Un monumento come Iggy Pop non ha certo bisogno di presentazioni. Il cantante americano è figura importantissima per un vasto numero di generi, dal punk (di cui ha fatto la storia coi suoi Stooges), fino al pop e al blues grazie alla sua carriera solista. Carriera che sembra non voler finire mai, visto che siamo arrivati a quota 17 album: in particolare, quest’ultimo Post Pop Depression era decisamente inatteso, considerando che la precedente raccolta di inediti (Preliminaires) era datata 2009. E invece, a sorpresa, l’Iguana è tornato: e non da solo.
Basta guardare la copertina del disco per scoprire i nomi dei musicisti coinvolti: fra essi, spicca quello di Josh Homme, mente e chitarra di Queens of the Stone Age ed Eagles of Death Metal. La domanda sorge spontanea: quali elementi potrà aver apportato Joshua al sound di Iggy Pop? La risposta è nascosta fra i solchi (siamo dei romantici) di Post Pop Depression, un album che riporta l’Iguana ai livelli che lo competono, dopo alcune prove non esaltanti.
Le canzoni qui contenute rappresentano il frutto di un incontro di generazioni: un evento del genere può portare a del materiale troppo disomogeneo e male assortito, o ad un felice connubio di stili musicali in apparenza lontani ma in realtà perfettamente accoppiabili. Fortunatamente, Post Pop Depression appartiene alla seconda categoria. I brani di questo disco scorrono che è un piacere e mettono in bella mostra quella che potrebbe tranquillamente essere definita una seconda giovinezza per Mr. Osterberg: il singer americano non era protagonista di una performance così convincente e ricca di energia da molto tempo.
Il merito di ciò può essere tranquillamente attribuito anche alla collaborazione con Homme: di sicuro, la presenza del chitarrista di Joshua Tree si è fatta sentire in fase di songwriting.
In tutto questo, la mano di Homme ha modo di farsi percepire, talvolta in maniera più esplicita (Paraguay, In The Lobby), ma in generale lungo tutto il platter. È come se il sound tipico di Iggy Pop si fosse vestito di un abito degli anni ’00: il risultato sono canzoni indubbiamente in linea con la sua discografia, ma che suonano moderne e potenti. Una sorta di “aggiornamento” al rock contemporaneo per l’Iguana, nel quale non si può non vedere l’influenza del chitarrista dei Queens of the Stone Age.
In American Valhalla, un verso recita “I’ve got nothing but my name”: sembrerebbero parole di un artista che ha perso l’ispirazione e che può, dunque, essere difeso unicamente dalla fama acquisita nel corso della sua carriera.
Giacomo Piciollo
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