#CoglioneNO – La reazione alla creatività che non paga

Il lavoro creativo è una realtà molto presente in Italia, ma forse qui più che all’estero il lavoro dei giovani non è riconosciuto come dovrebbe. Spesso si dimentica che dietro a un lavoro creativo c’è preparazione, impegno, dedizione, spesso si tende a considerare il lavoro creativo un semplice divertimento (come se un’occupazione che piace e diverte non potesse avere i requisiti necessari per essere una professione a tutti gli effetti). Tutto si traduce in prestazioni mal pagate o più frequentemente a titolo gratuito, a cui si aggiunge l’umiliazione del sentirsi ripetere, ormai in modo sistematico, la tipica frase “Per questo progetto non c’è budget!”. Ma cosa succederebbe se a subire questo trattamento fossero ad esempio un idraulico, un antennista o un giardiniere? Ce lo hanno spiegato i ragazzi di ZERO (Alessandro Grespan, Niccolò Falsetti e Stefano Di Marco), con i tre video realizzati per #CoglioneNO, la loro campagna pirata per la tutela dei lavori creativi in Italia, che da circa un mese spopola sul Web generando accesi dibattiti ma anche larghi consensi. L’ironia e l’incisività dei video hanno colpito anche noi di uRadio, e per questo ho intervistato Alessandro Grespan: quello che segue è il risultato della nostra chiacchierata. Ah ovviamente, anche per questo progetto non c’è budget!

Ciao Alessandro! Per prima cosa vorrei chiederti di parlarmi un po’ di voi tre e del collettivo ZERO
Beh, non ci definirei proprio un collettivo, in realtà siamo ZERO e basta. Tutto è partito da Niccolò e Stefano che si sono conosciuti a Roma all’università e hanno iniziato a girare dei video insieme. Io, che sono a Londra da cinque anni, li ho conosciuti durante un progetto molto bello. E’ il documentario Erasmus24_7, che è finanziato da una campagna di crowd-funding ed è realizzato da una sorta di “minicrew” , in cui oltre a noi ci sono anche Benjamin Maier e Lorenzo Schirru. Il bello è che ho incontrato gli altri per la prima volta direttamente sul set, a Valencia, per la prima tappa del documentario. Quindi ZERO è nato proprio “sul campo”: è stata in quell’occasione che ci siamo resi conto di aver tante idee e cose da dire insieme.

In realtà credevo che lavoraste insieme da molto più tempo …
Ce lo dicono in tanti, e invece non è ancora passato un anno! Forse aver collaborato per un progetto che ci piaceva e che ci ha appassionato così tanto – e soprattutto aver diviso tutto, le stanze di ostello e i pavimenti per dormire, i panini da mangiare – ci ha unito tantissimo nonostante tutto sia successo in poco tempo.

E invece quando è nata l’idea per la realizzazione dei video per la campagna #coglioneNO?
Tutto è partito alla fine della scorsa estate. #coglioneNO è la reazione all’ennesima mail o all’ennesima storia che ci raccontavano riguardo a svariate proposte lavorative un po’ “indecenti”. Per questo abbiamo pensato che, per una volta, se avessimo dovuto lavorare gratis almeno lo avremmo fatto per noi. Tutto parte dalla banale considerazione per cui tutti i lavoratori devono essere pagati: ci siamo chiesti cosa succederebbe se ad esempio non venisse pagato un idraulico. Il nostro è stato un po’ un esperimento di comunicazione e anche di provocazione, che sicuramente alla fine è andato bene. Siamo molto contenti del risultato.

Sì, in effetti i video hanno avuto un’eco incredibile. Forse ha fatto effetto il confronto tra lavori più “concreti” e lavori creativi, spesso considerati meno importanti perché all’apparenza meno tangibili
Sicuramente questo problema è insito nel lavoro creativo, e non è nemmeno tanto facile da risolvere. Noi però crediamo che lavorare con una certa preparazione alle spalle e puntare alla qualità paghi. Pensiamo sia necessario educare il datore di lavoro a capire il valore di ciò che si fa.

Ho una curiosità, anche a Londra ti occupi di progetti di filmmaking? Com’è lì la situazione?
Sì, anche qui mi occupo di video. Dire che la situazione è completamente diversa sarebbe sbagliato (pensa che in molti ci hanno detto che i video funzionerebbero anche in inglese!), ma esiste un’ etica del lavoro più sviluppata. Qui quasi ci si vergogna a chiedere di lavorare gratis, e soprattutto non esiste quella sbruffonaggine e quella mancanza di rispetto con cui dobbiamo purtroppo convivere in Italia. E soprattutto è forte l’idea per cui se uno non può neppure permettersi di pagare per un servizio, questo significa che il suo business non funziona e lui non può neppure definirsi imprenditore.

Come abbiamo già detto la vostra campagna ha avuto molto successo,ed è riuscita a ricevere sia molti elogi che molte critiche. Voi cosa ne pensate?
E’ molto interessante seguire il dibattito che si è scatenato, anche per quanto riguarda il fattore critiche. Sappiamo che il fascino e il rischio della comunicazione su internet sta proprio in questo: ognuno lanciando il proprio messaggio deve essere consapevole che questo verrà riformulato e reinterpretato. C’è stato chi con le sue critiche è arrivato anche a farci riflettere e riformulare alcuni nostri punti di vista, e c’è stato chi invece lo ha fatto più superficialmente, criticando forse più il nostro ruolo che il nostro messaggio. Ma è tutto stimolante. Ciò che conta è l’essere riusciti a parlare di creatività e anche di precarietà. L’obiettivo era quello di costruire qualcosa che fosse leggibile a vari livelli, che fosse rappresentativo dell’Italia in tanti modi. Abbiamo voluto rivolgerci anche ai vittimismi senza motivo. In fondo #coglioneNo vuol dire anche che se un datore di lavoro fa lo stronzo, tu non devi fare il coglione.

Forse il risultato più significativo è stato proprio quello per cui i video hanno portato anche ad azioni più concrete. So ad esempio che vi siete legati alla petizione lanciata nel 2011, che si trova nel sito creativi.eu
Sì, esatto. Noi siamo felici di aver contribuito a smuovere qualche animo e ad aprire la riflessione sull’argomento, ma sarebbe sbagliato prenderci meriti non nostri. Non siamo legislatori, e non siamo noi ad aver fatto partire la campagna che, come hai detto anche tu, è già in giro da due anni. Noi abbiamo soltanto aggiunto la nostra voce al coro, forse trovando un nuovo modo per esprimere ciò che pensano in tanti. Quello che volevamo dire è che questa sensazione c’è, e serve una riflessione a riguardo da parte di tutti, anche da parte dei creativi stessi che dovrebbero iniziare a chiedersi qual è il valore del loro lavoro e far sì che questo valore sia giustamente pagato.

Ma questa campagna avrà un seguito?
Per ora non vogliamo tornare su questo tema con il nostro lavoro, dato che sarebbe un po’ agire sfruttando finché si può una cosa che è andata bene. Ma ovviamente siamo disponibili per qualsiasi altra iniziativa che riguardi l’argomento. Inoltre dobbiamo percorrere la nostra strada, dobbiamo finire il documentario di Erasmus24_7, e in futuro descrivere con i nostri video anche altre situazioni che ci interessano. Non vogliamo ergerci a paladini della giustizia, altrimenti ne verrebbe fuori un’italianata, di quelle in cui determinati ruoli vengono assegnati a persone che in realtà quei ruoli non li hanno. Noi cerchiamo di far girare le idee, che però non bastano a cambiare il mondo: il mondo lo cambiano le persone.

Abbiamo già accennato ad Erasmus24_7, vuoi parlarmene più nello specifico?
Erasmus24_7 è la cronaca della giornata tipo di sette studenti Erasmus, che si svolge in sette città europee diverse. Abbiamo finito di girare il documentario e lo monteremo nel prossimo mese, poi lo vorremmo presentare nei vari festival europei. L’Erasmus ormai fa parte della nostra generazione e quindi ne rappresenta in qualche modo il segno distintivo. L’Erasmus può davvero essere il pilastro della futura, vera identità europea. Magari ancora non ce ne rendiamo conto (e sto per dire una cosa per cui Nicco mi prende sempre in giro, dato che è diventata una specie di tormentone), ma i nostri nonni si sparavano nelle trincee, e noi invece con tedeschi e francesi condividiamo appartamenti, bagni e colazioni. Forse rappresenteremo la prima vera generazione sovranazionale, quella che vive per la prima volta un destino simile. Il senso di unione e di apertura mentale che ti dà l’Erasmus può essere la chiave del futuro dell’Europa.

Nel sito dedicato al documentario ho letto questa frase che mi è rimasta impressa:We need to understand Europe, because our generation has to fix what went wrong with Europe (Abbiamo bisogno di comprendere l’Europa, perché la nostra generazione deve correggere ciò che è andato storto con l’Europa). Forse proprio le situazioni e le sensazioni comuni provate in Erasmus sono molto più utili degli accordi formali per il futuro dell’Europa
Sì, le frasi presenti sul sito sono dei ragazzi protagonisti del documentario. Sicuramente fino a questo momento le leggi sono state fatte da chi ha vissuto in un Europa diversa, ma in futuro le potremo fare noi. Noi abbiamo visto nell’Erasmus un modo di guardare alle radici dell’Europa di domani, pensiamo che l’Europa possa nascere in quegli appartamenti un po’ scrausi in cui ci siamo trovati tutti a vivere.

Bene! Ti ringrazio per questa intervista, per averci parlato più nello specifico di #coglioneNO e degli altri progetti di ZERO.
Io ringrazio te, e ti ringrazio anche a nome degli altri. Ci fa molto piacere che le persone vengano a farci delle domande, anche se ancora non abbiamo capito bene il perché!

Se siete ancora tra i pochi a non aver visto i video di #coglioneNO , li trovate QUI, insieme a tutti gli altri progetti realizzati da ZERO.

Alice Masoni

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