Deftones – "Gore"

Nell’affollato panorama nu-metal, i Deftones hanno sempre rappresentato un’entità a sé: dopo aver contribuito in maniera fondamentale a definire gli stilemi del genere, la band di Sacramento ha preso una strada del tutto particolare. Già con il terzo album, White Pony, datato 2000, sono comparse nuove sfumature e sonorità, che hanno contribuito a rendere il sound del combo americano più particolare e ricercato di quello di altre band simili. Ma è con Koi No Yokan, uscito nel 2013, che accanto al nome dei Deftones è stata collocata, a pieno diritto, l’etichetta “post-metal”: le atmosfere di quel disco, infatti, si componevano di una parte più violenta e memore del passato, ed una più riflessiva e sperimentale. Gore, seguito diretto di Koi No Yokan, prosegue su questa strada, confermando Chino Moreno e soci come una delle realtà più atipiche della scena metal mondiale.

Proprio come il suo predecessore, Gore alterna sezioni più aggressive ad altre più calme ed atmosferiche. Questo dualismo è presente già nella traccia di apertura, Prayers/Triangles, scelta come primo singolo: la melodia resta comunque in primo piano per tutta la durata del pezzo, sia nelle strofe sognanti che nel ritornello dominato dalla distorsione delle chitarre. Elemento, questo, che si presenta come protagonista assoluto della successiva Acid Hologram, caratterizzata da una sezione strumentale acida, al limite del grunge, e da una linea vocale malinconica e interpretata egregiamente da Moreno.

Doomed User è un pezzo vecchio stile, sporco ed aggressivo, che non lascia prigionieri: i fan di vecchia data dei Deftones avranno di che gioire. Con Geometric Headdress si torna in pieno territorio post-Koi No Yokan: ad un ritornello che ricorda non poco lo stile dei Korn, e ad un finale estremamente aggressivo, fanno da contraltare strofe rallentate e dominate dalla voce filtrata del frontman. Pienamente post-metal è la successiva Hearts/Wires, brano interamente strumentale che raccoglie al suo interno influenze tra le più disparate: si va dai Protest the Hero, ai Depeche Mode, fino ai The Prodigy. Davvero un pezzo sorprendente, e uno dei punti più alti di Gore.

Da questo punto, il disco presenta un trittico di brani di sicuro sufficienti, ma tutt’altro che memorabili, e di sicuro non all’altezza di quanto sentito finora: parliamo di Pittura Infamante, Xenon e (L)MIRL, che si presentano come pezzi più classicamente heavy, ma senza il piglio e l’ispirazione che l’album ha garantito fino a questo momento.

Molto meglio la title track, che si presenta come estremamente aggressiva e dotata di riff taglienti e quasi doom. Una canzone opprimente, seppur davvero riuscita, che è seguita da un momento più malinconico ed intimo come Phantom Bride, brano che vede la partecipazione di Jerry Cantrell degli Alice in Chains. La chiusura è affidata a Rubicon, un brano anch’esso dominato dalle melodie, e da alcune fra le linee vocali più belle di tutto il disco.

Gore è un lavoro davvero bello, inutile girarci intorno: i Deftones sembrano non volersi concedere cali di tensione, ed anzi proseguono nel percorso di sviluppo e raffinamento della propria musica. Quest’ultimo parto discografico è in linea con il precedente Koi No Yokan, seppur standogli un gradino sotto, per via di una parte centrale non proprio eccelsa. Tuttavia, si tratta di un altro disco azzeccato, che conferma i Deftones come portabandiera di un metal sì aggressivo, ma al contempo ponderato, intelligente e capace di sorprendere ad ogni uscita.

Giacomo Piciollo

G.Piciollo

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