Il Fiabisfero, tappa 10: Danimarca

Cari lettori e cari ascoltatori di uRadio, la tappa del Fiabisfero di questa settimana ha previsto un ritorno verso ovest: dalle vaste terre della Russia siamo arrivati in Danimarca per rendere omaggio, in occasione del decimo appuntamento con le fiabe da tutto il mondo, a uno dei suoi più celebri protagonisti. Stiamo parlando di Hans Christian Andersen (1805-1875), autore di storie consacrate alla leggenda come – tanto per citare un paio di esempi – Il brutto anatroccolo o Il tenace soldatino di stagno e la ballerina: abbiamo scelto quest’ultima, un capolavoro assoluto di delicatezza e fantasia che ha ispirato numerose rivisitazioni moderne (impossibile non riconoscere, nella scena della “festa” dei giocattoli, l’intero concept narrativo di Toy Story).
Molte altre cose ci sarebbero da dire sulla fiaba in questione, ma non è questa la sede per abbandonarci alle riflessioni critiche. Qui ci si siede, si ascolta e ci si lascia trasportare dalle parole. Buon divertimento, e grazie a tutti voi per aver continuato a seguire la carovana.

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Il tenace soldatino di stagno

Statua dedicata al soldatino di stagno in una piazza di Odense (Danimarca), città natale di Andersen. Sotto, il soldatino avvolto dalle fiamme in un’illustrazione di Kay Nielsen (1924)

C’erano una volta venticinque soldatini di stagno, che erano tutti fratelli, perché nati dallo stesso vecchio cucchiaio di stagno. Avevano tutti il fucile in ispalla, il viso dritto in avanti e l’uniforme rossa e turchina. Com’erano belli! La prima cosa che udirono in questo mondo, appena fu tolto il coperchio della loro scatola, furono le parole: «Oh! Dei soldatini di stagno!» A gridare era stato un ragazzino che si mise poi subito a batter le mani. Glieli avevano regalati perché era il suo compleanno, e li mise subito in fila sul tavolino. I soldatini si assomigliavano tutti come gocce d’acqua; ce n’era uno solo diverso dagli altri: aveva una gamba sola, perché era stato fuso per ultimo e lo stagno non era bastato; stava però saldamente ritto sulla sua unica gamba come gli altri su tutti e due.
Fu proprio lui ad avere una strana sorte.
Sul tavolino dove fu appoggiato c’erano molti altri giocattoli, ma quello che spiccava tra gli altri era un magnifico castello di carta. Attraverso le finestrine si poteva veder dentro nei saloni, e davanti c’erano degli alberelli intorno a uno specchietto che doveva rappresentare un lago, e che rifletteva i cigni di cera che vi nuotavano sopra. Era tutto molto grazioso, ma la cosa più bella era una fanciulla, ritta sul portone semiaperto del castello: era di carta ritagliata anche lei, ma aveva una sottanina di lino finissimo e un piccolo nastro azzurro drappeggiato sulle spalle, con nel mezzo un lustrino splendente, grande come il suo viso. La fanciulla aveva le braccia alzate, perché era una ballerina, e teneva una gamba sollevata in aria, tanto in alto che il soldatino di stagno, non riuscendo a vederla, pensò che anche lei avesse una gamba sola, come lui.
«Sarebbe proprio la sposa che fa per me! – pensò –. Ma è molto elegante e abita in un castello, mentre io invece ho solo una scatola, e dentro ci stiamo in venticinque. Non è certo un luogo adatto per lei! Ma devo cercare lo stesso di far la sua conoscenza!» Si stese allora quanto era lungo dietro a una tabacchiera che si trovava sulla tavola: così poteva vedere bene la graziosa damina che continuava a stare su una gamba sola, senza perder l’equilibrio.
A tarda sera gli altri soldatini di stagno entrarono nella scatola, e tutti andarono a letto: i giocattoli cominciarono allora a divertirsi: si facevan visita, battagliavano, ballavano. I soldatini di stagno rumoreggiavano nella scatola, perché volevano prender parte ai giuochi anche loro, ma non riuscivano a sollevare il coperchio. Lo schiaccianoci faceva le capriole e il gesso si dava alla pazza gioia sulla lavagna; la confusione era tanta che il canarino si svegliò e cominciò a parlare anche lui, e per di più in versi. Gli unici a non muoversi dal loro posto furono il soldatino di stagno e la graziosa ballerina. Essa si teneva ritta sulla punta di un piede con le braccia tese, ed egli, non meno tenace, stava ritto sulla sua unica gamba, senza staccare un momento gli occhi da lei.
Suonò la mezzanotte, e tac… Il coperchio della tabacchiera si spalancò: dentro non c’era però del tabacco, ma solo un piccolo troll nero, perché era una scatola a sorpresa.
– Ohè soldato, – gridò il troll – pensa a te, invece di guardar gli altri!
Ma il soldatino fece finta di non sentire.
– Domani vedrai! – minacciò il troll.
Quando fu mattina i bambini si alzarono, e il soldatino fu messo vicino alla finestra, quand’ecco, fosse il troll o fosse il vento, quella si spalancò, e il soldatino cadde con la testa all’ingiù dal terzo piano. Fece un capitombolo tremendo, con le gambe all’aria, e ricadde sul chepì [1], con la baionetta infilzata tra le pietre del selciato.
La donna di servizio e il piccolo proprietario del soldatino scesero subito giù a cercarlo, ma non lo trovarono, benché stessero per metterci il piede sopra. Se avesse gridato: «Son qui!» certo lo avrebbero visto, ma egli pensò che non era dignitoso gridare forte, dato che era in divisa.
Cominciò a piovigginare, le gocce cadevano una più fitta dell’altra e alla fine venne giù un bell’acquazzone. Una volta finito, capitarono due monelli.
– Ohè, guarda qui! – gridò uno. – Un soldatino di piombo! Ora gli faremo fare un bel giro in barca!
Costruirono una barchetta con della carta di giornale, ci misero dentro il soldatino di stagno, che cominciò così a navigare giù per il rigagnolo, mentre i due monelli correvano ai due lati, battendo le mani. Poveri noi! Che ondate nel rigagnolo e che corrente forte! È naturale, dopo l’acquazzone! La barchetta di carta andava su e giù, e ogni tanto girava su se stessa, facendo tremare il soldatino di stagno, che però, sempre tenace, non batteva ciglio e continuava a guardare sempre avanti a sé, col fucile in ispalla.
All’improvviso la barchetta finì sottoterra, in una fogna, dove era buio pesto, proprio come nella sua scatola!
«E ora, dove vado a finire? – pensò tra sé –. È certo tutta colpa del troll! Eppure, se quella graziosa damigella fosse qui con me nella barca, potrebbe anche esser scuro il doppio!»
Subito gli venne incontro un grosso topo di chiavica, che abitava lì sotto.
– Hai il passaporto? – gli chiese. – Fuori il passaporto!
Ma il soldatino di stagno non rispose e strinse ancor di più il suo fucile. La barchetta continuò ad avanzare, e il topo dietro. Brr! Come digrignava i denti, gridando a tutte le pagliuzze e a tutti i trucioli che vedeva:
– Fermatelo! Fermatelo! Non ha pagato la dogana! Non ha mostrato il passaporto!
Ma la corrente diventò sempre più impetuosa, e il soldatino poté già scorgere davanti a sé la luce del giorno, alla fine della fogna, ma sentì anche un rumore terribile, tale da spaventare anche un uomo coraggioso. Pensate, alla fine il rigagnolo precipitava in un grande canale, e questo era per lui un pericolo pari a quel che sarebbe per noi capitare su una grande cascata.
Ma era già così vicino che gli era impossibile fermarsi. La barchetta precipitò, e il povero soldatino di stagno si irrigidì più che poteva: nessuno doveva vedergli neppure batter ciglio. La barchetta girò tre o quattro volte su se stessa; piena d’acqua sino all’orlo, non poteva far altro che affondare. Il soldatino si sentì l’acqua sino alla gola; la barchetta intanto sprofondava sempre più e la carta si sfasciava. L’acqua gli coprì ben presto anche la testa e lui pensò alla piccola e graziosa ballerina che non avrebbe mai più potuto rivedere, e sentì risuonare al suo orecchio il ritornello: Addio, bel soldatino, morir dovrai anche tu!
La carta si sfasciò del tutto e il soldatino calò a fondo, ma fu subito inghiottito da un grosso pesce.
Come era buio lì dentro! Era ancora peggio che nella chiavica, e c’era molto poco spazio: il soldatino però, sempre tenace, rimaneva fermo lungo disteso, col fucile in ispalla.
Il pesce si contorceva e si agitava nel modo più terribile: alla fine si calmò, e fu come attraversato da un lampo: la luce divenne sempre più forte, e qualcuno gridò: – Ecco il soldatino di stagno! – Preso e portato al mercato, il pesce era stato venduto, ed ora era in cucina e la cuoca lo stava sbuzzando con un coltellaccio. Afferrato con due dita il soldatino, essa lo portò in salotto, dove tutti volevano vedere quell’omino singolare che aveva viaggiato nello stomaco di un pesce: ma lui non montò in superbia. Lo posarono allora sul tavolo, e… ma che cose strane succedono a questo mondo! Si ritrovò nello stesso salotto di prima, vide gli stessi bambini, e sul tavolo c’erano gli stessi giocattoli. C’era il magnifico castello e la graziosa, piccola ballerina che stava ancora su una gamba sola, con l’altra sollevata in aria. Era tenace anche lei, e questo commosse il soldatino, che si sarebbe messo a piangere lagrime di stagno, se non fosse stato poco dignitoso. Egli la guardò, ed essa guardò lui, ma non si dissero neppure una parola.
In quel momento uno dei due maschietti prese il soldatino e lo gettò dritto dritto nella stufa, senza nessuna ragione: tutta colpa, certamente, del troll della tabacchiera.
Il soldatino di stagno vide una gran luce e sentì un gran calore; era una cosa tremenda, e lui non sapeva neppure se fosse la fiamma del fuoco vero o quella dell’amore. Aveva perso i suoi colori, ma nessuno avrebbe potuto dire se fosse successo durante il viaggio o se ne fosse causa la pena del suo cuore. Guardò ancora la cara fanciulla, ed essa guardò lui, che si sentì come disciogliere, ma rimase tenacemente immobile, col fucile in ispalla. In quel mentre si spalancò la porta e una ventata afferrò la ballerina, che volò come una silfide sin dentro alla stufa, accanto al soldatino, e sparì in una fiammata. Il soldatino di stagno si sciolse allora completamente, e quando, il giorno dopo, la donna di servizio tolse la cenere, trovò un piccolo cuore di stagno: era tutto quello che restava di lui; della ballerina rimaneva invece solo il lustrino, ma tutto bruciacchiato e nero come il carbone.
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Note: [1] Tipo di copricapo militare.

Ivan Bececco

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Bibliografia
H. C. Andersen, Fiabe, Torino 1970.

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