Fuocoammare come una partenogenesi, un film che si è autoindotto, auto-fecondato. Nessuna scena era mai stata scritta, concepita, prima che si palesasse davanti alla cinepresa. E qui sta la meraviglia: quando dico che il mio film è un documentario è perché tutto nasce sempre dalla realtà.
Gianfranco Rosi
Lunedì 10 Dicembre, in occasione dei 70 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il SISM (Segretariato Italiano Studenti di Medicina) ha organizzato in collaborazione con (e presso) il Santa Chiara Lab la proiezione del film-documentario Fuocoammare.
Il titolo è tratto da una canzone popolare lampedusana (dove viene girato il film) , la quale viene trasmessa in radio durante le riprese. Il testo della canzone non esiste: come in tutte le tradizioni popolari è conosciuto da tutti, non ha bisogno di trascrizione. Si ambienta nel 1943, in periodo di guerra, quando ancora non esisteva illuminazione elettrica pubblica: le bombe lanciate dalle navi militari in mare producevano una tale luminosità da scaturire l’immagine di un incendio in mare. Quest’ultimo è il filo rosso che lega migranti e lampedusani durante il documentario, ovvero nella realtà.
La trama si districa, infatti, su queste due vite parallele: i lampedusani sono al corrente degli sbarchi migratori, ma a entrare in contatto con questo fenomeno sono esclusivamente coloro che assistono durante e dopo lo sbarco.
Eccezionale lavoro di post-produzione e montaggio, il film sembra in alcuni momenti farci perdere il contatto con la realtà. I protagonisti sono i giovani e giovanissimi immigrati dalla Libia, Senegal, Eritrea, Siria, Nigeria ecc, che attraversano il deserto bevendo la loro pipì per sopravvivere; si imbarcano in un mezzo che paradossalmente li divide, nella loro indigenza, addirittura in classi a seconda di quanto possono pagare.
Inutile dire che l’immagine della parte sottostante del barcone è un ammasso di cadaveri. Dall’altra parte invece la vita dei lampedusani scorre con i suoi semplicissimi ritmi, che in questo parallelismo ci appaiono piuttosto privilegi.
Al termine della proiezione c’è stato un intervento in cui sono state spese due parole per rinfrescarci la memoria su alcuni fatti storici che hanno portato alla vigente normativa in campo.
Ogni volta che si guardano questi casi disperati di attualità ci si chiede: cosa possiamo fare? Ci sono tante cose che possiamo fare: una di queste è essere tolleranti verso tutti e fare in modo che questo non sia solo un comportamento che ci renda brave persone, ma che anzi contagi il modo di pensare di chi, in maggioranza sempre crescente, scelgono di farsi coinvolgere dall’oscurantismo e dalla paura.
Ludovica Carlini.
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