Hanno presentato ai ragazzi dell’Istituto Sarrocchi il loro spettacolo, Ambra Angiolini e Ludovica Modugno. Un incontro per riflettere sul tema della pièce: il bullismo, il rapporto tra vittime e carnefici, l’incomunicabilità tra genitori e figli.
Si presenta con un abito nero sbracciato, i capelli sciolti e tanta voglia di avere un confronto con chi si trova a contatto con questa situazione ogni giorno.
«La vostra è un’età misteriosa: anche io non conosco i miei figli, forse al 20%» racconta Ambra. E invita i ragazzi al teatro dei Rozzi domani e dopodomani, per riflettere insieme sul tema.
Ambra ha insistito perché prendessero la parola i ragazzi. Quasi uno ad uno si sono avvicinati a lei, hanno preso il microfono e -si dimenticate le domandine preparate in classe – e si sono lasciati andare.
Tante storie, tante riflessioni, un unico ‘Nodo’, nome dello spettacolo e del libro dal quale è tratto. Il bullismo, piaga che si insinua a tutti i livelli della società, tra la vulnerabilità della vittima, nel silenzio di chi osserva e nell’ignoranza del bullo.
«Ho bisogno di conoscervi meglio per capire a chi è destinato lo spettacolo, racconta Ambra ai ragazzi». E aggiunge: «abbiate il coraggio di essere voi stessi, nel bene e nel male. É difficile avere il coraggio, ma i bulli sono proprio questo: emotivamente sfigati, hanno paura di provare rabbia».
E lei? «Ah, io provo sempre rabbia, ma la sfogo. Corro tanto, tantissimo. Forse corro più di quanto lavoro!».
A margine, siamo riusciti a farle qualche domanda.
Ambra è stata molto gentile: ci ha risposto, ha riflettuto, ci ha persino bacchettati quando abbiamo toccato una nota non dolente ma particolare. Leggere per credere.
Sì, non hanno bisogno che qualcuno spieghi loro la realtà che vivono tutti i giorni. Sono loro a dover avere la possibilità di parlare. Di raccontarsi. Ed ascoltarli è molto importante.
Anche il teatro è un buon mezzo per sfogarsi, per capire di poter essere giustamente fragili.
Questo però non c’entra con loro, apre tutto un altro capitolo. Non so se è ben contestualizzato: scusami ma non ti rispondo. Preferisco evitare.
Guarda, il MIUR ci deve dare delle risposte per capire se aderisce alla nostra volontà di entrare nelle scuole.
Ti dirò, la primissima cosa che ho chiesto è stata proprio quella: le matinée. Mi sembrano davvero fondamentali.
Assolutamente! Guarda, non ci avevo mai pensato prima di stamattina.
Sì, le loro analisi sono state davvero lucide e migliori di qualsiasi predica che avremmo potuto fare. E che, per fortuna, non abbiamo fatto.
Per tornare alla tua domanda: è vero perché ad un certo punto c’è una presa di coscienza di sé e delle proprie azioni. Ti prepari veramente alla maturità e riconosci il percorso che hai fatto, ti interessa l’umanità delle persone.
Poi sul posto di lavoro la ritrovi perché lì, ahimè, rientrano in gioco quei capricci di potere che hanno molto a che fare con l’adolescenza. Sono cose che non riusciamo ancora ad arginare e nemmeno a combattere.
Tornano a litigare maschi e femmine, ci sono volontà di schiacciare e di emergere da soli. Questo è un po’ quello che ti capita, se ci pensi, da piccolo, perché da grande non ti dovrebbe più succedere.
Il problema, secondo me, è che sul posto di lavoro non è richiesto essere se stessi. Così come spesso non è richiesto a scuola.
Quindi, anche se ti conosci benissimo, poi ti devi mettere la ‘tutina’ e andare a cercare di essere il più possibile uguale agli altri. Ti senti in dovere di essere schiacciato e, forse, di schiacciare anche tu per invertire la dinamica.
Facendo di più, cercando di ascoltare di più i diretti interessati, si potrebbero raggiungere dei compromessi. Questo cerchiamo di mostrare con lo spettacolo. Non abbiamo la pretesa di risolvere il problema ma quantomeno di fornire delle informazioni. Un punto di vista.
Ti dirò di più: non ho solo ansia, tornarei proprio a casa!
Ieri sera a cena l’ho detto: io cambio mestiere! Ma lo dirò anche tra poco, poi stasera, e pure domani, temo.
Mattia Barana.
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