#ILCLASSICOINATTESO: CRONACHE CHIGIANE 3

“Schumann? chi lo studia più? È un autore trascurato perché intimo in una società che di intimità non ne ha più”. Sono state queste parole del compositore italiano Salvatore Sciarrino ad accompagnarmi i giorni precedente la rappresentazione di “Carnaval” di Robert Schumann per Il Classico Inatteso della Accademia Chigiana.

Non ero molto d’accordo: quanti dischi registrati, quanti opere del genio tedesco continuano ad essere interpretate! Ma quella parola, “intimità”, continuava a risuonare nella mia testa. Forse era vero: Schumann si studia, pero sono ormai pochi coloro che riescono ad ascoltare, scoprire e vivere la sua poesia e cogliere il suo più profondo e intimo messaggio.

“Carnaval” è un’opera originale. Originale prima di tutto per il crittogramma musicale di cui il compositore tedesco fa uso per strutturale la raccolta: tutti i brevi pezzi che la costituiscono cominciano con le note la, mi bemolle do e si, che, nella scuola musicale anglosassone, si leggono  A – S – C – H.

Queste lettere, che apparivano molto chiaramente nel cognome dello stesso Schumann, formavano assieme il nome della cittadina boema dove era nata la fidanzata che, prima di Clara Wieck, in quegli anni stava conquistando il cuore del giovane pianista: Ernestine von Fricken.

Ma “Carnaval” è anche altro: è una vera e propria sfilata di personaggi assurdi e surreali, tragici e divertenti che, brano dopo brano, marciano dando vita a un macabro carnevale. Non c’è bisogno della psicoanalisi per capire di cosa si tratta: Eusebius, Florestan, Arlequin, Pierrot ed Estrella non sono altro che la personificazione di tutte le paure, di tutti i fantasmi più assurdi che in quel momento agitavano la mente di Schumann. 

Questo è “Carnaval”, il trionfo di una intimità macabra e tragica, folle e schizofrenica con cui Schumann sembra anticipare, attraverso l’elegante luce della musica, i tristi protagonisti di quella pazzia che lo porterà lentamente alla morte. Sciarrino dunque aveva ragione: troppa intimità per un mondo superficiale ed effimero come il nostro.

Ma l’altra sera, al Teatro dei Rozzi, quest’intimità ha fatto ritorno. Per un’ora e poco più. Sufficiente per respirare e sentire nuovamente la profondità e la modernità della musica schumanninana.

Profondità, si. Profondità del suono, della musica: grazie all’elegante pianista Roberto Prosseda, la bellissima raccolta schumanniana è riuscita a ritrovare la sua affascinante tridimensionalità musicale e soprattutto psicologica. Una tridimensionalità fatta di suoni liquidi e ruvidi, dolci e amari, in un costante quanto affascinante equilibrio tra follia e razionalità, ironia e amore. Tra vita e morte.

È un suono dunque che, mettendo da parte le coordinate verticali ed orizzontali, va oltre, in profondità, verso l’esterno, il mondo e dunque contro tutti i mostri che lo abitano. Ma anche verso l’interno, verso l’intimità umana per affrontare i suoi fantasmi.

Dunque un viaggio a doppio senso che la raffinatissima penna del poeta cubano – francese Armand Godoy (1880-1964) è riuscito a tematizzare e trasformare in delicate poesie, pubblicate nel 1927 col titolo “Carnaval de Schumann” e lette dallo scrittore Nicola Muschitiello.

All’alternarsi di parole e musica in un affascinante dialogo estetico e pure temporale, si sono aggiunti i movimenti e la danza della scuola di ballo di Siena in una interessante, a volte invadente, interpretazione teatrale.

Ma torniamo ai versi, Quei delicati e tristi versi del poeta creolo, versi dove si percepisce immediatamente una dolorosa sintesi del romanticismo tedesco di Schumann con la contemporaneità di Godoy, un poeta che, da Cuba a Parigi, da Poe a Baudelaire, ha vissuto sulla sua pelle la morte della modernità e la nascita sanguinosa del 900.

Tornano così in Godoy tutti i sentimenti e le paure che abitavano e tormentavano la mente di Schumann: il dolore e la solitudine, l’amore e il sogno, la follia e la felicità che si traducono, attraverso le parole, in una modernità ermetica e nera ma allo stesso tempo chiara e trasparente, capace di condividere il suo principale obbiettivo: ascoltare, scoprire e vivere Schumann in una luce diversa, testimone di una estetica più moderna. Più “nostra.

 

Francesco Milella

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *