Il 14 ottobre alle 9:30 nell’aula bunker di Rebibbia si è tornati a parlare di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ritrovato morto in Egitto il 3 febbraio 2016. Ci eravamo lasciati con l’emersione di due nuovi testimoni, che avevano attribuito la morte del ventottenne a quattro agenti della National Security egiziana, oggi indagati dalla procura italiana. Le due testimonianze hanno squarciato il silenzio del governo egiziano, da sempre intenzionato a chiudere le indagini. Il governo italiano invece si è costituito parte civile del processo, come dichiarato dal ministro degli Esteri Di Maio nell’ultima commissione parlamentare Regeni.
L’udienza di giovedì ha bussato alla porta della giustizia per chiedere verità su Giulio Regeni. Ma anche stavolta la giustizia ha preferito lasciare la verità sull’uscio. I quattro indagati non si sono presentati in aula, vanificando l’intenzione della procura italiana di continuare il processo sul caso Regeni.
La Corte d’ Assise di Roma ha infatti deciso di sospendere il processo. La motivazione dietro questa decisione è in precario equilibrio di credibilità. Il procedimento è stato sospeso perché non c’è certezza che gli indagati ne fossero a conoscenza, e nemmeno che si siano sottratti intenzionalmente alle indagini.
Assenti all’udienza, la difesa alza le mani: gli accusati non sapevano del processo
Mentre l’udienza riceveva un’attenzione internazionale, al processo mancavano coloro che rimangono al centro delle accuse. Gli 007 egiziani Magdi Abdelal Sharif, Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Sabir Tariq, ritenuti responsabili delle torture subite dal ricercatore italiano, non si sono presentati all’udienza. La ragione della loro assenza denota un’impalcatura difensiva priva di consistenza.
La difesa ha infatti dichiarato che gli imputati non fossero a conoscenza del processo. <<Non c’è la prova certa che gli imputati siano a conoscenza del procedimento e del processo>>, ha dichiarato l’avvocato difensore Sarno in occasione dell’udienza.
La riflessione che ne consegue è spontanea. Di fronte al vortice mediatico e politico intorno al caso Regeni, si può credere che gli indagati, nell’occhio del ciclone, fossero all’oscuro delle indagini? Un’altra crepa si apre poi nelle dichiarazioni della difesa. La notifica delle indagini non è mai direttamente arrivata agli imputati- così come è stato rilanciato dagli avvocati difensori- proprio perché l’Egitto non ha mai fornito i loro indirizzi.
Gli indigati dichiarati “finti inconsapevoli”, ma il processo resta sospeso
La procura italiana non rimane sorda all’eco vuoto della difesa. Gli accusati sono stati dichiarati “finti inconsapevoli”, ovvero pienamente a conoscenza delle indagini, ma nonostante ciò assenti al processo. <<I quattro agenti della National Security (…) non sono qui in aula per evitare che il processo vada avanti>>, sono le parole del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco ad aprire l’udienza di giovedì , smontando il giusitificazionismo dietro il quale la difesa continua a nascondersi.
La speranza iniziale di far luce sul caso Regeni è stata derisa anche stavolta da un’udienza che non si è conclusa, perché, fondamentalemente, non si è mai aperta. Un effetto domino quello che continua a spostare l’inizio del processo. Dopo cinque anni dall’inizio delle indagini, i tentativi di depistaggio e la chiusura dell’Egitto arrivano sempre puntuali all’appuntamento con la giustizia.
Sì, gli indagati sono stati definiti “finti inconsapevoli”, ma il processo è stato comunque rimandato. E con lui, anche la possibilità di chiarire l’uccisione di Regeni in Egitto.
Il nastro delle indagini viene riavvolto ancora una volta. Si dovrà ripartire dall’udienza preliminare, per dimostrare che gli indagati siano effettivamente consapevoli del processo a loro carico.
La speranza della famiglia Regeni: dopo il rinvio, l’oscurantismo egiziano resta il muro da abbattere
Il volto coperto dalle mascherina, lo sguardo lanciato davanti. Stretti in un unico passo, nell’instancabile battaglia per Giulio, il figlio, il fratello, che non ha ancora ricevuto giustizia per la sua morte inspiegabile. Claudio Regeni, Paola Deffendi e Irene Regeni arrivano all’aula di Rebibbia nella speranza di scrivere il primo capitolo della verità che aspettano dal 2016.
La speranza con cui i famigliari sono entrati in aula si trasforma in delusione alla fine dell’udienza. L’avvocata Alessandra Ballerini, rappresentante della famiglia Regeni, ha dichiarato che la decisione finale <<purtroppo premia l’ostruzionismo, l’arroganza e la prepotenza egiziana>>.
Ma la famiglia Regeni non molla nella corsa (ad ostacoli) verso la giustizia. Un traguardo che, da cinque anni, sembra spostarsi sempre un pò più in là.
La lotta per i diritti umani non può sottostare ad altri interessi
Per l’udienza del 14 ottobre si è parlato dell’inizio di un processo storico. Per la prima volta sono sotto accusa non solo i quattro presunti assassini, ma anche un intero Stato, indifferente alla tutela dei diritti umani. L’Egitto, infatti, continua a voltarsi dall’altra parte, rifiutandosi di collaborare con le indagini sul caso Regeni. Mentre le carceri egiziane riversano al loro interno l’oscurantismo della libertà di opinione, la storia del ricercatore italiano rischia di ripetersi ancora.
Quando i diritti umani si scontrano con i rapporti politici, economici, sembra che l’ipocrisia dei governi abbia la meglio. Da un lato, l’Egitto di Al Sisi, che distorce i diritti umani nell’immagine di un diktat imposto dall’Europa. Dall’altro lato, l’Europa, l’Italia in primis, che cerca di portare avanti le indagini, ma inciampa nei rapporti commerciali instaurati con l’amico Egitto. Tra i due poli, una forza centrifuga porta al centro la libertà di pensiero, uccisa dal disinteresse politico che li dimentica.
La morte di Giulio Regeni è diventata portavoce della lotta internazionale contro le violazioni dei diritti umani attuate nelle carceri egiziane. Finché il sistema internazionale non darà effettivamente valore alla sovranità dei diritti inalienabili , l’egoismo di ciascuna potenza rischia di avallarli.
Cosa cambierà dopo l’udienza del 14 ottobre? Molto, se consideriamo il faro politico che si è acceso sul caso. Poco, se guardiamo allo sviluppo del processo.
Un elemento continua ad emergere a gran voce dalla vicenda: la verità per Giulio Regeni deve unirsi alla tutela giuridica dei diritti umani, affinché non diventino una mera immagine riflessa su se stessa.
Ilenia Costa