“E se… periodi ipotetici”, questo il titolo di una serie di eventi, spalmati su tre giorni (6,7,8 aprile), organizzati dall’associazione “La scintilla” di Poggibonsi, aventi per tema le ucronìe.
La suddetta parola significa letteralmente “non-tempo”, ed è proprio nella giornata di sabato scorso che il programma ha virato sulle ucronìe nella storia, su tempi che avrebbero potuto esserci e non ci sono mai stati, con ospiti peraltro di tutto rispetto: Alessandro Barbero, professore di Storia Medievale all’Università del Piemonte Orientale, ma più noto probabilmente per le collaborazioni con la Rai tra Super Quark e Rai Storia; Giovanni Brizzi, ordinario di Storia Romana all’Università di Bologna; Franco Cardini, attualmente professore emerito di Storia Medievale alla Normale di Pisa, che non ha bisogno di ulteriori presentazioni; Marco Valenti, professore di Archeologia Medievale qui a Siena.
Come primo approccio si potrebbero distinguere due diversi significati da assegnare alla formula “e se..”: uno è quello interpretativo, “e se invece lo vedessimo così?”, necessario per ogni studioso che si rispetti (ricorda Cardini: “la storia è continuo revisionismo”), persino per lo scienziato, a meno che non si voglia negare la validità delle tesi di Popper e di Khun; l’altro è quello creativo-ludico, oggetto in particolare di questa rassegna, più vicino al gioco, in quanto parte da una negazione di dati per immaginarne altri al solo scopo di passare un bel pomeriggio. Ma il gioco, come sosteneva il massimo intellettuale olandese del ‘900 Johan Huizinga nel suo Homo Ludens, può essere serissimo, ed è da considerarsi caratteristica culturale nell’uomo.
Lasciando quindi che la cultura si faccia gioco, iniziamo a dare la parola ai relatori: “se Napoleone avesse vinto a Waterloo, probabilmente avremmo una campagna del 1816 e niente più. Ma di questa risposta non ce ne facciamo niente..” esordisce Barbero, interpretando perfettamente questo secondo significato di “e se..”; “mettiamo che l’opposizione liberale inglese, simpatizzante per Napoleone, rovesci il governo e non finanzi altre guerre contro l’imperatore”, continua, tenendo istrionicamente la folla in apprensione per le immaginarie e gloriose vicende del nostro, da una seconda presa di Vienna, alla sconfitta dell’esercito russo, fino all’unificazione dell’Italia sotto il regno di Murat. Barbero ipotizza un’Europa liberale con due o tre generazioni di anticipo, avendo i moti del ’21 successo in tutte le nazioni ancora sotto l’ancién regimé, e oltrepassa i confini della storia: “mettiamo che il conte Alessandro Manzoni venga incaricato di riformare la scuola del neonato regno d’Italia e lasci nel cassetto quel romanzetto che mi pare volesse intitolare Fermo e Lucia”; poi conclude: “facciamo che l’eroe uruguaiano Josè Garibaldi se ne resti bel bello in Sudamerica, vista l’unità d’Italia, e provi a rendere uno quell’insieme di paesi di lingua spagnola. Cosa sarebbe successo?”.
In questo filone scherzoso si inserisce anche l’archeologo Marco Valenti, immaginando una vittoria longobarda su Carlo Magno, il quale, nel contesto di quest’ucronia, non si può certo definire “magno”: il professore, infatti, fa andar male al re di Francia non solo la discesa in Italia, ma anche le campagne contro Bavari, Sassoni, Avari e Arabi. Nel frattempo l’Italia è unificata sotto i Longobardi, il Papa perde il suo potere temporale e Valenti ipotizza tutto ciò reinterpretando prove archeologiche reali che ci mostrano il bellissimo mondo dell’alto medioevo, ignorato dalla storiografia nostrana troppo spesso per glorificare quello greco-romano idealizzato. Consiglia infine la visita al museo della Crypta Balbi di Roma e a quello di Cividale del Friuli.
Cardini è di un altro avviso: sostiene infatti che non sia valida la sentenza “la storia non si fa con i se e con i ma”, poiché in essa le ucronìe sono necessarie alla comprensione di determinati eventi. Con lui il gioco si fa serissimo: tramite un meraviglioso preambolo, comincia a parlare del primo conflitto mondiale partendo dalla politica europea di cinquanta anni prima, chiarificando le posizioni di ogni Stato alla vigilia della guerra; vede nell’Italia l’ago della bilancia che potrebbe far pendere la vittoria a favore degli imperi centrali, e si chiede: “che cosa sarebbe successo se ci fossimo schierati con la Germania e se questa avesse vinto?”. La risposta del professore è che si sarebbe raggiunta più facilmente quella pace “senza vincitori né vinti” auspicata da papa Benedetto XV e soprattutto “non avremmo avuto Hitler, le origini del quale si possono riscontrare nella pace di Parigi, e non ci sarebbe quel casino in Medio Oriente di cui, vi assicuro, pagheremo molto di più le conseguenze nei prossimi mesi di quanto non abbiamo fatto in passato.”.
Simile è l’esercizio (così amava chiamare gli interventi l’organizzatore Dario Ceccherini) di Giovanni Brizzi dal titolo “Lasciate che Annibale marci un poco su Roma”: egli immagina una vittoria cartaginese nella seconda guerra punica che non si sarebbe risolta in una distruzione di Roma, a suo dire, quanto a un ridimensionamento della stessa. Annibale si sarebbe spostato in Hispania per ricongiungersi con i suoi familiari e difendere gli interessi di Cartagine nell’area. Cartagine però, secondo Brizzi, sarebbe comunque stata destinata a perdere in un futuro, perchè non incarnava un modello di città e di stato moderno come invece era Roma; non era attenta ai rapporti con “l’altro”, perciò la Repubblica prima o poi si sarebbe rialzata e riaffacciata sul Mediterraneo al capo della federazione di popoli italici, magari con maggiore cautela.
Così si sono conclusi questi bellissimi tre giorni ipotetici per Poggibonsi e per la Valdelsa.
Duccio Di Prima