"Generazione Erasmus": gli Zingari dello Studio

L’Erasmus. Dicono sia una delle esperienze che davvero cambia la vita. Un fenomeno che convince sempre più giovani a partire, anche se per pochi mesi, alla scoperta di nuovi luoghi o, forse, alla ricerca di se stessi. Enzo Lauretta, in Erasmus, c’è stato. E ha incontrato se stesso in mille altri volti. Così ha deciso di raccontarlo, nel suo libro attraverso una chiave particolare. “Gli Zingari dello Studio” è il racconto di Lorenzo Brigante, ma anche un progetto. Ecco la nostra intervista.

Storie di volti. “Gli Zingari dello Studio” racconta di persone in viaggio per il mondo, ma fondamentalmente alla ricerca di se stessi. Secondo te, da cosa dipende questa sensazione di “smarrimento” dilagante?

Sarebbero tante le motivazioni, sicuramente un concorso di circostanze legate anche al periodo storico nel quale ci troviamo a vivere. Piuttosto, credo si tratti di cercare di capire che cosa potersi inventare nei confronti di questo “smarrimento”.

Gli Zingari dello Studio sono tanti e continuano a moltiplicarsi. Quali pensi possano essere le ragioni che spingono un ragazzo poco più che ventenne a chiudere una valigia e “andare VIA-DI-QUI”? Credi ci siano vantaggi e svantaggi provenienti da questa nuova globalizzazione? 

“La vita è altrove” diceva Milan Kundera e forse deve aver avuto ragione. Alla base c’è quasi certamente questo nostro essere ondivaghi di natura. Io credo che ci siano più vantaggi che svantaggi: uno su tutti quello di vivere insieme e condividere anche l’appartamento che diventa il simbolo, con le chiavi sulla copertina del mio libro, di un’esperienza che permette a persone d’identità culturali diverse di “contaminarsi” a vicenda. Se volessi in qualche maniera cercare di definire questa esperienza in termini più precisi lo farei utilizzando il titolo, che mai forse fu più azzeccato, di quello di una tesi universitaria sull’Erasmus appunto, intitolata: “Partire studenti, vivere sballati, tornare uomini.”

Gli Zingari dello studioKerouac è il mio pastore”, scrivi. Il tuo libro trae ispirazione da quella vita “sulla strada” che continua a mietere sognatori in tutto il mondo. Pensi che la nostra possa essere definita una nuova “beat generation”?

La nostra è semmai una “Generazione Erasmus”, che è anche il titolo di uno dei libri che, come il mio, si è occupato di trattare l’argomento. Io ho preferito coniare un’espressione tutta mia che si potesse riferire, in generale, ad ogni esperienza di studio che implica uno spostamento. Quello di Kerouac è più un espediente che utilizzo nel libro; il personaggio principale vorrebbe ricalcarne le orme, vivendo la sua esperienza per poi raccontarla, proprio come Kerouac.

“Il ritorno porta addosso mal di testa e mal d’anima” – cantano i Negrita. Com’è stato il tuo ritorno? Cos’è cambiato, davvero?

Mi piacerebbe rispondere citando un brano del mio libro che riguarda appunto il ritorno: “Era strano ritornare. Ti rendi conto che il solo ad essere cambiato sei tu. Credo avesse ragione Dennis quando diceva che non era realistica la vita che facevamo. Ed io pensavo a Dennis. Uno di quelli venuti a trasformare inconsapevolmente la tua esistenza. Un genio assoluto. È così che me lo ricorderò. E io pensavo a lui.” Aggiungo, inoltre, che se anche solo una cosa fosse andata diversamente io non avrei fatto le esperienze che ho fatto, non avrei conosciuto le persone che ho conosciuto e soprattutto non sarei qui dove sono ora a raccontare degli Zingari dello Studio.

Parliamo delle nuove frontiere del libro. Il tuo è un esempio di pubblicazione che, per ora, sembra poter fare a meno dall’edizione cartacea. Ti destreggi bene fra i social per divulgare più informazioni possibili sul tuo libro e intrattenere una sorta di comunicazione con i lettori. Pensi che questo sia il futuro degli scrittori?

Si, assolutamente, perché appare chiaro oggi che le cose siano cambiate e che i nuovi canali che abbiamo a disposizione permettano di fare più di quello che si sarebbe mai sperato di poter fare per un libro. Io sono dell’idea che l’autore stesso debba interrogarsi su cosa fare per la sua opera ed è da qui che ho deciso di partire, una volta pubblicato il libro, costituendolo come un progetto. Il mio obiettivo, in tal senso è quello di mostrare come un libro possa trascendere la dimensione letteraria per farsi comunità su Instagram, cortometraggio, web serie e che quindi si possa promuovere in maniera diversa, e cosa più importante in questo caso, del tutto autonoma.

 

Mariana Palladino

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