"Die Winterreise" secondo William Kentridge: un viaggio di armoniche visioni

William Kentridge è davvero un grande artista. I suoi disegni, le sue animazioni sono sempre riuscite ad attirare la mia attenzione per la forza, l’intensità e la coerenza che le caratterizza, anche quando, in tempi non lontani, sono state applicate al mondo della musica e in particolare a quello dell’opera. Ma quando ho visto il suo nome assieme a quello di Franz Schubert per “Die Winterreise” programmata per #ilclassicoinatteso dell’Accademia Musicale Chigiana, sono rimasto decisamente sorpreso.

Il Lied è un genere musicale di grande complessità: la sua intimità, il suo colore tipicamente tedesco non necessitano di luci e scenografie, di vestiti o sfondi. Schubert, che per sua sfortuna, non è riuscito a vedere rappresentate le sue opere se non una volta sola nella sua vita, era solito comporre ed eseguire queste “canzoni” per un raccolto gruppo di amici che si raccoglievano in alcune case della borghesia viennese. Erano le famose “schubertiadi”.

Così dunque nacque “Die Winterreise” il famoso ciclo di Lieder composti poco prima di morire nel 1827 da Franz Schubert. Mettendo in musica le poesie di Wilhelm Müller, il giovane compositore austriaco ci racconta in una modalità raffinata e delicata la storia di un viaggiatore che diventa straniero, di un amante abbandonato che comincia un lento e solitario cammino attraverso una gelida natura invernale.

Di fronte a un lavoro di tale grandezza, il regista William Kentridge aveva due strade diverse da percorrere: da un lato quella del lavoro didascalico, limitandosi cioè a descrivere i piccoli “quadri” che Schubert riesce a realizzare sulla poesia di Müller, dall’altro offrire una riflessione metaforica sul profondo e silenzioso viaggio dell’anonimo straniero. Alla fine, l’artista sudafricano ha optato per una terza, inaspettata strada.

Lasciando da parte i Lieder di Schubert che tutti conosciamo e che abbiamo ascoltato attraverso le voci di Hans Hotter e Dietrich Fischer-Dieskau, Kentridge ci ha voluto raccontare il proprio viaggio d’inverno partendo proprio dal rapporto con la musica di Schubert e i testi di Wilhelm Müller, discretamente interpretati dal baritono Matthias Goerne, espressivo ma non sempre corretto, e da un mediocre Markus Hinteräuser al pianoforte.

Così dunque siamo finiti da un paesaggio invernale, da un bosco pieno di neve e fiumi congelati, in una gabbia di un uccello, condividendo le sue ansie e la sua solitudine, sotto una doccia, bagnata da un’acqua subito diventata sangue e in Africa, camminando assieme alle donne che, dopo una giornata di lavoro, tornano verso casas.

Kentridge usa la musica di Schubert come uno spazio, uno spazio dove poter librare le sue idee e i suoi ricordi, le sue paure e le sue speranze che, a contatto con la superba musica di Schubert, acquisiscono un valore, un ordine e una estetica universali, capaci di parlare a ciascuno di noi. In altre parole Kentridge avvicina le sue immagini, metaforiche e surreali, al mondo di Schubert Müller per offrirci un viaggio alternativo: ci invita a un viaggio interiore dove, alla solitudine più romantica dell’ultimo Schubert, si aggiunge, con discrezione, rispetto e bellezza, la tragedia del mondo moderno.

 

Francesco Milella

 

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