Con molta calma arrivo anche io.
Quando questo articolo sarà pubblicato saremo nel 2019 ormai quasi da un paio di settimane. Ma, visto che su Glamodrama ci piace fare le cose con molta calma, la top 10 dei miei album italiani dell’anno appena passato ve la beccate a inizio gennaio e non, come tradizione vuole, a fine dicembre.
Premessa doverosa: fare una “classifica” in ambito musicale per me è estremamente difficile; di conseguenza, gli album di cui andrò a parlare sono, innanzitutto, frutto di una valutazione estremamente soggettiva e, cosa più importante, non gerarchica. Per intenderci meglio, la mia è una lista dei dieci album italiani usciti nel 2018 che mi più mi sono piaciuti e che più ho ascoltato (non tutti con la stessa frequenza, ovviamente). Detto questo, possiamo partire.
Ministri – Fidatevi
Ok, lo dico subito, molto probabilmente in questa scelta ha giocato tantissimo il fattore “gruppo del cuore“.
In un’annata in cui due pezzi da novanta del panorama indipendente italiano come Zen Circus e Motta hanno deluso le mie aspettative (a proposito, buon Sanremo!) – soprattutto il secondo che non è riuscito a bissare quel gioiellino de La Fine dei Vent’Anni (che, ai tempi, avevo letteralmente consumato) – i Ministri si distinguono tirando fuori un bel disco, nonostante le critiche, alcune anche abbastanza pesanti, di una parte dei fan che si aspettavano un agognato ritorno alle vecchie sonorità, dopo la mezza delusione di Cultura Generale. Dimentichiamoci i Ministri di I Soldi sono Finiti o Tempi Bui, alla rabbia della gioventù, è stata sostituita la consapevolezza e la maturità di chi ormai ha superato da un po’ i trenta.
A livello musicale l’album ha i suoi alti e i suoi bassi, va detto; tuttavia brani come Memoria Breve, Un Dio da Scegliere (l’arrangiamento con gli archi a parer mio è stupendo!) o Dimmi che Cosa sono dei veri e propri pezzoni, supportati da dei testi di un certo spessore. Inoltre live, nella loro vera dimensione, si confermano sempre di un altro livello. Il clamoroso concerto di Berlino, al Woodworm Festival, me lo porterò dietro per molto tempo.
Endrigo – Giovani Leoni
Si chiamano Endrigo, vengono da Villaggio Sereno in provincia di Brescia e, citando quanto scritto nella loro biografia, “fanno gli accordi di chiesa ma con il distorsore e cantano in italiano “.
Dopo Ossa rotte, Occhi Rossi (2017) che ha contribuito, anche grazie alle numerose date macinate in giro per la penisola, a farli emergere dal sempre più trafficato panorama indipendente italiano, i nostri non sembrano voler fermarsi e, a distanza di appena un anno, fanno uscire Giovani Leoni.
Un disco sincero, che ti guarda in faccia, minimale negli arrangiamenti, ma che allo stesso tempo ti fa venire voglia di essere sotto un palco e urlare insieme a loro pezzi come Transenna o La Miglior Band Death Metal di Tutta Brescia. Io l’ho fatto e posso assicurarvi che è stato veramente bello. Ah, in tutto questo, per il 2019 hanno giù annunciato l’uscita del terzo album.
Abbiamo forse già trovato gli eredi di Fast Animals and Slow Kids e Ministri?
Dunk – Dunk
Ti piace vincere facile? Citazioni da pubblicità del Gratta e Vinci a parte, è stato un po’ questo il mio pensiero quando ho visto la formazione di questo progetto. Nei Dunk, nati alla fine 2017 e formati dai fratelli Giuradei, assieme a due top player del calibro di Carmelo Pipitone (Marta sui Tubi) e Luca Ferrari (Verdena), un po’ tutti riponevano delle aspettative abbastanza alte, fortunatamente rispettate.
Musicalmente siamo di fronte a un disco che risente delle influenze dei quattro musicisti (e ci mancherebbe altro!), spaziando fra il rock più puro, progressioni psichedeliche e una vena cantautorale che certamente non rimane in secondo piano. Da pezzi dinamici come Noi non Siamo o Avevo Voglia, dove il drumming di Luca è l’assoluto protagonista, si passa a ballad come Mila, dove la coda strumentale per certi versi molto post rock, vede un Pipitone in grande spolvero.
Non nego che una prosecuzione del progetto sarebbe davvero interessante, anche se dal buon Luca mi aspetto novità a breve sul fronte Verdena…
Any Other – Two, Geography
Mettere questo disco in un classifica di album italiani potrebbe sembrare quasi un controsenso. Any Other, al secolo Adele Nigro, ci consegna un lavoro che sembra spuntare direttamente dalla migliore tradizione indie (quello vero eh!) anni ’90.
Musicalmente parlando, di made in italy qui c’è davvero poco fra incursione quasi jazzistiche, arrangiamenti di una certa complessità e una produzione che strizza l’occhio ai dischi d’oltreoceano. Nei testi, rigorosamente in inglese, Adele parla apertamente di se stessa, senza nessun timore reverenziale e con una chiarezza in alcuni frangenti quasi disarmante, come ad esempio in Walkthrough dove, senza troppi giri di parole, canta: “I ask you fuck me as hard as you can / I wouldn’t feel anything”.
Dopo un 2018 che l’ha vista impegnata, oltre al suo progetto, anche in tour con Colapesce come chitarrista/sassofonista e in collaborazioni con artisti come Generic Animal, Kyss Keta e Giardini di Mirò, per Adele, nonostante la giovanissima età, non si può che prospettare un futuro come uno dei nomi di punta della nostra scena indipendente.
Siberia – Si vuole scappare
Asolo, 22 Agosto 2017: un gruppo livornese di nome Siberia si appresta ad aprire la prima giornata dell’Ama Music Festival, che aveva come clou della serata gli Interpol, i quali celebravano i quindici anni di quel capolavoro assoluto di Turn on the Bright Lights. Non avendoli mai ascoltati prima su disco, la mia prima impressione fu quella di una band che si inseriva in quel solco new wave – post punk tracciato, in Italia, dai Diaframma più di trent’anni prima. Del resto, con un nome del genere l’assonanza era anche abbastanza scontata.
Estate 2018: dopo aver scoperto che il nome della band deriva dal famoso romanzo Educazione Siberiana (e non dallo storico album di debutto di Fiumani & co) mi imbatto quasi per caso nel singolo Nuovo pop Italiano, estratto dal loro secondo album, Si vuole scappare, uscito in primavera, rimanendo positivamente colpito anche grazie ad un certo rinnovamento nelle sonorità, dovuto soprattutto a un maggior uso dell’elettronica.
Passare all’ascolto del disco è stato il passo successivo.
Le influenze wave sono sempre ben presenti: Interpol ed Editors su tutte, ma anche Joy Division, soprattutto nell’aspetto testuale; sul versante italiano non possiamo non notare una certa affinità con gruppi come i Baustelle, soprattutto negli episodi più pop del disco e nella voce baritonale di Sournia che rimanda in alcuni frangenti a quella di Bianconi.
A conti fatti è stato probabilmente uno dei dischi italiani che ho più ascoltato nel 2018 (almeno così dice Last.fm, quindi mi fido!).
Daniele Celona – Abissi Tascabili
“Celona, a mio modo di vedere, è uno dei migliori cantautori italiani, peccato che non lo consideri* nessuno“. Daniele Celona mi è stato presentato più o meno così da un mio amico, nonché suo grandissimo fan da tempo (*diciamo che usò un’espressione un po’ più colorita del verbo considerare).
Dopo avermi destato un’ottima impressione in sede live, ed essermi recuperato i suoi lavori precedenti, cosa di dire di Abissi Tascabili?
Innanzitutto, siamo davanti a un ottimo album rock, suonato da dei musicisti che sanno il fatto il loro; a livello testuale, il cantautore torinese dimostra di non essere secondo a nessuno. Fra gli ospiti del disco abbiamo dei nomi importanti del panorama indipendente italiano: vedi Pierpaolo Capovilla nel brano Shinigami, che effettivamente rimanda nelle sonorità al Teatro degli Orrori, e Paolo Benvegnù in Maelstrom. Importante è il comparto grafico: le dieci tracci dell’album difatti sono illustrate da altrettanti fumetti, curati dal Progetto Sigma. Un aspetto certamente non secondario per farci capire cosa realmente fa Celona attraverso le sue canzoni: ci racconta storie. Che a mio modo di vedere lo faccia veramente bene, beh, questo è un altro discorso.
Giardini di Mirò – Different Times
Quattro anni dopo l’ultima fatica in studio, la sonorizzazione del celebre film muto Rapsodia Satanica, seguita dai progetti paralleli dei vari membri, fra cui Spartiti, nel quale il leader della band, Jukka Reverberi, ha collaborato con l’ex Offlaga Disco Pax, nonché conterraneo, Max Collini, il gruppo di punta della scena Post Rock italiana torna con un nuovo album.
Un lavoro che si muove su un doppio binario: da una parte le atmosfere più eteree e cristalline, in costante bilico fra post rock e shoegaze, ottenute da complesse stratificazioni sonore; dall’altro una sorta di ricerca della forma canzone più tradizionale, oserei dire quasi pop.
L’album vede inoltre la partecipazioni di vari ospiti, sia internazionali sia italiani, coma la già citata Any Other che, nel prestare la loro voce, ben si inseriscono nella complessa architettura sonora del gruppo di Cavriago.
STORM{O} – Ere
Dalle fredde montagne bellunesi alla conquista dell’Italia e dell’Europa. Un’impresa impossibile? No, se ti chiami STORM{O}. Possiamo già vedere il nome come una sorta di manifesto programmatico: un processo metonimico che dall’unione di tanti elementi, singolarmente innocui (in questo caso gli uccelli), vanno a formare un qualcosa di unico che si muove compatto verso la meta.
Idealmente anche la loro musica è così: i singoli strumenti, nella semplicità della loro formazione (basso, batteria, voce e chitarra), si fondono tra di loro per creare un sound che è un enorme cazzotto scagliato con una violenza inaudita verso l’ascoltatore.
I riferimenti sono chiari: su tutti la grande tradizione hardcore americana, vedi Converge e Botch, ma anche anche gruppi come Jesus Lizard e Shellac, specie nelle poche volte in cui ritmi si abbassano.
Un disco che non può e non deve lasciar indifferente. Ruvido, corrosivo, dai testi profondamente crudi ma impregnati di una ricercatezza formale non indifferente. Una sfida difficile da affrontare ma che alla fine, se portata in fondo, saprà ripagare.
Riviera – Contrasto
Venticinque minuti, neanche mezz’ora: è questa la durata di Contrasto. A voler essere pignoli lo dovremmo definire un Ep piuttosto che un album. Disquisizioni sulla lunghezza a parte, quello che ci troviamo davanti è un piccolo grande disco, una gemma incastonata nel panorama emo rock italiano, che vede nei Riviera uno degli interpreti più importanti.
Otto tracce che parlano di amori finiti, solitudine, disillusioni nei confronti di quel futuro nel quale tutti noi riponiamo delle speranze; temi certamente che rappresentano dei tòpoi ricorrenti nel genere, ma che, tuttavia, sono raccontati dalla band romagnola attraverso il ricorso a immagini vere, dove ogni parola ha il suo peso e il suo significato, lontani da banalizzazioni o dal ricorso di clichè pronti all’uso.
Sul piano prettamente musicale, ho trovato l’utilizzo dei fiati un qualcosa di veramente stupendo: quella tromba che appare e scompare, a seconda delle esigenze dei vari pezzi, è l’elemento che mi ha fatto innamorare definitivamente di Contrasto. Il mio disco italiano dell’anno, se non fosse che…
Winter Dust – Sense By Erosion
Se non fosse che nel mese di dicembre mi sono imbattuto in questo album.
Nel sempre più crescente movimento post rock italiano, i Winter Dust occupano un ruolo di primo piano e Sense By Erosion, il loro secondo album, uscito a cinque anni di distanza dal debutto Autumn Years (e inframezzato dall’Ep Thresholds), rappresenta una vera e propria prova di maturità.
Le influenze post rock più classiche (vedi Mogwai, Caspian, Explosions in the Sky), che emergono nelle eteree ma possenti trame chitarristiche, vanno a braccetto con quelle post hardcore, specialmente nei (pochi) momenti in cui subentra anche la voce (e qui gli Isis del buon Aaron Turner fanno capolino).
La doppietta iniziale Duration of Gloom e All my Friends Are Leaving Town rappresenta probabilmente due dei miei brani preferiti del 2018, specialmente il secondo dove, dopo un lento incedere iniziale, il pezzo raggiunge il suo climax con un’esplosione di rara bellezza, dove le chitarre emergono in primo piano.
Giunto a questo punto, posso finalmente dirlo: Sense By Erosion è il mio disco italiano del 2018.
Bene, ma per il 2019?
Vorrei un attimo concentrarmi sulle mie aspettative per questo 2019. In cima alla mia lista dei desideri per l’anno venturo ci sono sicuramente i ritorni di band come Fast Animals and Slow Kids, Verdena e Fine Before You Came, o di progetti solisti come Iosonouncane.
Sarà purtroppo difficile rivedere sui palchi, o su disco, un gruppo come Il Teatro degli Orrori che, nonostante non lo abbia mai annunciato ufficialmente, sembra esserci sciolto o comunque in pausa a tempo indeterminato.
Sulla scia dei Dunk, un altro supergruppo è pronto a partire, gli Hate my Village. A leggere la formazione del band siamo davanti a tre pezzi da novanta: Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosions), Fabio Rondanini (Calibro 35/ Afterhours) con la collaborazione di Alberto Ferrari (Verdena).
Dopo il singolo Nascosto in piena vista, uscito a sorpresa a metà novembre e facente parte della colonna sonora del film Troppa Grazia, in tanti si aspettano il ritorno de I Cani. Chissà se a tre anni di distanza dall’acclamatissimo Aurora Niccolò Contessa si rifarà vivo.
Da tener d’occhio la sempre più viva e ricca scena post rock e shoegaze, che tra ritorni già annunciati (Be Forest su tutti) e nuove rivelazioni, potrà regalarci dei lavori importanti, anche in un genere sempre considerato di nicchia nel nostro paese.
E infine, come non nutrire della sana curiosità per l’approdo a Sanremo degli Zen Circus e di Motta?
Insomma, almeno dalle premesse, questo 2019 Made in Italy ha tutte le carte in regola per farci divertire.
Leonardo Bindi.