale e poi di nuovo normale, o quasi. Confusi?

Tranquilli, l’ironia della Plath vi farà rinsavire dai tanti momenti in cui ci si chiede: “finzione o realtà?”.

Il pensiero critico verso se stessa e, soprattutto, nei confronti di quell’insalata di uomini e donne che la circondano, è senza dubbio la cornice curiosamente perfetta a un quadro così inibitorio.

Le parole di Esther (sei lettere come Sylvia, non a caso), si ripetono con un suono chiaro e assolutamente riconoscibile: quello della verità. Una verità che, sì, forse è diversa dalla mia, dalla tua, ma che è quella: verità. Nuda e cruda come la morte.

E poi, davanti ad una porta aperta che sa tanto di scelta, di dubbio, di un qualcosa ancora irrisolto, Sylvia ci dà l’illusione di salvare Esther.

Io sono, io sono, io sono”.

Se lo ripete Esther, lo sussurra Sylvia.

Mi chiedo: a che serve sdoppiarsi? Eri tu, china sulla carta e tra le pagine. Cos’è? Pensavi fossero soffici coperte per dormire sonni tranquilli?

Un foglio, un corpo: stessa inconsistente fragilità.

 


 

Sylvia Plath (1932-1963), è stata una poetessa e scrittrice statunitense. Conosciuta principalmente per le sue poesie, scrisse un solo romanzo: “La campana di vetro”. Famoso è, anche, il suo diario, di cui sono state pubblicate le parti sopravvissute all’ex marito e poeta Ted Hughes (da cui ebbe due figli). Morì suicida all’età di trent’anni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *