Anche questa settimana uRadio partecipa ai festeggiamenti per il decimo anno di attività della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Ieri, giovedì 20 ottobre, la Sala Storica ha accolto il senese Alessandro Bocci, disegnatore presso Sergio Bonelli Editore, per una retrospettiva sulla sua carriera e sulla situazione attuale del fumetto seriale italiano. Hanno interagito con l’ospite Roberto Nencini in rappresentanza della Biblioteca e Daniele Marotta, docente di Accademia del Fumetto Siena.
La conversazione ha preso le mosse dall’esordio dell’artista, avvenuto nei primi anni novanta sulle pagine e sulle copertine di Lazarus Ledd, mensile “bonellide” ormai cult ideato, scritto e curato dallo sceneggiatore Ade Capone. Proprio al compianto e innovativo professionista del fumetto da edicola si deve infatti l’ingresso del geometra Bocci, allora disegnatore soltanto in privato e per diletto, nello staff della casa editrice Star Comics. Ma a questo si arrivò solo dopo una lunga trafila di tavole respinte per mettere alla prova la capacità del nuovo arrivato di incassare un rifiuto e di farne tesoro. Esperienza altamente formativa soprattutto alla luce del successivo approdo in Bonelli, realtà nota per la severità e lo scrupolo dei suoi curatori.
Il debutto di Bocci in via Buonarroti avvenne infatti sulle chine di Dampyr, testata ormai giunta al traguardo dei duecento numeri ideata da Mauro Boselli, famoso nell’ambiente per la sua intransigente efficienza. Un’utile palestra prima del grande salto a cui molti professionisti ambiscono ma pochi arrivano: la realizzazione grafica di Tex, simbolo e prodotto trainante della casa editrice e imprescindibile caposaldo della cultura popolare italiana, anch’esso affidato alla guida di Boselli.
Come era prevedibile, il cowboy di Bonelli padre e Galep occupa la maggior parte della conversazione, abbracciando tanto il rapporto con una lunga e consolidata tradizione di stile e contenuti quanto il fisiologico ricambio generazionale degli autori e delle loro tecniche. Per incontrare il gusto dei lettori più giovani diventa, infatti, sempre più urgente la necessità di diversificare la proposta editoriale, mantenendo la collana mensile immutata nella solidità del proprio canone e affidando invece alle altre testate dedicate al personaggio un apporto più sperimentale. Proprio in quest’ultimo settore si è trovato coinvolto Bocci, che ha già avuto modo di mostrarci in azione un giovane ed aitante Kit Carson su Tex Magazine e presto tornerà con una storia breve sul Color Tex di prossima uscita.
Soffermarsi sulla necessaria innovazione del fumetto italiano ha poi dato modo di ricordare anche le esperienze dell’artista all’estero: su tutte, la collaborazione con Christophe Bec sulle pagine di Prometeo (recentemente pubblicato in Italia da Mondadori Comic, ndr). Un lavoro di cui Bocci potrebbe e vorrebbe far tesoro per affrontare il formato “alla francese” – con tavole di formato più esteso e a colori – della recente collana Tex – Romanzi a fumetti, nel tentativo di importare la cultura del fumetto da lui riscontrata all’estero senza però abbandonare l’Italia. L’autore è, infatti, consapevole del fascino che molti autori del nostro Paese esercitano sugli editori esteri. I possibili datori di lavoro europei alle volte possono persino risultare interlocutori più affabili di certa critica specializzata, spesso rivelatasi meno consapevole, competente ed originale rispetto a venti anni fa.
Alessandro Bocci, il nostro incontro di oggi si concludeva con un accenno ad una storia da lei interamente ideata. Dal momento che la Sergio Bonelli Editore pubblica all’interno della collana antologica Le Storie albi autoconclusivi, avulsi dalle serie canoniche con personaggi ricorrenti e schemi fissi, ha pensato di proporre la sua idea ai suoi attuali datori di lavoro?
No, Le Storie ha un suo piano editoriale del quale al momento non faccio parte. Questo mio lavoro invece viene da più lontano, da quegli anni d’oro (gli anni Novanta, ndr) di cui si parlava prima. Inizialmente era stato pensato per il mercato francese – all’epoca l’unica scena compatibile con simili iniziative – e negli anni lo avrò rimaneggiato milioni di volte. La sua forma attuale sarebbero quattro o cinque volumi di circa sessanta pagine l’uno. Ma in effetti, dal momento che oggi la Bonelli si sta aprendo a soluzioni innovative, la presenterò anche a loro: mi piacerebbe pubblicarla in Italia!
Anche quando pensa a iniziative personali come questa, il suo sguardo resta rivolto alla serialità. Non ha mai pensato di sperimentare invece il formato del romanzo a fumetti in volume unico?
Mi piacerebbe moltissimo! In quanto lettore apprezzo enormemente il genere e ho anche ricevuto una proposta di collaborazione da parte di un amico per una storia interessantissima e attualissima che sarebbe stato davvero un piacere realizzare. L’unico problema è il tempo che al momento devo dividere tra la Bonelli e varie commissioni. Affrontare una graphic novel, proprio per la sua stessa natura, richiede uno spazio organizzativo che può andare dai cinque mesi ad un anno e che ancora non riesco ad avere.
Si è parlato delle nuove strade intraprese dalla Bonelli nel settore dell’infanzia. Il suo tratto è molto dettagliato e realistico: l’eventualità di riformulare il suo stile per un pubblico più giovane sarebbe una sfida da raccogliere o soltanto una forzatura?
Potrei farlo ma solo con uno sforzo immane, quindi direi senz’altro una forzatura. Un prodotto per l’infanzia che mi sentirei invece di affrontare sarebbe un libro di illustrazioni: almeno quattro o cinque illustratori per bambini rientrano tra gli artisti che seguo più assiduamente. Ma realizzarlo in concreto ci riporta al problema della gestione del tempo. Non sono le idee a mancare.
Tornando al fumetto, la Bonelli ha introdotto di recente per alcune pubblicazioni di imminente uscita strategie creative inedite per il fumetto italiano. Ne è un esempio la writing room, un metodo comunemente usato per la programmazione e la scrittura delle serie televisive, fondato sul lavoro collettivo e frutto della sintesi dei singoli contributi di curatori, sceneggiatori e disegnatori. Lei pensa che lavorare su uno storyboard già costituito da una squadra di collaboratori possa essere più comodo o più efficiente della tradizionale interazione sceneggiatore/disegnatore?
Si tratta di un’esperienza potenzialmente interessante. Mi incuriosisce e non vedo l’ora di parlare con i colleghi che l’hanno già sperimentata. Io personalmente sono un “solitario”, come fino ad oggi lo sono stati un po’ tutti i disegnatori di fumetti. Questo continuo confronto fornirebbe anche molti spunti di crescita e maturazione professionale, ma non adotterei stabilmente questa organizzazione: ormai non riuscirei a separarmi del tutto dalla relazione individuale che ho con il mio lavoro. Ciò non toglie che una singola esperienza in questo senso potrebbe essere stimolante e che la questione sia soprattutto generazionale. Infatti trovo giusto che i tanti bravi disegnatori più giovani di me e più avvezzi a queste tecniche imparino a padroneggiarle.
Intervista a cura di Santo Cardella, con la collaborazione di Fabiana di Mattia
Fotografie di Giada Coccia