Iran: alla Corte dei Miracoli il racconto necessario di un partigiano

Lo scorso 3 gennaio Trump ordina un attacco militare in Iran, che causerà la morte del generale Soleimani. L’evento ha avuto un fortissimo impatto mediatico ed emotivo, in tutto il mondo. C’è chi si schiera, chi si inorridisce, chi si domanda chi fosse la vittima, e chi teme una guerra. I social network diventano a questo punto luoghi di sfogo per ogni reazione: nel mondo virtuale tutto-si-può-dire-niente-può-accadere.

Leggiamo commenti e notizie di ogni tipo. Moltissimi utenti si accaniscono contro la mossa di Trump: si leggono dibattiti anche parecchio ”violenti” su Facebook, riguardo diverse linee di pensiero. Eppure, per quanto ci sentiamo tirati in causa in veste di cittadini del mondo ( o semplicemente di ”chiacchieratori”) non tutti noi conosciamo la realtà iraniana. Ammettiamolo: c’è confusione.

C’è forse anche disinformazione. Le nostre idee si formano sulla base di ciò che pretendiamo di sapere. Allora all’interno di questo dibattito virtuale, coloro che invece realmente sanno, sentono il bisogno di spiegarci come stanno le cose.


COSA STA SUCCEDENDO IN IRAN?

Così, partendo da una serie di commenti on line, Mohsen Sariaslani sente la necessità di condividere in pubblico una parte del suo vissuto. Mohsen, a Siena lo conosciamo bene. É un poeta, un fotografo, un intellettuale. Una persona che affascina.

Vive in Italia da diverso tempo ormai, ma le sue radici sono iraniane. Lo scorso lunedì sera, alla corte dei miracoli, abbiamo avuto l’onore – e uso questo termine con totale sincerità- di potere ascoltarlo.

Io so che a voi risulterà difficile immaginare quello che vi dico. Non voglio nemmeno appesantirvi, o rendervi tristi. Vedo però che c’è bisogno che vi racconti queste cose, perchè io ho vissuto sulla mia pelle la repressione di un regime disumano, e Soleimani ne era la guida militare”


UN PO’ DI STORIA

Mohsen parte raccontandoci brevemente gli ultimi 70 anni di avvenimenti in Iran.

Nel 1951 prendeva spicco la figura di Mossadeq. Questi divenne primo ministro durante l’esilio in Italia dello Scià (il re di Persia) e nazionalizzò la rete petrolifera iraniana. Il petrolio in Iran era fino a quel momento gestito dalla compagnia petrolifera ‘‘Anglo-Iranian Oil Company” ( 1908), quindi in comune accordo con gli inglesi.

La Gran Bretagna, irritata dalla mossa di Mossadeq, dovette aspettare il 1953 per avere l’appoggio degli Stati Uniti al fine di organizzare un colpo di stato in Iran (i repubblicani vincono le elezioni americane e sono anch’essi a favore di un cambiamento).

Viene così riposto lo scià che, sotto consiglio di Eisenhower comincia a rendere il paese più vicino all’occidente, nel corso degli anni. Viene dunque proposta e messa in atto una serie di riforme ambiziose: comincia la cosiddetta Rivoluzione Bianca (1963). Tra gli obiettivi figuravano anche la parità dei sessi e l’abolizione del feudalismo.

Da questo punto l’Iran comincia a diventare un paese filo-americano e vive un periodo molto prospero economicamente. Si comincia però ad instaurare un regime dittatoriale.

Solo nel 1979 il popolo si ribellò allo scià, costringendolo all’esilio. A questo punto Khomeini diventa guida spirituale dell’Iran, capo del regime dei mullah ( musulmani sciiti) tuttora in vigore.

Comincia così un periodo di ancor più brutale dittatura e repressione. I pasdaran ( organo militare iraniano di cui al giorno d’oggi era capo Soleimani) cominciarono a colpire l’America, accusandola di avere in custodia lo scià. Da qui, i rapporti tra Iran e usa diventano molto tesi.


VI RACCONTO LA BRUTALITÀ

”Mentre avvenivano questi fatti io ero un ragazzino, avrò avuto 14 anni” dice Mohsen.

”Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia di intellettuali e poter formarmi un’ idea. Ero dalla parte dei socialisti che si ribellavano ad ogni forma di dittatura: io volevo la democrazia! Tutti volevamo la democrazia. Un giorno, il mio insegnante mi diede un libro da leggere: la fiaba di un pesciolino anarchico, apparentemente per bambini.

Leggere era pericoloso, perché potevi cominciare a porti domande, a pensare. Il regime aveva dato fuoco a molte librerie, ricordo.

Cambiai idea più e più volte, ma sempre in lotta contro le brutalità di quel regime. Con i miei amici manifestavo. Eravamo pacifici: non avevamo neppure un’arma con noi.

Ricordo che una volta, durante un corteo, agitavo un giornale con la mano sinistra. Arrivò un seguace di Khomeini e tentò di colpirmi con un coltello. Un amico mi strattonò via e mi salvò la vita. Resta ancora su questa mano, potete vedere, la cicatrice che mi hanno causato quel giorno.

Una volta occupammo una prigione in cui venivano segregati i prigionieri politici. I muri di quel luogo trasmettevano qualcosa di terribile. Si sentivano urla ovunque.

Non sapevo che a distanza di poco, io stesso sarei finito lì dentro.

Mi aveva preso la polizia. Il 21 giugno sono stato arrestato. Per un lungo periodo la mia famiglia non ha avuto più mie notizie”.


LA PRIGIONIA

Quando mi arrestarono ricordo di avere conosciuto una ragazza. Ci siamo incontrati mentre tentavamo di gettare nel wc i messaggi che ci scambiavamo tra compagni. Ci si scriveva biglietti con il succo del limone o della cipolla in modo che fossero visibili solo davanti a fonti di calore. Parlai con lei molto rapidamente: fu la prima persona che conobbi lì.

Ci torturavano in ogni modo. Non solo fisicamente: facevano leva anche sui nostri sentimenti. Quando volevano informazioni ci minacciavano. A volte facevano venire i figli piccoli di alcuni e si mostravano pronti a fare loro del male, pur di ottenere quel che volevano. Capitava spesso che ci svegliassero, la mattina, per fucilare qualcuno. Per loro era una cosa normale, leggera. Venne anche il giorno in cui presero il mio amico, quello che mi salvò, di cui vi ho parlato. Gli spararono.

Una volta svenni dopo essere stato picchiato. Mi svegliai sentendo la voce di una ragazza cantare. La sua voce è ancora oggi nella mia testa. Ad un tratto si sentono dei colpi di fucile, e la voce smette improvvisamente.

Era la ragazza che avevo conosciuto il giorno in cui arrivai”.


SE UNO DI NOI RESISTE, ABBIAMO VINTO

”Un giorno” prosegue Mohsen un po’ commosso ” arrivò un ragazzo che conoscevo. Mi disse che se anche uno solo di noi fosse riuscito a sopravvivere, allora avremmo vinto tutti. Era impossibile resistere alle atrocità che subivamo.

Capitò che chiamarono la mia famiglia, una volta. Chiesero un riscatto dopo avere detto loro che mi avevano ucciso: dovevano pagare per riavere la mia salma. Quando mi videro vivo, scoppiarono tutti in singhiozzi. Mi hanno abbracciato, poi li hanno fatti andare via e io sono tornato nella mia cella”.


POESIA E BELLEZZA

Non conoscevamo armi. Noi giovani desideravamo poche cose: la poesia, la bellezza, la democrazia. Ed eravamo disposti a morire per ottenerle. ” Così dicendo, Mohsen ci mostra un libro su cui sono documentate le atrocità del regime dei mullah. Si tratta di un volume pubblicato nel 1987, e dedicato alle vittime dell’oppressione. Tra le pagine figurano elencati i quasi 15.000 nomi di chi ha subito la violenza dittatoriale.

“Non vi racconterò di come sono riuscito a salvarmi. Magari un’altra volta” dice Mohsen. “Per adesso mi basta avere almeno provato a farvi capire che cosa sta subendo l’Iran da ormai quarant’anni. Ora sapete chi sono i pasdaran, cosa facevano, chi era davvero Soleimani e perchè a molti non dispiace che sia morto.

Non inorridirsi davanti alla mossa di Trump non significa avere una simpatia verso di lui. Al 98% non sono d’accordo con la sua linea politica. Per quel minuscolo 2 % che riguarda l’Iran però lo sono, almeno ora.

Soleimani era il generale dei pasdaran, la forza militare del regime nato sotto Khomeini, che da oltre 40 anni tortura le persone. Lottano per la diffusione del credo islamico sciita, su cui la stessa dittatura si basa. Sono le peggiori, le atrocità giustificate dalla religione.

Leggendo le forti critiche mosse verso il presidente USA, ho sentito il bisogno di raccontarvi quello che nessuno, forse, vi ha mai detto”.


DIFFIDATE DELLE NOTIZIE IN TV

Mohsen conclude: “So che per voi è difficile immaginare. Per fortuna lo è. Non vi voglio rendere tristi o impressionarvi, ma voglio solo essere una piccola testimonianza di una lotta durissima.

Diffidate dalle notizie in TV. I media che circolano sono controllati dal regime. Vedete le folle che piangono ai funerali di Soleimani? Il regime ordina e diffonde ciò che vuole. Sapete come funziona, lo studiate con il nazismo ad esempio.

Qui in aggiunta c’è una motivazione religiosa che aggrava, a mio avviso, la situazione. Spero, questa sera, di essere riuscito a farvi capire qualcosa in più”. così dicendo Mohsen conclude il suo incontro.


UNA VOCE DALL’IRAN

L’incontro è stato emozionante. Tanti dei presenti conoscevano Mohsen, ma pochi sapevano quale fosse la sua storia. Ancora meno forse, quella del suo paese. A Siena abbiamo la fortuna di vivere una realtà culturale davvero vasta: l’Università è un luogo d’arrivo per moltissimi ragazzi stranieri. Abbiamo inoltre l’onore di avere qui alcuni docenti con un vissuto simile a quello di Mohsen.

Allora, ragazzi: facciamo un passo indietro e diventiamo consapevoli di due fattori: la nostra fortuna e il nostro non-sapere. Siamo fortunati perché ( noi italiani, ad esempio) viviamo in una realtà acciaccata, è vero, ma non ancora terribile. Fortunati anche perché abbiamo modo di ascoltare la testimonianza viva di chi sta lottando contro il marciume della Storia.

Mohsen, e altri come lui, hanno sentito il rumore della morte, negli spari e nel silenzio. Hanno vissuto quel ”qualcosa di indicibile” che somigliava al terrore, in carcere. Hanno accettato di morire, tutti insieme, affinché il futuro fosse migliore. E ora sono qui, tra di noi, disponibili a raccontarci tutto.

Prendiamo consapevolezza del nostro non-sapere: tacciamo e ascoltiamoli. Facciamolo almeno in onore della verità, che viene continuamente distorta. Passate in negozio da Mohsen, allora. O tra i banchi dell’Unistrasi, o in mensa. Ovunque. Troverete sempre uno di questi partigiani, con le lacrime e il sudore che hanno il profumo della loro terra.

La Storia la stiamo scrivendo tutti, al momento. Anche chi sta a grattarsi la pancia l’intero giorno. Certo, qualcuno si prenderà la briga di metterla per iscritto al posto suo, ma ne farà anch’egli comunque parte. Passivamente.

Ci sono altre persone che invece si ritrovano come le mani sporche di sangue: sangue di un amico di cella, o il proprio, che sgorga da una ferita non ancora mortale. Sangue di chi era stanco delle ingiustizie e voleva porre fine ad una situazione disumana. Sangue che è schizzato ovunque, nel momento in cui qualche uomo bestiale ha deciso di premere un grilletto in nome di un dio, o di un dittatore.

Queste persone si ritrovano con le dita rosse. Hanno addosso il liquido vitale di un martire come loro, di un amico o di un compagno. Loro, a differenza nostra, la Storia la scrivono con quelle mani lì. Ingiustamente tinte di morte, sporche.

Forse non faranno in tempo vedersele ripulite, chi lo sa. Intanto però cominciamo a capire che prima dei giornali, prima dei media, prima delle nostre idee dobbiamo andare a cercare questi ”partigiani”. Sono ragazzi come noi, o lo sono stati.

Sono qui, nascosti tra noi.

Mohsen è riuscito nel suo intento.


Veronica Saglimbeni

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