Ciclomaggio 2016: Raboni prima e dopo le Canzonette

Il 19 Maggio, per la seconda volta, dopo il primo appuntamento del 12, Siena grazie al Ciclomaggio ha incontrato Giovanni Raboni e le sue “Canzonette mortali”, questa volta in una tavola rotonda a cui hanno preso parte Rodolfo Zucco, Concetta Di FrazaFabio Magro. Relatrice dell’evento, organizzato sempre dal collettivo TibiArs, la prof.ssa Natascia Tonelli. Ospite d’onore è stata la poetessa Patrizia Valduga, compagna di vita di Raboni e sua musa ispiratrice soprattutto negli ultimi anni di vita. La sua eleganza, i suoi movimenti controllati e aggraziati, fin da subito, hanno invaso silenziosamente l’aula magna del palazzo di Fieravecchia mentre lei, la donna delle canzonette mortali, ascoltava seduta al suo posto con sguardo fermo, concentrato e talvolta corrucciato per esprimere tacito dissenso al parere dei filologi presenti.

Rodolfo Zucco (Università di Udine) ha mostrato dei manoscritti del poeta e concentra l’attenzione sul fatto che Raboni avesse una particolare predilezione per la scrittura manuale, quella manovrata da un moto irrefrenabile della mente che trova pace solo nel correlato movimento della penna sul foglio di carta; tuttavia -ha fatto notare Zucco-nel lavoro di stesura di Raboni non esisteva quella che viene chiamata comunemente “brutta copia”: poche esitazioni, piccole cancellature, solo qualche irrilevante modifica. Si lasciava travolgere dall’ispirazione e leggeva con sicurezza all’interno della sua anima, i suoi pensieri prendevano forma in una grafia decisa, curata, scorrevole.

È seguito l’intervento carismatico di Concetta di Franza, dal Liceo classico Garibaldi di Napoli, la quale ha sottoposto al pubblico di giovani letterati una interessante questione riguardo all’uso dell’anacronismo evidenziando come questa tecnica diventi, all’interno dei versi di Raboni, una forma di espressione della morte e delle tematiche ad essa affini. L’uso consapevole dell’anacronismo rappresenta il dolore di non sentirsi parte di un tempo contingente, rappresenta una corsa appassionata, contro vento, verso una realtà che più si confà alla proprie esigenze fisiche e spirituali; “le volte che è con furia che nel tuo ventre cerco la mia gioia è perché, amore, so che più di tanto non avrà tempo il tempo di scorrere equamente per noi due” scriveva Giovanni per Patrizia, amareggiato e sofferente a causa del tempo reo che fugge, incalza, e consuma il desiderio di un uomo innamorato. E allora, quasi inerme, Raboni si ferma “come sta fermo un ramo, su cui sta fermo un passero” e scrive, scrivere come antidoto alla morte, lenire una pena a cui si è condannati nel momento meno opportuno.

L’ultimo esperto ad intervenire è stato Fabio Magro dell’Università di Padova; un’analisi ancor più tecnica la sua, focalizzata sull’uso del trobar clus nelle “Reliquie Arnaldine” di Raboni. Attraverso una serie di esempi tratti dal testo Magro ha spiegato come il trobar clus renda la poesia aspra, oscura, fortemente allegorica, dunque adatta alle tematiche raboniane.

È arrivata infine la volta di Patrizia Valduga, momento atteso da tutti coinciso inevitabilmente con un picco di attenzione e concentrazione. Come se avesse un piffero magico, con umiltà e il solito charme, la poetessa ha espresso parole d’amore e riconoscenza verso l’uomo che lei stessa ha ispirato e dunque, si può dire, contribuito a rendere un grande poeta del secolo scorso. Lei ha vissuto in prima persona Raboni e la liricità delle canzonette mortali, era lì a segnare il confine vitale tra l’esperienza onirica e la vita reale, tra il corpo e l’anima, tra luce e buio. Ha rapito, senza molti sforzi, con la sua sola presenza, con il suo solo sguardo, con la sua sola voce. Essenziale e incantevole nella sua semplicità, come ogni cosa bella per davvero.

Il maggio senese, che ogni anno si traveste da cantastorie per raccontare un autore, in questa edizione ha avuto il suo epilogo presso il Chiostro di San Galgano; Raboni è stato letto e musicato, è stato studiato, se ne è dibattuto e, il 26 Maggio, è stato anche teatralizzato. In questa ultima occasione è emerso il tema cardine del ciclomaggio: la letteratura al servizio della quotidianità, della vita, quella che non trascende il dolore e pulsa immersa nel mare dell’ordinario, è lì che agisce la magia dei versi sprigionando il potere di alleviare dolori e incrementare gioie.

Una scenografia minimale ma curata e il silenzio intorno hanno racchiuso, in un cerchio di volti attenti, il monologo esistenziale recitato da Dario Del Fante: coinvolgente, ritmato, forte, commovente, di facile immedesimazione, vero, unico e di grande presenza scenica. Uno spettacolo toccante fatto non solo di  versi e voci, ma anche di numeri e simbologia di varia natura; l’aggrovigliata matassa di un’esperienza tormentata si è sciolta confondendosi con quelle di tutti i presenti e la forza della condivisione (altro aspetto cruciale dell’evento) ha uniformato l’atmosfera facendo sentire ciascuno-certamente nessuno escluso-parte integrante di una sensibilità comune, meno solo nei suoi continui e assillanti quesiti.

Spesso si vive lasciando che la bellezza scivoli accanto, sgattaiolando, sentendosi troppo deboli per agguantarla con  slancio coraggioso; tante volte si ignora dandole le spalle, alla bellezza, e poi basta voltare leggermente lo sguardo, tendere la mano e sentirla vicina, vederla in un volto o in un gesto o magari nel frastuono di tanti silenzi repressi, nella gestualità agitata di voci smorzate. È nel cogliere l’ossimoro, scoprire finalmente la connessione tra il singolo e altri singoli  a loro volta discendenti ed irrimediabilmente legati ad una grande emozione comune, è lì la bellezza. La bellezza, che è arte per antonomasia, assiste ed unisce. Cos’è il Ciclomaggio se non questo? Uno sguardo collettivo e partecipato verso un mondo ricco di sorprese nascoste, indossando gli occhiali della bellezza.

È stato un successo sull’onda dell’arte e delle parole, dove rifugiarsi per ricevere domande, non risposte; domande che inducono a riflettere  e a stimolare una propensione nei confronti della poesia.

Rossella Mestice

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