Il borghese gentiluomo e il suo pubblico: Moliére ai Rinnovati.


– Il borghese gentiluomo –

Al teatro dei Rinnovati la piece di Moliére

La produzione (interprete d’eccezione: Emilio Solfrizzi) non ha convinto del tutto …


Quando il pubblico diventa spettacolo.

Il bello del palchetto 22 al secondo ordine del Teatro dei Rinnovati è che, pur escludendo dalla visuale una piccola porzione della scena, consente di avere un punto di vista privilegiato sul pubblico. Non troppo in basso ma neanche eccessivamente in alto, schiacciato sul lato destro del loggione, il 22 non è esposto come i palchetti centrali. È in penombra: proprio questo, tuttavia, consente una presa di distanza che permette, a chi siede sulle sue morbide poltrone di velluto rosso, di studiare con attenzione i moti della platea. In questa penombra, assistiamo al progressivo riempirsi della sala, al popolarsi dei balconcini del loggiato. Vediamo sfilare gli abiti raffinati della borghesia senese (se, nel 2017, è ancora concesso parlare di borghesia), i suoi reciproci ossequi, i modi cortesi. Osserviamo le posture, meno eleganti ma comunque sicure di sé, del pubblico universitario. Poi si abbassano le luci e una voce calda invita a spegnere telefoni e tablet. I saluti manierosi dei borghesi si fanno più rapidi e silenziosi. Si sentono i primi, e per fortuna ultimi, shhhh provenire dalle bocche dei più solleciti spettatori. Il sipario verde si apre.

Jourdain: un borghese all’arrembaggio.

Una scenografia tradizionale, una comune casa borghese. Attorno essa, un serva, un servo, un maestro di danza, uno di musica si muovono. Poi ancora ballerini, musici, un maestro di scherma, uno di filosofia. Un sarto effeminato e i suoi assistenti in basco parigino. Una moglie assennata e iraconda, una figlia innamorata, il suo innamorato, il servo del suo innamorato. Un conte squattrinato, una marchesa bella ma un po’ cafona. Tutto questo attorno alla scenografia tradizionale, attorno al signor Jourdain. Borghese di mezza età, il povero Jourdain si strugge per la sua condizione di ammogliato milionario, sì, ma non nobile. Per sentirsi meno misero, allora, mima i modi dei grandi. Come un bambino che si mette il Fedora del padre e sprofonda nei suoi giganti mocassini per giocare “agli adulti”, egli tenta goffamente d’entrare nel mondo dei nobili seguendone le direttive in fatto di moda, abitudini e frequentazioni. L’esito è proprio quello di un bambino che veste gli abiti del padre: una pantomima di cui si ride, e fa anche un po’ tenerezza. Peccato che il signor Jourdain non abbia otto anni, ma almeno quaranta. Peccato che queste sue velleità rischino di minare al sogno coniugale – anch’esso perfettamente borghese, ammettiamolo, ma almeno senza pretese – della figlia. Sarà allora necessario ingannare questo bambino di un metro e ottanta per ristabilire l’ordine. Faremo una mascherata: tutti giocheremo “agli adulti nobili” e faremo credere a Jourdain d’essere veramente nobile e adulto, così il matrimonio della figlia potrà aver luogo.

Il borghese gentiluomo.

Una regia fin troppo ricca: il troppo stroppia?

Tutto questo in una resa giocosa, briosa, accelerata – forse anche troppo. La messa in scena del regista Armando Pugliese non si è risparmiata in fatto di costumi, luci, musiche, balletti etc. Un po’ di economia, forse, ci voleva. L’ornato non è mai cattiva cosa. Diviene un problema quando è sovrabbondante e va a gravare sopra scelte attoriali, già da sé non esattamente leggere. Forse “leggere” non è l’aggettivo adatto. La messa in scena puntava infatti tutto sulla battuta simpatica, sul calembour, sulla pantomima, sul cliche e sulla caricatura macchiettistica. Divertente per un po’, certo, ma alla lunga gratuito. Tutto rapidissimo, simpaticissimo, movimentatissimo, “issimo”.

Per il pubblico questo accatastamento di superlativi è stato eccellente. Tante erano le risate da temere che la signora borghese in terza fila, con molte sue colleghe, rischiasse il soffocamento. E poi applausi, fiumi di applausi. All’inizio della scena, in mezzo alla scena, alla fine della scena, agli ingressi e alle uscite dei personaggi. Applausi ovunque fino alla trionfale ovazione finale, con un pubblico stravolto, follemente innamorato. E non c’è cosa peggiore, diciamocelo, che applaudire a casaccio, interrompendo lo spettacolo di continuo. Una volta sì, può capitare; ma non di più. Che il pubblico (borghese) non abbia capito che Moliére, con Jourdain, intendeva ridere proprio di questo?

Iwan Paolini.

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