Hipster non si nasce ma si diventa: are u-ready for Hipsteria?

Hipsteria è il tema che abbiamo lanciato per la nostra festa, giocando l’asso nella manica e immergendoci in quella fetta sociale, gli hipster appunto, che tanto critichiamo ma che in fondo colpisce tutti noi. Siamo però sicuri di conoscere davvero il detestabile ma affascinante trash del momento?

Intanto, prima di calarmi nella parte seria e storica del post, ci tenevo a informarvi che, non appena ho vinto questo articolo, non ho potuto evitare di ascoltare in loop questa canzone.

Il termine hipster nasce in America negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, in quello che era il bacino degli appassionati di jazz, nel bel mezzo della cultura beat. La parola è formata da hip (aggiornato, all’ultima moda, moderno) e il suffisso –ster che, in inglese, serve a indicare l’agente, chi fa qualcosa. Quindi il significato nell’insieme diventa “chi si tiene aggiornato, all’ultima moda, chi segue la moda”. Di fatto il soggetto in questione si abbandona totalmente alle sue velleità anticonformiste, lasciandosi guidare da quelli che vengono definiti gli imperativi ribelli del sé. Si muove sopra le righe, ostentando un suo essere diverso rispetto alla massa informe, mescolando modi raffinati e atteggiamenti decadenti fauvisti. L’amore per il kitsch scandisce le sue serate o diventa il fil rouge per mappare i locali che frequenta.

Ci sono tantissime pagine che hanno dedicato una sbrodolata di parole a questo caso umano ormai sempre più mainstream e prevedibile. D’altra parte ogni periodo storico ha avuto la propria piaga sociale e a noi sono toccati i baffoni tatuati. Interessante è buttarsi in quella che è l’analisi superficiale e d’impatto: basta uscire di casa per trovare, nel raggio di 100 metri, barbe, camicette con fantasie estrose o occhiali dalle montature spaziali e quindi avere davanti un reale esemplare di hipster. O forse uno dai dubbi gusti estetici. Il look androgino per le ragazze va alla grande, ma aggiungiamo anche t-shirt stencilate, converse alte o vans sfondate, jeans talmente stretti da fermare la circolazione (NB: per LUI e per lei), papillon multi-color e bretelle démodé.

Ma ci sono altri fattori che accomunano questo gruppo sempre più ricco di partecipanti, che vi permette di scoprire di farne parte da anni senza averlo mai saputo, oppure di correre in direzione ostinata e contraria continuando a disprezzarli. Cercate l’ironia (utilizzata per nascondere i loro passati eterogenei più o meno oscuri), i gusti musicali cresciuti con etichette discografiche rigorosamente indipendenti, ma sopratutto ascoltate le loro splendide ed illuminanti opinioni. Ne hanno a bizzeffe e riguardano la fotografia, Instagram, il cinema, Instagram, Bukowski, Instagram, la musica che ascoltano. Frequentano locali con le lucine di Natale perennemente accese, piantine grasse ai tavoli e che servono rigorosamente veg o slow food.

Dopo essere stato al mercatino dell’usato (ancora meglio se all’East Market degli Imbruttiti) per prendere libri usati e vinili, se la tira senza averne l’aria e sappiate che il negroni che guarda dall’alto e mescola all’aperitivo può accompagnare solo. Lo sguardo annoiato e perso nel vuoto in realtà è calcolato per sembrare un vero intellettuale immerso nel suo flusso di coscienza che spesso si limita a cercare l’angolo perfetto per lo scatto delle lomo, le polaroid (l’immagine di sé che mette ansia). 

Ma dopo queste cinquecentotrentadue parole, mi rendo conto che forse ho speso troppo tempo per spiegare cosa vuol dire essere hipster senza soffermarmi su un punto fondamentale: hipster non si nasce, ma si diventa.


Quale occasione migliore per diventarlo se non al settimo compleanno di uRadio, sabato 24 giugno? Vi aspettiamo nel cortile del Rettorato, a partire dalle 18:30 con l’Europe Lounge in collaborazione con ESN Siena GES e dj set di Ballacoiloop, a seguire esibizione live dei Belindà e, per finire, dj set by Smerling dalle 23:30!

Elisa Carioni

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