Aroura abbraccia il respiro di Gea, muove dalle sue forze telluriche, sfiora le labbra delle sue voragini attraverso le quali la vita viene alla terra. È l’alba dei tempi, il passo dal buio al primo lume che splende in alto. È natura, contatto, macchina. Oscura come il teatro, Aroura avvolge l’ascoltatore nell’involucro stridente del prenatale, sporca nuovamente le viscere di terra bruna.
Questo parto elettrico di Xenakis, architettura musicale smaniosa e nervosa e frenetica e irrequieta, si avvale di un formalismo che sembra riprodurre il rumore impercettibile del divenire; porta la musica ad un altissimo livello di astrazione, disapprova il contenuto melodico, impiega il tecnicismo all’estremo fino a farne esplodere le contraddizioni, restituendo uno spazio vacuo privo di esso, che prima di esso viene.
Aroura è il delirio cosmico della vita cieca che vuole la vita senza pietà. È una pura struttura che, mentre urla, cresce. Si oggettiva, si aliena, esce fuori di sé. Interrompe i contatti, li riallaccia, li riaggancia nell’enunciato continuo-discontinuo dell’universo che avanza, λόγος furioso.
Aroura è una forza: sale, scende, glissa. Gratta, sobbalza, piove, stride. Grava, si acuisce, si esaurisce. Marcia, marcisce. Fugge, ronza, preda. Scalpita. Muore, rinasce.
Aroura, dal cuore del caos, danza su una spirale regressiva. L’onda acustica acquista consistenza acquatica, portando in seno i batteri archea che l’uomo contemporaneo seppellisce sotto la propria carne, consumatore inconscio di Natura sotto le mentite spoglie di prodotto-spettacolo.
Il baratro è la conclusione: ogni peccato è lecito, tranne quello di essere nati.
Xenakis aiuta a morire. O meglio, a non nascere.
Nefelio Coribante
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