“Ma Sardelli, dove lo trovo?” “Insegui Moira per le scale!”. Così mi viene risposto: non è l’inizio di una scenda d’azione ma di un pomeriggio tra musica e confidenze.
Effettivamente trovo Federico Sardelli, compositore, direttore d’orchestra, pittore e disegnatore. Mi svolazza davanti, alto ed esile, fasciato in un lungo cappotto rosso.
Lo seguo: lui e l’orchestra Modo antiquo stanno per provare ‘L’affaire Vivaldi’, la rappresentazione che si terrà al termine della cerimonia di saluto ai nuovi docenti, in Rettorato.
Per qualche motivo, finisco chiuso con loro in sala convegni. “Hai pazienza?”, mi chiede dopo avergli spiegato che vorremmo intervistarlo. Ho pazienza, certo, ma per cosa?
E iniziano le prove. Premetto: oltre agli articoli di Federica, la mia conoscenza su Vivaldi non si spinge. So, come tutti, che il ruolo del direttore d’orchestra è importante, stop.
Non ho mai realizzato quanto sia importante sino a ieri pomeriggio. Sembrava veramente che la musica si plasmasse con i colpi sapienti delle sue mani.
Insomma, ho un po’ la pelle d’oca. Sembrano tanti ingranaggi di un’orologio che si muovono rapidi a ritmo di questi gesti, precisi e mai sbavati, disegnati nell’aria dalle mani ossute di Sardelli.
Tornano su qualche battuta, sistemano qualche armonia ma la soddisfazione – non esternata! – è negli occhi di tutti.
Scatta il momento dell’intervista. Usciamo dall’aula e ci raggiunge Veronica, preparatissima, unica intervistatrice che, nel 2019, non registra la conversazione. No: lei prende appunti a matita, su un foglio. Vedere per credere.
Insomma: modo antiquo non è solo il nome dell’orchestra ma anche lo stile di quest’intervista.
Per quale ragione ha deciso di scrivere un libro sulla figura di Antonio Vivaldi?
E’ un autore che conosco fin da bambino, in modo quasi famigliare. Inoltre mi interessava l’idea di raccontare una storia che non era mai stata raccontata prima.
Questo è il suo primo romanzo, come mai ha scelto questa forma per rivolgersi al pubblico?
Mi interessava che la storia di Vivaldi raggiungesse un pubblico il più vasto possibile. Per questo la forma del romanzo mi è sembrata particolarmente adatta. Ho scritto diversi saggi durante la mia carriera, ma questa storia era necessario raccontarla in modo diverso. Anche solo perché era già romanzesca di suo.
Per una storia così romanzesca, quindi, che protagonista dobbiamo aspettarci?
Antonio Vivaldi era un uomo molto acuto e brillante, rapido, sveglio e simpatico. Questi tratti del suo carattere emergono in modo particolare se si presta attenzione alle note di correzione dei suoi spartiti.
Le correzioni erano immediate e le glosse spesso ironiche e sarcastiche, a maggior ragione se destinate a esecutori poco esperti. Spesso era anche abbastanza sboccato, diciamocelo.
Perché è stato necessario svolgere un lavoro di ricostruzione così minuzioso? Vivaldi non aveva lasciato una propria biografia o altri documenti ?
Sono necessarie due premesse per comprendere come mai la storia di un compositore come Vivaldi si sia conservata inedita fino ad oggi. In primo luogo un compositore del Settecento non era considerato un grande artista le cui memorie meritassero di essere tramandate, era principalmente un uomo di corte impegnato a comporre.
Ed è la ragione per cui la vita di molti compositori di questo periodo è caduta nell’oblio, in parte spesso con la sua opera, appena dopo la morte. In seconda battuta, è una disattenzione propria dei compositori italiani settecenteschi quella di non curarsi di scrivere trattati e di sistematizzare i propri progressi.
Mi ha detto che fin da bambino le è interessata la figura di Vivaldi. La sua formazione artistica è stata così precoce?
Mio padre è un pittore, quindi la prima forma d’arte a cui mi sono avvicinato è stata la pittura.
Suo padre la incoraggiava molto?
Mi correggeva, soprattutto usando frasi abbastanza generali che lasciassero poi capire a me in che cosa consistesse davvero l’errore.
Ed io allenavo l’occhio per imparare, guardando i pittori più bravi, apprendevo per mimesi.
Tornando alla sua carriera, come è iniziata?
Ho iniziato a comporre che avevo dodici anni e ho presentato la mia prima mostra di pittura a quattordici.
Ho iniziato disegnare vignette per il Vernacoliere a undici anni, ma ora ho smesso perché non ho abbastanza tempo.
E la scrittura? Si tratta di un mezzo espressivo nuovo per lei?
In realtà sì. Prima ho scritto saggi musicologici ed edizioni critiche per l’istituto Italiano Antonio Vivaldi.
Sono convinto che il mezzo sia secondario al contenuto che desideriamo esprimere e condividere. Per questo un po’ dipingo, quando mi annoia dipingere scrivo, quando ne ho abbastanza di scrivere, compongo.
Una figura poliedrica, insomma. Sulla sua bio sul sito del Vernacoliere si legge che Sardelli “può essere annoverato tra le persone più odiose e supponenti che vi siano in giro“.
Ci sentiamo, sommessamente, di smentirlo.
Veronica Ragazzi & Mattia Barana