Corsi e ricorsi storici: la rivoluzione del 1991

Glamodrama torna con il suo terzo appuntamento! Questa volta ci spostiamo indietro nel tempo e analizzeremo una delle annate, musicalmente parlando, più ricche.

Nella storia del rock, e della musica in generale, sono spesso attuate delle periodizzazioni, magari non rilevanti nella pratica d’ascolto ma utili a farci muovere all’interno dei vari generi e sottogeneri, che nella totalità dei casi costituiscono un sottobosco nel quale è assai facile perdersi. Le espressioni temporali, però, sono spesso un po’ approssimative: magari rimandano a degli anni precisi, ma non ci segnalano mai con precisione l’inizio (e la fine) di un fenomeno musicale.

Tuttavia, possiamo rintracciare un anno cruciale, un po’ come il 1492 o il 1789 per fare un paragone storico.

Stiamo parlando del 1991. Forse mai un’annata è stata così ricca di album spartiacque, alcuni di immediato successo, altri compresi solo dopo anni. Ed è qui che ritengo subito opportuno fare una distinzione.

Dischi come NevermindMetallica, Achtung Baby o Bloody Sugar Sex Magic, ebbero un successo enorme fin da subito, soprattutto a livello commerciale, proiettando gruppi come Nirvana e Metallica all’attenzione generale del mainstream e generando, specialmente nel gruppo di James Hetfield & co, un certo odio da parte dei fan di lunga data, che li accusavano di alto tradimento nei confronti del Metal (ah il purismo!).

La mia analisi vuole però concentrarsi su altri album, lavori che nell’immediato periodo successivo alla loro uscita magari non ebbero un grande successo di pubblico o di vendite ma che con il tempo hanno raggiunto, giustamente, lo status di pietre miliari e, con la loro influenza su altri gruppi, hanno creato un vero e proprio punto di non ritorno.

Slowdive – Just for a Day

Nati nel 1989, dopo tre i Ep pubblicati nei due anni precedenti, il gruppo guidato da Rachel Goswell e Neil Halstead dà alla luce il loro album di debutto. Le influenze Dream Pop di gruppi come i Cocteau Twins si vanno ad unire alle dense trame chitarristiche tipiche dello shoegaze di gruppi come i Ride o My Bloody Valentine.

Il risultato è sorprendente: le voci riverberate ed emotive della Goswell e di Halstead vanno a stagliarsi sul muro sonoro, imponente ma sempre delicato, alzato dalle chitarre; il tutto è sorretto da una sezione ritmica essenziale ma impressionantemente solida. La sensazione è quella di trovarsi in un quadro di William Turner, dove la delicatezza del paesaggio dipinto dovrà fare i conti di lì a poco con le forze della natura.

My Bloody Valentine – Loveless

Se si parla di Shoegaze , non possiamo non nominare il gruppo più rappresentativo e famoso dell’intero genere. La storia di questo album nel corso degli anni ha assunto dei connotati quasi leggendari; un lavoro durato tre anni, periodo nel quale quel genio irrequieto di Kevin Shields, compositore, arrangiatore nonché produttore, ha licenziato ingegneri del suono, litigato con i compagni di band, minacciato di non far mai uscire il disco, tutto al fine di portare a termine il suo obiettivo: creare un qualcosa di totalmente unico nella storia della musica (tutt’oggi non credo ci sia nulla che si sia lontanamente avvicinato in termini di ricerca sonora a Loveless). Fra suoni caotici sovrapposti, in alcuni casi ai limiti del cacofonico, chitarre distorte inverosimilmente, un largo uso di campionamenti e una voce filtrata, quasi incomprensibile, il risultato finale è un unico e compatto muro di suoni martellanti che marcheranno indelebilmente ogni suo ascoltatore.

Slint – Spiderland

Quattro ragazzi, poco più che ventenni, fissano l’obbiettivo fotografico mentre, sorridenti, stanno facendo una bella nuotata. Sembrerebbe un quadretto idilliaco, tuttavia, come ben sappiamo, l’apparenza spesso inganna.

Spiderland è probabilmente il nuovo punto zero del rock, un album agghiacciante per il senso di disorientamento nel quale ci catapulta, dove, fra distorsioni immerse in un mare di dissonanze e tempi irregolari, si mettono a nudo tutti i nostri incubi peggiori.

Vorrei appunto citare alcuni frammenti di una recensione che forse meglio di tutte riesce a descrivere le sensazioni che questo disco riesce a suscitare.

“Spiderland è incertezza post-adolescenziale di fronte a scelte che recano responsabilità troppo alte. È la constatazione rassegnata che i nostri desideri e i nostri sogni si sono rivelati fallimentari. È il nostro scheletro nell’armadio che cominciamo a mostrare e ad accettare nella più totale indifferenza. […]

Spiderland ossessiona. Alimenta l’angoscia interiore non stemperandola mai. È come il nostro incubo preferito. L’atmosfera perennemente cupa e raggelante provoca l’ascoltatore, che vorrebbe ricercarvi risposte consolatorie. Attesa inutile: restano lacrime sublimate e profondo senso di incertezza, freddo epitaffio della nostra condizione esistenziale.”

Fugazi – Steady Diet of Nothing & Jesus Lizard – Goat

I primi anni di questo decennio furono anche l’epoca d’oro del Post-Hardcore. Sulla scia della grande lezione di gruppi come Minor Threat, Hüsker Dü e Black Flag, Fugazi e Jesus Lizard fecero uscire due album come Steady Diet of Nothing e Goat.

Il primo segue a distanza di un anno lo straordinario Repeater, consegnando alla band di Guy Picciotto e Ian MacKaye lo status di band di riferimento della scena, anche grazie ai loro memorabili live.

Goat, invece, prodotto dall’onnipresente Steve Albini, rappresenta uno dei dischi più originali e influenti del genere con cui riescono a creare uno stile del tutto personale.

Le varie influenze dei tre musicisti contribuiscono a creare un sound unico, dove svettano i riff di Duane Denison (chitarrista diplomato in Flamenco!), uno su tutti quello di Mouth Breather, sorretti da una sezione ritmica che impressiona per groove e solidità in pattern, spesso, di una certa complessità.

La voce di David Yow rappresenta la ciliegina sulla torta: i testi, crudi ma intrisi di una cinica ironia, sono schiaffati in faccia al povero ascoltatore in maniera nevrastenica e brutale, senza nessun timore reverenziale.

A proposito del confronto fra Fugazi e Jesus Lizard, cito qua un’interessante riflessione:

“ Proprio come i Fugazi, i Jesus Lizard si caricano sulle spalle tutto il peso del post-hardcore, e paradossalmente ne costituiscono proprio l’opposto, stilisticamente e concettualmente. Potremo paragonare Jesus Lizard e Fugazi rispettivamente a un martello e una lama. Tutti e due letali ma diversi nella forma. I Fugazi teorizzavano una reazione al nichilismo della gioventù di allora, professando dopotutto una filosofia di speranza e di lavoro. “Repeater” è probabilmente il lavoro più importante dei 90’s in questo senso.
Alla base dei Jesus Lizard vi era invece proprio la disintegrazione totale del principio di umanità e lotta. La loro musica era solo un tentativo di estremizzare tutto lo schifo che vedevano intorno a loro, e possiamo dire con certezza che ce la fecero a rendere ancora più infernale la società americana.”

In chiusura di articolo vorrei sottolineare come una serie di album (vedi Green Mind dei Dinosaur Jr o White Light from the Mouth of Infinity degli Swans) non siano stati citati anche se meriterebbero la massima attenzione e un’attenta analisi per capire ancora meglio la capitale importanza di questa annata nella storia del Rock e della musica in generale.

Come sempre, qui trovate una playlist Spotify esplicativa del genere.


Leonardo Bindi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *