FILO SOUND FESTIVAL: TUTTO L’INDIE DI CUI HAI BISOGNO

Si è svolta ieri la prima giornata del Filo Sound Festival, un evento alla sua prima edizione che ha portato la musica live indie nel cuore della Maremma, nella bellissima cornice della Cava di Roselle.

Sono state tre le band che si sono esibite: i torinesi Eugenio in Via di Gioia, i grossetani Abiku e i genovesi Ex-Otago. uRadio li ha intervistati per voi.

EUGENIO IN VIA DI GIOIA

“Giovani Illuminati” descrive un po’ la nostra generazione e il rapporto con le nuove tecnologie e il web: una critica all’alienazione a cui portano. Come vi rapportate a queste tecnologie che, al giorno d’oggi, sono fondamentali per la produzione e la promozione della vostra musica?

È un po’ la nostra prigione. Ne siamo attratti e spaventati. Ne siamo schiavi. Io sono schiavo della tecnologia. Più che della tecnologia, dello smartphone. Lo utilizziamo per i nostri scopi musicali. Però, da una parte, è un po’ una scusa per poterci stare sempre attaccati.

Qual è il vostro “chiodo fisso”?

Forse proprio questo (la tecnologia, ndr). Il cibo, quando siamo in tour, l’acqua gasata. Poi, dipende cosa intendi per “chiodo fisso”. Nella nostra canzone è inteso come un qualcosa che entra per sbaglio nella tua vita, quasi come fosse una droga e poi questa droga scopre di avere un posto nella tua vita grazie a te. Sono le relazioni malate, ecco.

A chi vi ispirate? Quali sono le vostre muse?

Beh, ci sono diverse muse da cui, più che trarre ispirazione, copiamo. Per Tutti Su Per Terra c’è stato molto Beirut, Edward Sharpe and The Magnetic Zeros, gli Alt-J per le percussioni. Di italiani, un sacco di artisti emergenti. In ogni festival a cui suoniamo incontriamo altri gruppi, più o meno al nostro livello, e ci scambiamo i cd. Abbiamo una macchina strapiena di cd di artisti emergenti che ascoltiamo un sacco. Quelli che ascoltiamo di più sono Bianco, la Rappresentante di Lista e Giovanni Truppi.

Secondo voi, com’è cambiata la discografia indie negli anni? Ha ancora senso parlare di “indie” e “mainstream”?

Non ha alcun senso. L’indie è il nuovo mainstream. Bisogna solo scrivere belle canzoni e poi, adesso che si può, passiamole in radio. Sfruttando l’onda mediatica dell’indie che sta andando di moda, un artista indipendente può arrivare in radio anche senza una major. Quindi, ben venga. Facciamo scrivere belle canzoni agli artisti italiani, a noi soprattutto. O indie di moda o no, noi siamo sempre sfigati.

Dove vi vedete tra 5 anni?

A settembre ci sciogliamo, tra 5 anni facciamo una reunion e speriamo che venga qualcuno! A parte gli scherzi, speriamo di continuare il percorso che stiamo facendo adesso, una crescita graduale ma costante, che tra 5 anni ci porterà là (indicando il main stage, ndr), a pagare le bollette con la musica. O entrare nei teatri. Mangi bene, suoni ad un’ora decente, la gente ti ascolta perché è seduta. In effetti, il top non sarebbero gli stadi, ma i teatri. I teatri grossi come gli stadi: il Colosseo!

Quali sono le prossime date del tour?

Brescia, Cuneo, Genova, Apolide, Alba, Basilicata e Calabria.

ABIKU

Che effetto vi fa suonare a casa?

Un effetto particolarissimo, specialmente stasera, perché faremo più che altro pezzi che nessuno ha mai sentito e sui quali abbiamo lavorato negli ultimi anni. Siamo particolarmente contenti di farlo a casa, davanti ai nostri amici, che in qualche modo hanno un canale preferenziale per capire di cosa parliamo nelle canzoni, quindi è il posto giusto per fare un concerto del genere. È bello.

Vi rende più nervosi suonare a casa o fuori?

Ma no, siamo sempre abbastanza tranquilli.

Nelle vostre canzoni fate tanti riferimenti a Grosseto e alla sua provincia, ma siete un po’ sparpagliati in giro per l’Italia. Quanto c’è di casa e quanto delle vostre vite lontano dalla Maremma?

Nei dischi precedenti c’è tantissimo di casa, in quelle nuove qualcosa di meno.

Qual è l’origine del vostro nome?

È una parola che ho letto in un libro di uno scrittore africano, Ben Okri, La Via della Fame. Il nome fa riferimento ad una leggenda del centr’Africa e mi piaceva come suonava questo nome.

Secondo voi, com’è cambiata la discografia indie negli anni? Ha ancora senso parlare di “indie” e “mainstream”?

Senz’altro, recentissimamente, si è venuto a creare una sorta di ponte tra il mondo indie e il mondo mainstream. Si vedono sempre più progetti provenienti dall’ambito indie che fanno i numeri dei mainstream, e questo mi fa molto piacere, mi sembra una prospettiva molto interessante per il futuro.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Far uscire il nostro nuovo disco, abbiamo quasi finito di registrarlo.

Avete già la data di uscita? No, ancora no.

EX-OTAGO

Siete una band che ha una formazione abbastanza “antica”, potremmo dire. Chi erano gli Ex-Otago 15 anni fa e chi sono oggi? Cosa avete tenuto costante in tutti questi anni e cosa è cambiato?

Beh, è una domanda bella tosta. Sicuramente ciò che è immutato è la visione dello “stare dentro la musica”, estremamente spontanea, anche un po’ coraggiosa e genuina. Abbiamo sempre voluto e fatto ciò che ci passava per la testa e continuiamo a fare esattamente questo, e continueremo. E poi sono cambiate un sacco di cose, che neanche ricordo tutte. Prima di tutto, il tuo ciuffo! Il ciuffo, esatto! Che si muoveva in maniera abbastanza indipendente dalla mia volontà e che però era sempre di lato, adesso ce l’ho più sbarazzino. E, comunque, il bello degli Otaghi è che siano sempre e comunque persone semplici nonostante il loro enorme e incredibile successo!

Quando eravate piccoli, sognavate di fare gli indiani. E adesso cosa sognate?

Beh, Olmo fa il geometra, quindi…

Sì, ho una piccola attività, piccoli abusi edilizi in zone dislocate. È una cosa che mi dà tanto.

E ora l’indiano lo fai col fisco!

Dopo essere stati in capo al mondo, siete tornati a Marassi, il posto dove siete nati. Come mai questo ritorno alle origini?

Ce n’è sempre bisogno. Se ci pensi, siamo la generazione che può contare decine e decine di amici che sono andati dall’altra parte del mondo a lavorare, a cercar fortuna, a fare esperienza all’estero e poi, se ben vedi, un gran numero di questi amici, più passano gli anni, più ritornano a casa. C’è chi si ferma, però in tanti dicono “ma sai cosa? A casa non si sta poi così male”. Il gran pregio di essere stati fuori è di guardare casa sotto una prospettiva nuova. Tutto ciò che magari sembrava noioso, stantio, limitante, vecchio, troppo banale, una volta che si è stati fuori si scorgono quelle piccole sfaccettature, quegli anfratti a cui non si faceva caso, che sanno raccontare un sacco di cose, com’è Marassi per noi.

Siete nella musica da tanto tempo. Secondo voi, com’è cambiata la discografia indie negli anni? Ha ancora senso parlare di “indie” e “mainstream”?

Adesso che è mancato Paolo Villaggio, a questa domanda si può rispondere solo con una risposta: “è una cagata pazzesca!”. La storia sta dimostrando il contrario, questi mondi si stanno confondendo. Ci è capitato di recente di andare al Festival Show a suonare, una specie di Festivalbar, dove abbiamo potuto vedere da vicino un po’ il mondo al contrario. C’era questo meraviglioso red carpet e quando passava Elodie, Moreno, Marco Carta e molti altri, tutti impazzivano. Quando siamo passati noi si mormoreggiava “ma questi chi cazzo sono?”.

No, mi hanno riconosciuto!

Sì, ma perché ti hanno scambiato per un altro.

Sì, per Alvaro Soler.

In realtà, noi stiamo facendo un’attività live che sembra dimostrare il contrario rispetto a queste figure, che sono tanto note per via della televisione e i mezzi di comunicazione canonici che poi, ai concerti, fanno veramente poca gente. Ora c’è tutto quel filone che chiamiamo musica indipendente che sta facendo dei numeri ben più alti. La tv sta diventano un po’ come Babbo Natale, una cosa a cui bisogna credere o meno. Secondo me, per capire un po’ queste definizioni, bisognerebbe capire il significato delle parole e si vedrebbe che i confini sono molto più labili di quello che si crede. “Indie” sta per indipendente, ma ci sono tanti gruppi che vengono definiti indie che escono per etichette major. Ma questo non vuol dire che l’attitudine indipendente, che significa “faccio un disco come cazzo mi pare” sia andata perduta. Sono etichette un po’ faziose. Come “mainstream”, cosa vuol dire? Che, sostanzialmente, ti ascolta tanta gente. Che il tuo messaggio è trasversale, che va sulle radio e le tv nazionali. Come “pop”. Per noi è un complimento, perché vuol dire “popolare” magari, scavando nei significati delle parole si scopre che tutti i confini sono labili e che tutti i confini sono validi. L’importante è mantenere una propria identità perché si ha voglia di fare musica e non per andare in televisione. Meglio fare diecimila concerti e perdere la salute che fare tanta televisione e fare 4 eventi mondani negli outlet.


Il Filo Sound Festival prosegue stasera con i Fast Animals and Slow Kids, i Gazebo Penguins e i Pinguini Tattici Nucleari e domani con Dargen d’Amico feat. Isabella Turso, Willie Peyote feat. Frank Sativa e Murubuntu + La Kattiveria e Dj T-Robb.

Melania Verde

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