Sono passati cinque anni dall’omicidio di Regeni ed uno esatto dall’incarcerazione di Zaki.
Sono solo due dei tanti nomi di attivisti che ogni giorno sono incarcerati, torturati e uccisi. Perché accade questo? La questione della libertà di stampa e di parola in Egitto è un argomento molto delicato e a tratti doloroso. L’Italia e l’Europa come si stanno comportando verso l’Egitto? In che rapporti sono? Andiamo a ripercorrere il caso Zaki.
Patrick Zaki
Chi è Patrick Zaki?
Nato a Mansoura in Egitto il 16 Giugno 1991 Patrick è un giovane ambizioso, determinato e coraggioso. Nel 2011 in Egitto scoppia la rivoluzione: il giovane assiste a massacri e violenze. Da quel momento decide di impegnarsi nella difesa dei diritti umani, dei cristiani, delle minoranze oppresse e della comunità LGBT+ del suo paese natale. Con la fine della rivoluzione inizia il governo di al-Sisi. Nel 2017 lascia gli studi e inizia a lavorare per l’Egyptian Initiative for Personal Rights (una delle maggiori organizzazioni egiziane nel difendere i diritti umani e civili).
Patrick zaki
L’arresto
Nel 2019 il ricercatore decide di riprendere gli studi. Si trasferisce così a Bologna per il programma Erasmus con il master in Studi di genere e sulle donne. Il 7 Febbraio rientra in Egitto. Atterrato all’aereoporto del Cairo, la polizia lo arresta per incitamento alla protesta per il rovesciamento dello Stato. E’ accusato di essere un terrorista, di istigare alla violenza tramite post sui social. Il suo scopo secondo le autorità egiziane? Minare l’ordine sociale e la sicurezza pubblica. Patrick in realtà raccoglie semplicemente informazioni sulle violazioni dei diritti in Egitto e le diffonde, sostenendo i propri ideali. Un ragazzo informato, colto ed attivo che poteva dare fastidio ad un regime autocratico come quello di al-Sisi.
Il giovane per 17 ORE è stato minacciato, picchiato, sottoposto a elettroshock e interrogato. Ancora oggi è detenuto nel carcere di Tora, considerato uno dei peggiori al mondo per i sistemi di torture usati verso i prigionieri. Il 7 febbraio sarà un anno esatto dalla sua incarcerazione. La sua “colpa”? Quella di aver contribuito a difendere i diritti umani e le proprie idee.
Patrick Zaki
Ultimi aggiornamenti
Il primo febbraio la detenzione di Patrick Zaki è stata prolungata. Dovrà rimanere in carcere per altri 45 giorni. Questa è l’undicesima volta che il ricercatore vede sfumare la possibilità di tornare libero.
Libertà di parola e di stampa in Egitto
Dopo 30 anni, nel 2011 in Egitto cadde il potere di Mubarak. Si assistette alla breve parentesi di Morsi candidato dei fratelli mussulmani, destituito poi da al-Sisi. Al-Sisi sostiene che il suo governo, seppur figlio di una presa di potere militare, sia legittimato dal consenso ottenuto con le elezioni democratiche del 2014. Oggi l’Egitto è probabilmente un posto più duro di quanto non fosse sotto Mubarak.
La casta militare ha plasmato la società a propria immagine, diffondendo una propaganda per incitare i cittadini a segnalare eventuali oppositori. Ci sono agenzie che decidono cosa è lecito diffondere e cosa no. Agenzie che che possiedono stazioni televisive, sorvegliano sia le strade che Internet.
Questo rende l’Egitto un luogo pericoloso per i critici e gli oppositori: perfino una battuta fuori posto o un post su Facebook possono portare all’incarcerazione. Privilegi e guadagni sono garantiti solo a chi sostiene il potere in carica. Oggi le carceri sono piene dei suoi oppositori. Alla polizia sono consentiti ampi margini di illegalità tra cui la possibilità di agire sempre con violenza.
Ogni giorno spariscono almeno due persone come Giulio e Patrick. Il Committee to Protect Journalists, ha sottolineato come nel 2015 l’Egitto sia stato il Paese con il maggior numero di incarcerazioni di giornalisti dopo la Cina. L’Egitto ha esteso la censura digitale a social e rete, tracciando persino chiamate telefoniche, sms, posta elettronica e geolocalizzando eventuali cittadini da colpire. I taxi sono oggi lo strumento principe del governo per arrivare a controllare la rete di informazioni del paese.
Per chi diffonde notizie diverse da quelle rilasciate dai ministeri deve pagare multe tra i 23 e i 57mila euro. Questo accade quando si tratta argomenti come gli attacchi jihadisti,
Le notizie su attacchi terroristici devono essere riportate esclusivamente sulla base delle dichiarazioni ufficiali del potere.
Tutto il materiale che potrebbe rappresentare un sostegno alla Fratellanza Musulmana è vietato. Quasi tutti i mass media di stampo islamista, inclusi i canali satellitari, sono stati chiusi nel 2013.
Estremamente rischioso è poi addentrarsi nella trattazione della situazione delle carceri, del ricorso alla tortura. Questo spinge all’autocensura e alla cautela spontanea i giornalisti stessi.
Per queste ragioni possiamo affermare che ufficialmente è un Paese non libero.
Patrick Zaki
E l’Italia e l’Europa? Come si stanno comportando nei confronti dell’Egitto?
Lo scorso 19 dicembre il parlamento europeo ha approvato una risoluzione per esortare gli stati membri a imporre sanzioni economiche contro l’Egitto. è stata approvata con 434 favorevoli, ma anche 29 contrari e 202 astenuti. Ma, nonostante questo, nessun paese ha ancora proceduto a sanzionare il Cairo.
Il caso giudiziario di Patrick è l’unico che viene costantemente monitorato da un gruppo di Paesi stranieri. All’ultima udienza erano presenti rappresentanti di Danimarca e Usa e un diplomatico italiano. Negli ultimi giorni il ministero degli Esteri ha continuato a sensibilizzare le autorità egiziane al fine di favorire la scarcerazione dello studente. Ma può bastare questo per liberare Patrick? Considerando che è ormai passato un anno dal suo arresto, la risposta sembra evidente.
La vicenda di Zaki ricorda quella di Giulio Regeni. Entrambi erano due ricercatori che portavano avanti i loro ideali. Con entrambi l’Italia si è comportata nello stesso modo. Le famiglie dei due ricercatori chiedano da tempo azioni più incisive, compreso il ritiro dell’ambasciatore italiano in Egitto.
Ad oggi le autorità italiane si sono limitate a dialoghi istituzionali. Si chiede verità ma allo stesso si dichiara amicizia. L’Italia è oggi il primo partner commerciale dell’Egitto fra i paesi europei. Continua i propri affari economici come se nulla fosse. Nel 2015, dopo la scoperta dell’enorme giacimento di gas naturale a Zohr (il più grande del Mediterraneo), i rapporti si sono intensificati. La gestione di tali pozzi è stata affidata ad ENI. Un altro settore controverso è quello della vendita di armi. Viene da chiedersi quale senso possa avere rafforzare sul piano militare un avversario diretto nella partita libica.
Sicuramente l’interruzione dei rapporti con l’Egitto sarebbe una soluzione dannosa per gli interessi italiani. Ed è questo il dilemma di fronte al quale si è ritrovato ogni governo italiano dal 2016 ad oggi. La scelta è fra i principi morali e gli interessi materiali. Cosa ha la priorità? Ad oggi è chiaro che sul piatto della bilancia contino di più i fattori economici.
Dunque sono due le domanda centrali su cui l’opinione pubblica dibatte. Si può stringere accordi commerciali con chi uccide e tortura? è giusto continuare a dare la priorità al guadagno economico piuttosto che alla vita di nostri concittadini?
Alice Muti Pizzetti