Cosa abbiamo da imparare dall’Eugen Onegin di Čajkovskij

In questo momento mi trovo in Erasmus a Graz, in Austria. Sono arrivata qua solo tre giorni fa e già mi sono immersa un pochino nella cultura locale. Ho viaggiato sul Bim (aka il tram), ho visto la neve cadere (e l’ho vista subito sciogliersi), sono andata in un pub per studenti e all’opera a vedere l’Eugen Onegin di Čajkovskij.


UN’ESPERIENZA INDIMENTICABILE.

Già l’edificio è assolutamente incredibile. Dimenticatevi il teatro dei Rinnovati, che pure mi aveva lasciato a bocca aperta la prima volta che l’ho visto. Sembra di entrare in una chiesa barocca, da quanto oro e marmo vedrete. Ero agitatissima, conosco poco la lingua e la capisco ancora meno, perciò mi sono lasciata guidare dall’istinto. Non ci crederete mai, ma una signora mi è anche venuta a dire, con fare materno, che stavo sbagliando a fare la fila. Ovviamente non l’ho capita bene, ma ho ben compreso la sua aria di leggera disapprovazione.

Gli austriaci sono più simili a noi di quanto si pensi. Faccio il biglietto: un posto in piedi a soli 3 euro e 50. Un sogno che si realizza. Sempre più spaesata seguo la fiumana di persone che sale il meraviglioso scalone dorato. Vedo molti giovani, sono quasi in maggioranza. Sono tutti estremamente calmi e pacati. Nel frattempo io faccio un’altra figuraccia perché non sapevo che avrei dovuto lasciare cappotto e sciarpa nel guardaroba. Devo solo ringraziare il cielo perché tutto lo staff del teatro conosceva perfettamente l’inglese.

Ho una visuale fantastica, riesco a vedere l’intero palco e a leggere bene anche i sottotitoli (un signore con una spilla dell’Unione Europea, durante l’intervallo, mi chiederà poi se può venire lì con la moglie perché nei posti assegnati di sotto non legge i sottotitoli. Altro spaesamento). Il punto fondamentale di tutta questa storia non è tanto l’edificio o la gente che mi sorride e mi regge la porta, quanto quello che si rivela essere un’autentica rivelazione sul palco.

Il teatro dell’opera di Graz

LA TRAMA DELL’OPERA

L’Eugen Onegin è tratto dall’omonimo romanzo in versi di Aleksander Puškin del 1833. La trama è molto semplice: Onegin è un giovane dandy disilluso dalla vita che diventa amico di Lenskij, il quale è promesso sposo di Olga. La sorella di lei, Tatjana, si innamora a prima vista di Onegin e gli scrive una lettera; lui però la respinge dicendole che l’idea del matrimonio lo ripugna. In seguito Lenskij invita l’amico al ballo per l’onomastico di Tatjana.

Onegin, annoiato, decide di sedurre Olga e Lenskij, sentendosi tradito sia dalla donna che dall’amico, lo sfida a duello, nel quale verrà ucciso. Onegin cerca di dissipare il pentimento e il rimorso viaggiando per l’Europa, ma inutilmente. Alcuni anni dopo incontra per caso un cugino e lo invita ad un ricevimento. Tale cugino è sposato con la stessa Tatjana. Onegin si rende conto di averla sempre amata e di aver commesso un grosso errore in passato, così si getta ai suoi piedi; ma la donna, pur essendo ancora innamorata di lui, lo rifiuta per non distruggere il proprio matrimonio. O almeno questo è quello che sembra da una lettura superficiale dell’opera.


LA NOIA COME CONDIZIONE ESISTENZIALE (NEGATIVA)

Il cielo ci ha mandato l’abitudine come sostituto della felicità”, recita Puškin. L’intera opera ruota infatti intorno al concetto di noia: Olga si annoia, Tatjana finge di no, Onegin si annoia, Lenskij pure. La parola “noia” è persino più centrale di “amore”. E’ per noia che Onegin si comporta come un dandy, seduce Olga, rovina l’amicizia con Lenskij e lo uccide (nell’adattamento che ho visto io però è Lenskij a spararsi) e infine vagabondeggia senza fermarsi.

E’ per noia che Tatjana legge tutti quei bei libri sull’amore, scrive la lettera a Onegin, si sposa e infine lo rifiuta. E, soprattutto, è per noia che ciascun personaggio segue le convenzioni, anche quando vanno palesemente contro quello che si prova, come quando Lenskij sfida a duello il suo amico più caro o Tatjana rifiuta l’amore della sua vita. Su quest’ultimo episodio, poi, va fatto un discorso a parte.

Markus Butter (Onegin) e Oksana Sekerina (Tatjana)

SIAMO TUTTE TATJANA

Tatjana è ciò a cui noi ragazze dovremmo, in parte, aspirare. Come tutte noi si è innamorata di un dandy, che, trasposto nei tempi moderni, è il classico “bello e impossibile”. Il ragazzo più popolare della scuola, quello che va con una ragazza diversa ogni giorno, quello emancipato e immune da ogni morale. Tutto ciò che noi stesse vorremmo essere e che non possiamo/vogliamo essere per colpa delle convenzioni e del benpensare (ma si può ancora nel 2018 impedirci da sole di vivere come vogliamo solo per paura di essere etichettate in un certo modo?).

Insomma, ci innamoriamo di lui a prima vista, dopo molto soffrire ci dichiariamo e lui, chiaramente, ci rifiuta talvolta anche con disprezzo. Ci siamo passate tutte, è inutile negarlo. Tatjana da questa esperienza ha avuto molto da imparare: di lei non sappiamo niente, possiamo solo seguire Onegin nei suoi tentativi di espiazione. La ritroviamo, appunto, anni dopo, sposata e molto, molto diversa. Questa volta è Onegin a rimanere catturato dalla sua bellezza e dai suoi modi; così le si dichiara, pensando che lei possa rinunciare a tutto e fuggire con lui.


INVECE NO!

Sarebbe stato molto facile per Onegin se Tatjana gli avesse detto di sì. Avrebbe capito che non importa quanto le tue azioni siano state orribili, alla fine ottieni sempre ciò che vuoi. Non ha mai ammesso di essere innamorato di Tatjana per non distruggere l’immagine di sé che si era creato apposta. Cosa avrebbero detto i suoi amici e il riflesso allo specchio se avesse ammesso fin da subito di provare un sentimento tanto basso come l’amore? Non è stato in grado di unire pubblico e privato e ciò lo ha portato, lentamente, alla rovina, e gli ha tolto dalle mani ogni cosa: l’amicizia e l’amore in primis.

Tatjana, questo, lo sa molto bene, e rifiutandolo gli impedisce di raggiungere la vera felicità. Possiamo considerarla una delle tante eroine che, direttamente o indirettamente, si sottraggono al ruolo che viene loro assegnato e dimostrano di non essere poi così passive come tutti pensano. Pochi anni dopo, nel 1877, Anna Karenina compirà una scelta diversa da Tatjana, abbandonando il marito per un dandy che, chiaramente, dopo averla ottenuta se ne disinteressa totalmente, e con la sua esperienza denuncerà pubblicamente l’ipocrisia della società perbenista; due anni dopo, Nora Helmer si renderà conto di non poter vivere nella stessa casa di un uomo che la tratta come una bambola e che ama più l’immagine che ha di sé; e ancora, nel 1906, la piccola Wendla, con la sua semplice vocina, farà scricchiolare le rigidissime convenzioni sul sesso.


SPUNTI DI RIFLESSIONE.

Perché ho scritto questa cosa? Beh, per dire a noi ragazze che le prime ad impedirci di vivere come vogliamo siamo noi stesse. Le regole non scritte, le abitudini, non sono incise nella pietra: possiamo metterle in discussione, cambiarle o semplicemente ignorarle. Le donne come queste, ma anche quelle realmente esistite, possono fungere da modello iniziale, da spinta, da ispirazione. Cercatele, parlate con loro, prendete le loro idee e decidete se farle vostre o meno. Alla fine, potete anche voi diventare un modello.

Se siete curiose/i (perché l’invito è rivolto anche agli uomini, certo: non bisogna fare alcuna discriminazione) le opere citate sono, in ordine: Anna Karenina di Tolstoj, Una casa di bambola di Ibsen e Risveglio di primavera di Wedekind.


Federica Pisacane.

 

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