David Bowie – “Blackstar”

Alle volte il caso può assumere forme beffarde ed imprevedibili. Prendiamo ciò che è successo a David Bowie, ad esempio: il Duca Bianco è venuto a mancare appena due giorni dopo aver pubblicato il suo ultimo album, il tanto atteso Blackstar. E così, quello che poteva essere un altro capitolo di una discografia tanto ampia quanto di qualità, è diventato una sorta di reliquia, il testamento spirituale di uno degli artisti più importanti della scena rock (e non solo) di tutti i tempi. Ma, musicalmente parlando, com’è questo Blackstar?

Di certo, ci troviamo di fronte ad un disco che è tutto, fuorché prevedibile. David Bowie è sempre stato uno sperimentatore, uno che ha sempre cercato nuove sonorità e nuovi stili per i suoi album, e Blackstar non fa eccezione. Basti pensare che, per le parti strumentali, il Duca Bianco si è rivolto a musicisti presi dal mondo del jazz, con l’intento di “vestire” il suo disco di un sound che fosse a cavallo tra quest’ultimo genere e il rock: ma un rock tutt’altro che convenzionale. Già dalla title track, posta in apertura, possiamo capire come Blackstar sia un qualcosa di decisamente particolare: più di nove minuti di jazz contaminato da elettronica, aperture soul e linee vocali ipnotiche. La seguente ‘Tis aDavidBowie Pity She Was a Whore conferma l’impressione iniziale, presentandosi come un brano piuttosto peculiare contraddistinto da una sezione ritmica quasi impazzita e assoli di sax al limite del dissonante.

Tutto Blackstar appare più o meno così, con ogni brano che fa un po’ storia a sé, e che presenta sezioni strumentali imprevedibili e di volta in volta differenti. Tra gli esempi meglio riusciti, si possono citare il drum & bass di Sue (or In a Season of Crime), un brano dalla struttura ritmica ancora una volta in primo piano per il suo essere incalzante; o il sound al limite del trip-pop (ma con il solito tocco jazz) di She Loves Me; o, ancora, la conclusiva I Can’t Give Everything Away, in cui pop e soul vanno a braccetto accompagnati dall’elettronica, altra grande protagonista del platter. La qualità del tutto si mantiene elevatissima, in ogni momento: ogni brano è dotato di una capacità di coinvolgimento fuori dal comune, e in generale il disco non presenta alcun calo di tensione lungo tutta la sua durata.

David Bowie è stato un artista che ha cambiato il volto del rock, e in generale della musica moderna. Questo gli è stato possibile anche grazie alla sua rara voglia di sperimentare, attingendo a sorgenti musicali di volta in volta differenti, per creare un sound che resterà negli annali di quest’arte. Blackstar non fa eccezione: l’ultimo disco del Duca Bianco è spiazzante, insolito, geniale. Solo il tempo potrà dirci se siamo di fronte ad un capolavoro. Di sicuro, le canzoni contenute in quest’album sono di un livello qualitativo pazzesco, e riescono a fondere efficacemente generi e suggestioni anche molto lontani. Una cosa così, nel panorama musicale contemporaneo, riesce a pochissimi, eppure un uomo che ha già lasciato la sua impronta sulla Storia, al tramonto della sua carriera, ha avuto il coraggio e la forza di reinventarsi: il risultato è Blackstar, l’ultimo, grande disco di David Bowie.

Giacomo Piciollo

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