Il Fiabisfero, tappa 8: Namibia

Benvenuti, cari lettori del Fiabisfero, al nostro ottavo incontro con le fiabe e i racconti popolari dal mondo.
Abbiamo abbandonato a malincuore le sponde della lussureggiante Irlanda per dirigerci di nuovo a sud, nel cuore caldo della superficie terrestre, nel grande e maestoso continente nero: l’Africa è la protagonista di oggi, raccontata da uno dei suoi protagonisti dell’epoca moderna, Nelson Mandela, di cui Feltrinelli ha recentemente riproposto una sua raccolta di fiabe.
Il meraviglioso e delicato racconto che segue fa parte della tradizione del popolo Namaqua, situato in una regione oggi compresa tra Sudafrica, Namibia e Botswana. Non ci resta che lasciarvi alla lettura (o forse dovremmo dire “all’ascolto”) e invitarvi a seguire la carovana. Chissà dove arriveremo la prossima volta.

* * *

Il messaggio

Donne Namaqua impegnate in una danza tradizionale. Sotto, due donne Himba (altro gruppo etnico della Namibia) in abiti tradizionali

Questa è la storia di Luna Piena, Zecca e Lepre, e del messaggio che Luna mandò agli uomini tanto, tanto tempo fa. Non era certo un messaggio qualunque! Anzi, era un messaggio della massima importanza. Perché, sapete, Luna in realtà non muore mai. Lei ritorna sempre, come vediamo tutte le volte che c’è la luna piena. E Luna voleva che gli uomini sapessero questa verità: “Così come io muoio e poi rinasco, anche voi morirete e rinascerete”.
Luna decise che era Zecca a dover portare agli uomini questo importante messaggio. Sapeva che Zecca la pigra se ne sarebbe rimasta all’ombra di un cespuglio in attesa che passasse una capra o un pastore. Dopo di che sarebbe saltata su uno di loro per farsi dare un passaggio fino al kraal [1] dove c’erano i falò, e il messaggio sarebbe giunto agli uomini in men che non si dica.
E così a Zecca venne consegnato il messaggio da comunicare.
Sfortunatamente Zecca non solo era pigra, ma non ci vedeva neppure bene. Quando Zecca si congedò da Luna col suo messaggio, era ancora notte. Si infilò sotto al più vicino ciuffo d’erba e dormì finché le capre non cominciarono a brucare. Rimase in attesa della sua occasione.
Non appena la prima ombra cadde sul ciuffo d’erba, Zecca strisciò fuori, si arrampicò lungo la zampa che si trovò di fronte e si tenne ben stretta. Ma, ohhh… Zecca aveva compiuto un terribile errore. Mentre lei ripeteva il messaggio tra sé e sé, per non scordarlo, la terra sotto di lei sparì, e l’albero tkau e i cespugli di euforbia si fecero sempre più piccoli.
Solo allora si rese conto che quella capra aveva le piume al posto del pelo! La grandula fece il suo verso rauco mentre si preparava ad atterrare su un cespuglio lontano. Si scrollò le piume vigorosamente, Zecca si librò nell’aria e andò ad atterrare tra le canne.
Quella notte stessa Luna spiò tra i cespugli di euforbia più lontani, nella speranza di vedere la gente del kraal danzare dalla gioia per la buona notizia ricevuta. Ma tutto taceva e i falò ardevano deboli. Dai pianti dei bambini capì che qualcuno era gravemente malato. E allora realizzò che Zecca non aveva ancora comunicato agli uomini la buona novella.
Quella notte cadde qualche goccia di pioggia, e così il secondo giorno la sabbia intorno a Zecca pullulava di antilopi e gazzelle che saltavano dalla gioia. Un’ombra attraversò il canneto dove Zecca stava in attesa e lei pensò “Ci siamo”, e cominciò la scalata.
Oh no, quella a cui Zecca era attaccata non era la zampa di una capra! Quando se ne rese conto, la gazzella coi suoi salti aveva già oltrepassato il kraal, e inseguiva la pioggia lontano, in direzione del tramonto.
Quando la gazzella si fermò a brucare nel tardo pomeriggio, Zecca realizzò che un altro giorno era passato senza che il messaggio fosse stato consegnato. E ormai il kraal era al di là di quei monti che erano ancora più in là dei monti più lontani.
Poco dopo, quando Luna spiò tra i cespugli di euforbia, vide che i falò erano ancora più fiochi della notte precedente e sentì che la gente si lamentava. Qualcuno si era davvero gravemente ammalato, e Luna capì che Zecca non aveva ancora consegnato il suo messaggio di gioia.
Il terzo giorno, mentre Zecca se ne stava su una pianta di acetosa, Lepre venne a rosicchiarne le foglie succose. E Zecca le raccontò il suo problema.
Lepre, che era terribilmente curiosa, volle subito sapere quale fosse il messaggio, e Zecca glielo snocciolò senza indugi: “Così come io, Luna, muoio e poi rinasco, anche voi morirete ma rinascerete”.
“Si tratta di un messaggio importante,” pensò Lepre tra sé. “Se lo consegnerò alla gente del kraal, entrerò nelle grazie di Luna.” Subito si offrì di portare Zecca al kraal.
Erano appena giunti ai primi cespugli di euforbia che Lepre diede una scrollata alla sua kaross [2], al suo manto di pelo, e Zecca fece un volo per aria. In un battito di ciglia Lepre le urlò: “Vattene via!”, e proseguì rapida verso il kraal, per consegnare il messaggio agli uomini.
Purtroppo, se Zecca era miope, Lepre aveva la vista corta. Non pensava ad altro che alla fama e alla fortuna che avrebbe guadagnato grazie all’importante messaggio che portava. Ma non se l’era ripassato continuamente come aveva fatto Zecca; era scappata a gambe levate, tanto che le orecchie e la coda bianca e soffice erano apparse come un baleno sui ciottoli e sui ciuffi d’erba.
Ma quando giunse al kraal, senza fiato, Lepre non riusciva in alcun modo a ricordare il messaggio così come glielo aveva detto Zecca. Continuava a ripeterlo, ma più lo ripeteva più le parole si rimescolavano e lei si confondeva.
Tutta impolverata e pallida, Lepre crollò a terra e consegnò alla gente del kraal il seguente messaggio: “Così come io muoio e poi non rinasco, anche voi morirete ma non rinascerete”. La gente del kraal cominciò a piangere e a ricoprirsi di cenere e di sabbia, e in quello stesso istante, l’uomo davvero gravemente, gravemente malato esalò l’ultimo respiro.
Quella notte, quando Luna spiò tra i cespugli di euforbia, non vide un solo carbone ardente. Il kraal era deserto. La gente era andata tutta via. Non c’era traccia di vita.
Scrutò attentamente e non riuscì a scorgere Zecca da nessuna parte, mentre Lepre era ancora accanto al falò spento e ripeteva confusamente il messaggio rimescolato.
Luna si infuriò. Afferrò un ceppo di legno arso e colpì Lepre dritto sul muso. Lepre si prese un tale spavento che lanciò la sua kaross nella cenere del falò. Poi la riafferrò e con quella colpì Luna dritto in faccia.
Da allora Lepre ha il palato spaccato, e sul volto di Luna si scorge ancora un tocco di cenere.
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Note: [1] Gruppo di capanne occupate da una sola famiglia o da un clan; per estensione, accampamento o villaggio (NdA). [2] Casacca o mantello tradizionale fatto di pelli (NdA).

Ivan Bececco

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Bibliografia
N. Mandela, Le mie fiabe africane, Milano 2013.

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