Nella vetrina di una nota catena di oggettistica danese è apparso un poster pubblicitario che vuol vendere l’amore a 1€. Al di là del sorriso che provoca, è impossibile non ricondurre questa pubblicità al sintomo di un dato più grande: la svalutazione dell’amore. Il saggio di Jennifer Guerra – una scrittrice giovanissima, ma che dimostra di avere una grande cultura – tratta esattamente di questo, analizzando storicamente il problema e poi trovando in fonti autoriali una possibile soluzione.
“L’amor che move il sole e l’altre stelle” scriveva Dante: a distanza di secoli, non è più l’amore che muove il sole, ma il capitalismo. Ignorare il fatto che esso abbia un ruolo nelle nostre relazioni private sarebbe irresponsabile. Anche l’altro è diventato un bene di consumo, scegliere l’altro attraverso una app per incontri non è molto diverso dal fare shopping online. Il neoliberismo ha reso la nostra visione dell’amore estremamente cinica, da qui l’obbligo, come forma di resistenza, a prendere coscienza e modificare la visione del mondo relazionale, per liberare l’amore.
Non si tratta del libero amore nel senso convenzionale del termine, bensì della perdita della nostra vita privata, sempre più assottigliata dalla pretesa neoliberista di prosciugare le nostre energie producendo profitto. Chi è, citando Bauman, un “consumista difettoso” vivrà in modo nevrotico e deprimente la vita affettiva, per la sua incapacità (che non è innata, ma costruita dal neoliberismo) di relazionarsi. Ci hanno insegnato a sentirci imperfetti, brutti o sbagliati, per poter “comprare” dei rimedi e creare competizione malsana.
È un argomento affrontato da diversi intellettuali del Novecento e da studiosi contemporanei. Per esempio, Herbert Marcuse scrisse Eros e civiltà nel 1955. La Guerra però si rifà principalmente allo psicologo Eric Fromm ed al suo L’arte di amare del 1957. Entrambi i testi sono stati scritti più di sessanta anni fa, ma mantengono il loro carisma, non per nulla sono state delle letture obbligate per la rivoluzione sessuale degli anni ’60. Prima ancora di Marcuse e Fromm, una vera rivoluzionaria parlò di eros, o meglio di Eros alato, la russa Alexandra Kollontaj.
La vita stessa di Alexandra Kollontaj è la prova che l’amore ha un ruolo nelle rivoluzion. In questo caso parliamo della Rivoluzione russa, durante la quale venne reso legale il divorzio, illegale la potestà maritale. Bisognava adesso, però, diceva la Kollontaj, far nascere questo Eros alato che “porta a riconoscere i diritti e l’integrità della persona altrui”, per non vedere più quindi nell’altro una persona da consumare per solitudine o profitto.
Così recita un famoso slogan, che può suscitare sentimenti differenti, l’importante è prendere in considerazione il ruolo dell’emancipazione femminile in questo gioco politico. La Guerra ci propone la tesi della filosofa italiana Rosi Braidotti, la quale, partendo dall’Etica di Spinoza, teorizza l’etica affermativa come possibile chiave di volta per l’eros rivoluzionario.
“L’etica affermativa non può che basarsi sulla gioia, perché, come sostiene Spinoza, la tristezza è al servizio del potere e uscire dalla marginalità significa sottoporsi alle sue dinamiche. […] L’amore è uno strumento di gioia perché è amando che raggiungiamo il nostro massimo potenziale di esseri umani. Amare ci rende creativi, vigili, attenti, resistenti in un mondo dominato dalla tristezza. L’amore è grazia sotto pressione.”
Lavinia Consolato
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