#uReading – Ama il tuo nemico (John Carlin)

I recenti fatti di Parigi hanno riportato l’attenzione sul tema tanto dibattuto dell’integrazione e della convivenza pacifica tra religioni o culture diverse; da più parti è stato evidenziato come molto spesso alla base della conflittualità e della violenza c’è un problema di comunicazione o meglio di atteggiamento verso l’altro.

A tal proposito, questa settimana uReading vuole ricordare la figura di Nelson Mandela, meritato Premio Nobel per la pace nel 1993, e il modo in cui è riuscito a gettare un seme di speranza per il superamento dell’odio razziale tra bianchi e neri in Sudafrica.

É stato Morgan Freeman a dargli il volto nel film Invictus, capolavoro del regista americano Clint Eastwood, e a raccontarci attraverso immagini magistralmente dirette i motivi per i quali il Presidente sudafricano abbia meritato l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace nel 1993.
Mandela capisce prima di altri che per conquistare la fiducia del suo popolo avrebbe dovuto iniziare la sua opera con piccoli e semplici passi; egli considera lo sport come un importante strumento di aggregazione, dato da un forte impatto emotivo sugli spettatori, e in un certo senso parte da questa percezione per cercare di estirpare alla radice il concetto di odio razziale.
La storia è quella degli Springboks, la squadra di rugby riuscita a trasformare le sorti politiche, sociali ed economiche di un intero Paese, il Sud Africa. Il film è ispirato al libro Ama il tuo nemico di John Carlin, uscito in Italia nel 2008, che racconta i tratti salienti dell’ascesa al potere di Nelson Mandela, concentrandosi in particolare sul suo più importante obiettivo: la lotta contro il razzismo e la discriminazione, per una duratura riconciliazione tra bianchi e neri.
Se Ama il tuo nemico si propone quasi come un “libro di storia”, perché descrive con dovizia di particolari la delicata situazione politica attraversata dal Sud Africa nel periodo che va dal 1985 al 1995, spiegando altresì i motivi dall’incarcerazione di Mandela (avvenuta nel 1962) e ripercorrendo tutta la sua prigionia, Eastwood sceglie di raccontarci essenzialmente il momento in cui “fatto il Sudafrica, bisogna fare i Sudafricani”.

Al momento della sua elezione, Mandela ha davanti a sé un incarico irto di difficoltà; un Presidente nero si ritrova a governare un Paese fino a quel momento guidato dall’apartheid, la politica di segregazione razziale istituita dal governo di etnia bianca nel 1948.
Carlin definisce questo fenomeno come “un sistema basato su tre leggi perverse: la Legge sulle strutture separate, quella sulle aree di gruppo e quella sulla registrazione della popolazione”. Per dare un’idea del fenomeno, basti pensare che ai neri è proibito accedere alle spiagge e ai parchi migliori e che alle bambinaie nere non è concesso di viaggiare nello stesso scompartimento dei bambini bianchi figli delle signore per cui lavorano.
La popolazione è, inoltre, ripartita in quattro categorie razziali, che godono di diritti in ordine discendente: bianchi, coloured, indiani e neri. Solo dopo essere stati classificati, tutte le altre leggi dell’apartheid possono essere applicate. Curiosamente, in casi particolari, si può anche cambiare razza, con un procedimento a dir poco raccapricciante, così descritto dall’autore del libro:

[…] bisognava presentare domanda a un ente statale con sede a Pretoria chiamato Consiglio per la classificazione delle razze, specificando a quale razza si apparteneva e verso quale si desiderava <<metamorfosare>>. Alla domanda seguivano diversi colloqui e i casi più dubbi venivano messi di fronte ai membri del Consiglio in persona, ovviamente tutti bianchi. Veniva loro chiesto di camminare avanti e indietro, così che la giuria potesse osservare attentamente la postura e la forma delle natiche. Se la questione rimaneva irrisolta, il Consiglio ricorreva alla prova della matita, il metodo più scientifico a sua disposizione per scacciare qualsiasi dubbio: una matita veniva infilata tra i capelli del candidato, e più la chioma faceva presa, più scura era la classificazione”.

Come se non bastasse, la Legge sulle aree di gruppo prevede che bianchi e neri non possano abitare nella stessa area, cosa che rende necessaria una separazione fisica tra città bianche e township nere.

Ed è proprio mostrandoci questa suddivisione che Eastwood dà l’incipit al suo film, accostando concettualmente la contrapposizione geografica alla contrapposizione sportiva tra bianchi e neri. È l’ 11 febbraio 1990, giorno della scarcerazione di Nelson Mandela: un gruppo di ragazzi bianchi sta giocando a rugby in un bel campo curato. Pochi metri più in là, un gruppo di ragazzi neri gioca, invece, a calcio, nella strada polverosa di una township.
Si tratta di una scena significativa, perché in Sud Africa il rugby è considerato lo sport dei bianchi. Gli Springboks, la squadra nazionale sudafricana appunto, sono portatori dei simboli dell’apartheid: la divisa e la bandiera (verde e oro) ricordano il periodo della segregazione razziale, quando i bianchi arrivano a colonizzare il Sud Africa, impossessandosi delle terre della popolazione autoctona; l’inno Die Spem, il cui tema principale è la dedizione alla Madrepatria e a Dio, è disprezzato dai neri perché contenente una strofa apertamente dedicata al popolo afrikaner, cioè ai discendenti degli olandesi, detentori del potere politico, militare e soprattutto economico.
È un’abitudine consolidata per i Sudafricani neri tifare contro gli Springboks, espressione della “razza dei padroni”. Ma quando Nelson Mandela diventa Presidente della nuova Repubblica vuole a tutti i costi che le cose cambino, perché la conflittualità in campo sportivo è solo la punta dell’iceberg che nasconde un odio secolare tra i due popoli.
Per questo egli sceglie di sfruttare politicamente la squadra di rugby amata dagli afrikaner e istituisce per l’anno 1995 la Coppa del mondo di Rugby. Attorno all’evento costruisce una vera e propria campagna politica per la riconciliazione, con il fine di suscitare in tutti i Sudafricani, neri e bianchi, l’orgoglio di essere rappresentati nel mondo da un team vincente.
Prima di tutto organizza delle sedute di formazione rugbistica nelle township, tenute dagli Springboks in persona; molti giocatori si stupiscono delle condizioni di vita degli abitanti di quelle zone. D’altronde la maggior parte di essi appartengono a famiglie borghesi, le quali più che razziste sono indifferenti all’estrema povertà delle township e conducono una vita tranquilla nella loro beata ignoranza, senza porsi troppe domande.
Inoltre, per fare breccia nei cuori di tutti i suoi compatrioti, Mandela si appella alla simbologia: istituisce la nuova bandiera del Sudafrica, un patchwork nero, verde, oro, rosso, blu e bianco, i colori della resistenza nera combinati con quelli della vecchia bandiera sudafricana; affianca a Die Spem un secondo inno nazionale identificato in Nkosi Sikelel’ iAfrika, l’inno ufficiale del movimento di liberazione, che per i neri è un appello al coraggio, alla nobiltà d’animo, al dolore e all’eroismo; indossa berrettino e maglietta degli Springboks durante la finale di Coppa del mondo di rugby contro gli All Blacks, la nazionale neozelandese.
Già prima del fischio di inizio della partita più importante, è evidente che Mandela è riuscito nel suo intento: tutti i Sudafricani, bianchi e neri, sono incollati ai teleschermi per tifare gli Springboks. Lo stadio intero di Johannesburg intona entrambi gli inni nazionali e l’ingresso in campo del Presidente per salutare i giocatori è accolto con un coro unanime di “Nel-son! Nel-son! Nelson!”. Chiunque abbia vissuto sulla propria pelle quelle ore o ne abbia visto le scene in televisione avrebbe capito che in quel momento Mandela è diventato Presidente di tutti i Sudafricani: la Nazione è finalmente unita, indipendentemente dal risultato della partita.

John Carlin (Londra, 12 maggio 1956) è un giornalista inglese; ha collaborato con importanti testate come The New York Times, The Independent, Spin, Wired e The Observer.
Dal 1989 al 1995 è stato corrispondente in Sud Africa per il The Independent e dopo qualche tempo scrive il romanzo Ama il tuo nemico (Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game that Made a Nation, da cui è stato tratto il film di Clint Eastwood Invictus – L’invincibile.

Maddalena Sofia

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