“Arlecchino servitore di due padroni”: la commedia ai Rinnovati

Di Goldoni a teatro se ne vede poco. Come, allo stesso tempo, appare poco probabile che una stagione teatrale metta in scena una tragedia greca. Pare esserci una certa ritrosia nel rappresentare opere che distanziano lo spettatore di qualche secolo.

Ma quando tale riluttanza viene superata, ecco che la diffidenza del pubblico si trasforma in stupore, attratti dai commedianti (e non attori!) che solcano il palcoscenico. Il teatro dei Rinnovati ha infatti accolto, da venerdì 17 a domenica 19 Gennaio, la rappresentazione dell’opera goldoniana “Il servitore di due padroni” realizzata dalla produzione Teatro Stabile di Torino e con la regia di Valerio Binasco.

Natalino Basso (Arlecchino) e Elisabetta Mazzullo (Beatrice)

Arlecchino servitore di due padroni” è una bella rappresentazione teatrale, come se ne vorrebbero sempre gustare. Impeccabile, mescola l’amaro e il burlesco, dosa i tempi della risata e del dramma, scandisce il greve e la leggerezza dei ruoli subalterni, pure vicendevolmente connessi, quali quelli del servo e del padrone.

Arlecchino stesso, protagonista e demiurgo della “gran buffonata” non è mai veramente “Arlecchino”; il suo nome solo una volta è nominato. Egli è piuttosto il “servitore del mio padrone” ed è attraverso questa formula che la commedia si ricama, dando luogo a un fraintendimento dietro un altro. Eppure il suo essere servo basterebbe già a descrivere una macchietta, una maschera sopra il volto.

Così come Pantalone, s’intende; e molti altri. Quello che Goldoni fa, invece, non è tanto armonizzare un gruppo di maschere tradizionali per asservirli alla sua opera, quanto il contrario. Li rende tanto vivi da far sì che siano loro stessi a detenere il destino dell’opera. Non è infatti il commediografo a plasmare i loro tratti caratteristici, quanto le loro stesse peculiarità di personaggi a plasmare la rappresentazione che vanno recitando.


LA TRAMA

La prima scena si apre con la promessa di matrimonio tra Clarice, figlia di Pantalone, anziano mercante veneziano, e Silvio, figlio del Dottore Lombardi. Il fidanzamento è accolto con allegria, in quanto i promessi sono effettivamente innamorati, e possono sposarsi dopo la notizia della morte di Federico Rasponi, agiato torinese a cui Clarice era destinata.

L’inspiegabile comparsa di Federico Rasponi, annunciata dal suo servitore Arlecchino, e rivendicante Clarice, porta però scompiglio e disappunto tra le due famiglie.

Ma questo è soltanto l’antefatto: la commedia ha inizio solo per colpa dell’ingordigia di Arlecchino che, attratto dalla possibilità di avere un doppio salario, si presta a due servitori contemporaneamente, tenendoli entrambi all’oscuro.

Gli espedienti della commedia ci sono tutti: dall’agnizione all’equivoco, dallo scambio di persona alla beffa, incasellati in uno spiccato dialetto veneto, che ha come unico risultato quello di accrescere la vis comica.


LA FARSA DI ARLECCHINO

Ne L’autore a chi legge, premessa che Goldoni fa alla sua opera, così scrive a proposito di Truffaldino (cioè Arlecchino):

sciocco cioè in quelle cose le quali impensatamente e senza studio egli opera, ma accortissimo allora quando l’interesse e la malizia l’addestrano, che è il vero carattere del villano

La peculiarità di Arlecchino non sta, insomma, in quella disarmante stoltezza che si tinge troppo spesso di bonaria ingenuità. La troviamo nella tentazione irrefrenabile per la menzogna, che racconta con la stessa naturalezza di una verità.

E anche in questo adattamento, dell’Arlecchino della Commedia dell’arte rimangono la buffonaggine, la simpatia, la stoltezza. Tuttavia, è una sfumatura malinconica a renderlo il Truffaldino della riforma goldoniana, consapevole dei soprusi del suo asservimento.

Ecco che la menzogna, con cui imbastisce la commedia e ne orchestra i suoi personaggi, appare l’inconsapevole modo che ha di raccontarsi una realtà nuova, diversa. Chissà che non fosse quello il motivo per cui, alla fine, spera di essere perdonato.


Elisa Agostinelli

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