Si sa, prima o poi a tutti capita di imbattersi nella produzione artistica di De Andrè. Che, come ad ogni mito spetta, non necessita di presentazioni. Se non foste per voi ancora arrivato questo momento (no, non valgono le canzoni improvvisate alla chitarra nei bei tempi di socializzazione distratta, e per questo scontata), ecco a voi una personalissima rassegna. Rappresenta solo un assaggio, naturalmente: e non solo perché sono solo cinque dei ben quattordici album che ha curato.
Buon ascolto!
Primo album in assoluto di De André, ne racchiude tutta la sua produzione cantautoriale fino all’anno di registrazione dello stesso. Gli “ultimi”, che De Andrè non ha mai smesso di raccontare, sono qui traslati in inneschi fiabeschi. Peculiare la struttura della canzone, ereditiera diretta, come esplicano anche i titoli, alla “chanson” francese e alle ballate medievali. Il tema cardine è l’amore irruente, effimero e deleterio, affiancato a quello dilaniante dell’inconsistenza della guerra.
Originalissima narrazione della “buona novella”, che De Andrè attua prendendo come fonti i vangeli apocrifi. Nell’album s’indugia con particolare dolcezza nella figura di Maria, che viene affidata a Giuseppe più come una figlia che come una sposa. Degna di nota la reinterpretazione contestatrice dei dieci comandamenti ne “Il testamento di Tito”.
Costituito da 9 tracce, tratte dalla traduzione in prosa e musica dello stesso De André delle poesie dell’ “Antologia di Spoon River” del poeta statunitense Edgar Lee Master. Ciò che contraddistingue i protagonisti di questa personalissima raccolta- un matto, un giudice, un blasfemo, un malato di cuore, un medico, un chimico, un ottico e infine, il suonatore Jones- è la fragilità come loro limite umano, che li rende colpevoli della loro stessa caduta. Tutti inseguono un’ossessione, che per quanto lirica, li condanna inesorabilmente all’incomprensione. È il suonatore Jones l’unico a farsi portatore di una dichiarazione di poetica, o proprio di vita:
“Lui che offrì la faccia al vento/ la gola al vino e mai un pensiero/ non al denaro, non all’amore né al cielo.”
L’album più controverso, che cela un’esplicita posizione politica. Narrato come si narra un romanzo, il protagonista è un impiegato, simbolo del mito borghese, che decide d’un tratto di elevarsi al di sopra della sua mediocrità, infervorato dai canti studenteschi rivoluzionari del ‘68. Ordisce dunque un attentato, che fallisce goffamente. In carcere, rielabora l’ardore di cui è stato vittima, cogliendo del ‘68 la lotta collettiva piuttosto che l’esaltazione del mito individuale.
Crêuza de mä definisce una sorta di “viottolo di mare”, tipico della regione ligure, che collega appunto l’entroterra con la costa. L’album, interamente composto e cantato nel gergo arcano del dialetto ligure, è considerato uno dei capolavori di De Andrè e dell’intera musica italiana. Ogni traccia trascina con sé un mondo, indistricabile da quello del mare, contribuendo ad un affresco vivissimo della realtà genovese, con i suoi protagonisti, i suoi miti e le sue leggende. L’autore delle musiche è Mauro Pagani.
Elisa Agostinelli
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