Accademia Chigiana: l’organo metafisico di Cesare Mancini

La nave di Quattroequaranta questa settimana non è andata troppo lontano: ripartiti dal Giappone di Cio-Cio San, siamo sbarcati nel Duomo di Siena per assistere al concerto dell’organista Cesare Mancini nell’ambito della stagione musicale “Micat in Vertice” dell’Accademia Musicale Chigiana.

Concerto dal programma alquanto insolito e filologicamente ben definito: una serie di variazioni su l’inno nazionale inglese. A proposito, forse non tutti sanno che God save the Queen in realtà ha origini tedesche: la melodia, voluta da Giorgio II, fu scritta tra il 1736 e il 1740 e, visto che lui era pure principe elettore di Hannover, lo introdusse anche nella Confederazione Germanica; con l’unificazione tedesca del 1871 divenne l’inno nazionale con il titolo di Heil dir im Siegerkranz (“Salve a te nella corona della vittoria”). Ma quei ficcanaso degli americani decisero nel 1832 di adottare lo stesso inno, e lo mantennero fino al 1931 con il titolo di America.

Questo è il motivo delle tre grandi variazioni presenti nel programma. Si inizia infatti con le Variazioni su questo tema di Johann Christian Rinck (Elgersburg, Germania, 1770 – Darmstadt 1846), contemporaneo del più conosciuto Beethoven (per l’ascolto: Spotify) , per passare a Max Reger (Brand, Germania, 1873 – Lipsia, 1916) con Introduzione e Passacaglia in re minore (Spotify e YouTube) e le Variazioni e fuga su “Heil dir im Siegerkranz” (YouTube).
La Pastorale op. 19 di César Franck (Liegi, 1822 – Parigi 1890) ci inserisce nel clima natalizio, anche se nell’Ottocento avevano un concetto un po’ strano di “clima natalizio”, come poi vedremo (Spotify e YouTube). Chiudono il concerto le Variazioni su “America” di Charles Ives (Danbury, Connecticut, 1874 – New York, 1954) (Spotify e YouTube) e, sorprendentemente, con Giove, dalla suite The Planets di Gustav Holst (Cheltenham, Regno Unito, 1854 – Londra, 1934) (Spotify e YouTube).

Cesare Mancini

Cesare Mancini, l’autore di questo programma, nasce a Siena e si diploma in organo e composizione al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze. E’ maestro di cappella e organista della Cattedrale di Siena e fondatore del Coro Agostino Agazzari, il coro della Cattedrale. Si è esibito in Europa, Kazakistan e Thailandia; è ospite fisso del Festival Organistico Internazionale di Klagenfurt ed è anche assistente del direttore artistico dell’Accademia Musicale Chigiana. Ha insegnato Storia della musica nei Conservatori di Venezia, Matera e Piacenza e all’Università di Firenze. Nel 2008 gli è stata conferita la medaglia d’oro di civica riconoscenza del Premio il Mangia di Siena.

Venerdì scorso, di sera, faceva veramente tanto freddo. Intirizzita, mi sono infilata quasi di corsa nel Duomo, per scoprire che dentro non era poi così caldo come speravo. Mi guardo intorno. Di giorno è magnifico, ma di sera, al buio, fa una certa impressione. Le possenti colonne in marmo guidano lo sguardo verso l’altare maggiore, la sola cosa illuminata dai riflettori. Il riverbero dell’oro contribuisce a rischiarare le navate e colpisce in pieno l’organo, posizionato davanti all’altare, che stona un po’ con l’antica maestosità della struttura. Vi dirò la verità: non sapevo assolutamente cosa aspettarmi. I brani per organo sono sempre molto complessi e difficili da comprendere.

Il concerto inizia con le Variazioni di Rinck: dopo l’esposizione del tema abbiamo 12 variazioni e il finale. All’inizio pensavo che sarebbe stato noioso, ma mi sono dovuta ricredere: l’organo è uno strumento veramente affascinante, e sono molteplici le cose che può fare. Ma i suoni! Ci sono decine di timbri diversi, e finché si rimane su sonorità abbastanza delicate è tutto a posto. La quarta variazione introduce, lei sola, l’inquietudine che serpeggerà tra gli ascoltatori per tutto il concerto. Il finale è in pieno stile classico: più voci che si sovrappongono per formare un’unica tessitura sonora mentre il tema fa spesso capolino. L’abilità dell’organista sta, appunto, nel riuscire a delineare le varie voci in modo che siano distinte e legate allo stesso tempo.

Un momento del concerto

Introduzione e Passacaglia in re minore di Reger è stato il brano che ho preferito. La sonorità si sposta verso il regime più grave: le pesanti note sembrano risuonare direttamente nella nostra anima. Veniamo letteralmente scavati da esse. Chiudiamo gli occhi e veniamo guidati da Mancini indietro di cinquecento anni: la cattedrale è debolmente illuminata dalla flebile luce di migliaia di candele tremolanti, che gettano ombre sinistre sui muri. Seduti su una panca, al buio, sentiamo una musica oscura provenire da non si sa dove: alle nostre spalle, o forse davanti a noi, chi lo sa. L’odore dell’incenso si spande leggero nella fredda aria della cattedrale vuota. Le statue di marmo sembrano prendere vita e danzare una danza infernale.

Brr, che freddo! E che inquietudine! Ma torniamo a noi… Le Variazioni fanno contrasto con il brano precedente: sono molto simili nella forma a quelle di Rinck, anche se sono più profonde a livello di sonorità. In questo brano la polifonia la fa da padrona, e questo tratto è evidentissimo anche all’orecchio meno allenato. Anche qui, Mancini è riuscito perfettamente a mantenere la polifonia. Persino con i piedi! (Gli organi hanno, nella base, una tastiera composta da dei pedali, che può essere suonata con i piedi, ndr).

La Pastorale di Franck mi ha lasciata perplessa. Cercavo un’inflessione natalizia e invece sono riuscita a trovare solo una grande attesa. Effettivamente il Natale è in sé il compimento di un’attesa, ma non pensavo che nell’Ottocento avessero un’idea così cupa del Natale. Sembra come se il “fantasma del Natale passato” stia per venirci a trovare da un momento all’altro, e noi non solo non abbiamo nemmeno un caffè da offrirgli, ma non siamo nemmeno consapevoli del suo arrivo. E ne siamo terrorizzati. Giusto il tema è appena appena più sereno: sembra quasi una ninnananna, ma molto più cupa di come la intendiamo noi.

America di Ives è pomposo, sfacciato, quasi carnevalesco. Certe volte pare la musica di un carillon; in ogni caso, queste variazioni sono molto più interessanti delle precedenti. La variazione finale somiglia alla musichetta di un vecchio circo.

Per finire ci siamo spostati sempre di cinquecento anni, ma in avanti. Giove di Holst ci ha infatti trasportati su una navicella spaziale in viaggio verso Giove. Si crea immediatamente un’atmosfera siderale: le stelle sulla volta della cupola sembrano brillare di luce propria. Qui il pianeta è visto come il portatore della gioia, e infatti la melodia è giocosa e serena, come la risata di un bambino. Talvolta pare di fare un bel girotondo intorno alle stelle.

Cercando di non andare a sbattere contro qualche asteroide, Quattroequaranta vi augura un sereno Natale e un felice Anno Nuovo. Ci ritroveremo dopo le feste, e continueremo il nostro viaggio.

Federica Pisacane

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