uRadio intervista: Linguaggio per tutti i generi. Il progetto unisi per l’inclusività linguistica

Linguaggio per tutti i generi

Linguaggio per tutti i generi

Ha senso la declinazione al femminale delle professioni? E l’uso dell’asterisco per sensibilizzare sulle identità non binarie? Perchè l’uso del maschile plurale onnicomprensivo deve essere abolito?

A queste e molte altre domande hanno risposto Elisa, Ilenia e la Prof. Alessandra Romano, che partecipano ad un tavolo di lavoro organizzato dall’Università di Siena per la sensibilizzazione sui temi di linguaggio di genere.

Qui sotto potete trovare l’intervista completa.

Linguaggio per tutti i generi

Il progetto è nato dalla collaborazione di più persone sia dal mondo degli student* che quello accademico, volete presentarvi e raccontare la genesi di questo gruppo?

E.B.: Alessandra Viviani ha chiesto a me e Ilenia di partecipare al tavolo di lavoro, e pur non conoscendoci penso che abbiamo condiviso lo stesso entusiasmo per questo invito dato che il tema è centrale per il mondo in cui viviamo.

In realtà scavando un po’ più nel profondo questo tavolo viene ad esistere perchè all’interno del Piano di Azioni Positive del triennio 19-21 bisognava cercare di attuare una direttiva del MIUR che chiedeva che il linguaggio amministrativo prendesse un orientamento verso il rispetto dei generi, ecco quindi che anche il CUG di Siena decide di far proprio questo obiettivo e cercare di renderlo effettivo.
Entro fine maggio saranno pubblicate e messe ad uso di tutta la comunità studentesca e anche del personale tecnico-amministrativo bibliotecario le linee guida per chiunque voglia cercare di utilizzare il linguaggio rispettando i generi.

Perchè parliamo di generi e non parliamo di maschile e femminile? Per il semplice fatto che se inizialmente doveva essere una rivendicazione per far sì che il femminile avesse più luce, col tempo le istanze sono diventate diverse. Le voci a cui dare un proprio posto sono molte di più. Abbiamo visto che non possiamo più riconoscerci semplicemente nel maschile o nel femminile, il binario non è per tutti e come è giusto che sia anche il linguaggio deve adeguarsi a queste sfumature che l’identità di genere rappresenta.

A.R.: Io rappresento la parte delle docenti. Noi avevamo avuto un incontro dedicato ai temi delle rappresentanze di genere all’interno delle amministrazioni e all’interno del personale tecnico e docente dell’università a febbraio del 2020.

Fu un’iniziativa che riunì un ampio numero di partecipanti nella quale diverse docenti portavano punti di vista sulle questioni legate al genere a partire dalla loro appartenenza. La Prof. Alessandra Viviani, la coordinatrice di questo tavolo, ha portato temi legati ai diritti e agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 20-30. Io, che vengo dall’ambito della pedagogia e della didattica, portai una riflessione sulle immagini legate al genere e alle stereotipie che ci sono nel linguaggio mediale, così come una riflessione sul linguaggio di genere all’interno delle pubbliche amministrazioni e dei documenti delle pubbliche amministrazioni.

Avevo già in mente il piano di azioni positive e sapevo che c’era questa come traiettoria di sviluppo per il 2021, quindi la composizione di un tavolo misto da un punto di vista dalle competenze nasce proprio da questo incontro. Per noi docenti è stata veramente un’occasione di grande apprendimento e una cosa ci teniamo a sottolineare, ovvero che è stato un momento di ricerca. Tutto il percorso che c’è dietro, che comprende la creazione della pagina Instagram, il Piano della Comunicazione e la possibilità di organizzare degli incontri dedicati su questo tema è stata un vera e propria azione di ricerca che abbiamo potuto fare solo perchè siamo un tavolo misto.

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Per i progetti, oltre al documento che comprende le linee guide, cosa avete in mente?

I.C.: Abbiamo aperto una pagina Instagram e una pagina Facebook, e ci tengo a sottolineare che la creazione sia delle linee guide che delle pagina Instagram e Facebook è avvenuto in corso d’opera. Dal confronto è nata la necessità di operare in una maniera più vicina alla realtà che viviamo noi studentesse e studenti tutti i giorni e che quindi è più immediatamente raggiungibile rispetto ad un documento, che magari si indirizza più alla componente tecnico-amministrativa e al corpo docente.

Oltre a questo, noi volevamo anche avere un incontro diretto con i destinatar* di questo progetto e organizzare dei workshop sia con la componente studentesca che con quella tecnico-amministrativa e del corpo docente in modo da dare anche delle linee guida pratiche, sperando di consapevolizzare su quanto il linguaggio sia importante.

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Perché il linguaggio? Perché proprio attraverso di esso possiamo veicolare messaggi di uguaglianza?

E.B.: Perchè in generale crediamo il linguaggio sia lo strumento con cui interpreti e comprendi ciò che ti circonda. Soprattutto è quello che ti permette di creare delle aspettative tue di quello che potresti essere in questo mondo. Perchè se il linguaggio fa sì che io possa comunicare, è in realtà anche lo strumento con cui costruisco la mia relazione all’interno di questo mondo con gli altri.

Se il linguaggio assume certe connotazioni va anche ad avere delle implicazioni dirette con le mie aspettative, i miei impegni futuri, su come effettivamente mi vedrò. Con anni di studi si dimostra che avere referenze nel mondo esterno appartenenti a certi ruoli di genere porta a crearsi degli immaginari che diventano esclusivi.

Quindi l’importanza del linguaggio è centrale, è assolutamente un primo strumento da utilizzare per far sì che l’inclusività possa avere un via non solamente formale ma un via sostanziale.

A.R.: Riprendo su questo per aggiungere che una giornalista, Francesca Mannocchi, ci dice che ogni linguaggio è una teoria. Cioè attraverso le parole che utilizziamo e le espressioni che reifichiamo stiamo di fatto reificando delle rappresentazioni e dei pensieri.

Per cui quando utilizziamo in maniera impropria il maschile plurale come sinonimo di una collettività di chi stiamo parlando, a chi stiamo parlando, chi stiamo scegliendo di rappresentare, chi stiamo tagliando fuori? In questo modo, qual è il significato che reifichiamo attraverso il nostro parlare?
Reifichiamo il messaggio che c’è un sesso preminente sull’altro e che quel sesso è rappresentativo del tutto. Il tutto si complicherebbe ancora se volessimo andare a ragionare su un discorso non binario.

I.C.: Il linguaggio è importante perchè può essere riassunto come l’atto di identità più forte che abbiamo a disposizione. Se noi stessi non ci riconosciamo in quello che è il linguaggio è come se non riconoscessimo la nostra identità nella realtà. Nel momento in cui nominiamo persone, cose, gesti e intenzioni con nomi che non li rappresentano è come se nominassimo la realtà in maniera erronea, è come se concepissimo la realtà in una maniera che non è quella vera.

E’ come se escludessimo parte della realtà per delle abitudini che ci portiamo dietro, ma che in realtà non rappresentano la nostra vera personalità. E’ come se annullassimo la nostra identità. Nel momento in cui non abbiamo la possibilità di rappresentarci attraverso le parole che utilizziamo è come se non esistessimo soprattutto per chi ci ascolta, e diventa ancora più difficile farsi ascoltare.

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I nuovi media digitali posso risultare un terreno fertile per la diffusione di un linguaggio più inclusivo, o viceversa possono risultare uno scoglio e un luogo di impoverimento linguistico?

I.C.: Secondo me i media non stanno dimostrando una grande inclusività linguistica, capita molto spesso di leggere titoli di giornale che non rappresetano affatto un linguaggio inclusivo e non garantiscono la rappresentatività della realtà etereogenea in cui viviamo. Anche molti programmi televisivi non utilizzano un linguaggio inclusivo e veicolano stereotipi e abitudini che ci portiamo dietro e che spesso vengono minimizzati con l’uso della satira ma che in realtà non è affatto satira.

I media possono rappresentare uno strumento fondamentale per supportare lo sviluppo di un linguaggio che sia inclusivo ma credo che ancora nei media italiani ci sia una forte resistenza a questo scopo, come se non venisse considerato importante. Secondo me dovrebbe essere fatta un’opera di sensibilizzazione su come utilizzare il linguaggio.

E.B.: Io mi sono resa conto che con un utilizzo che potevo farne inizialmente, Instagram era assolutamente un luogo con tanto confronto, solo confronto. Un continuo vedere certi stili di vita, persone che mostrano la parte migliore di sé. Col tempo mi sono resa conto che Instagram è in realtà un grandissimo luogo di scambio anche per tutte quelle persone che cercano di portare avanti filosofie diverse, teorie diverse. Credo che sia un luogo eccezionale per scambiare i nostri pensieri, contaminarci di idee diverse. Basta che diamo sempre più risalto a questi profili, piuttosto che altri. Se inizieremo un po’ alla volta a riempire questi luoghi con pensieri, idee e considerazioni che vanno a stimolare vedremo che il mezzo utilizzato non andrà a mortificare il tema che andremo a considerare.

Credo che ci sia una esigenza di far vedere che i social non sono il male di vivere, ma sono un luogo che se ripopolato in una maniera coraggiosa possa essere fonte di stimolo, di grandissimo contatto e anche di rivoluzione.

A.R.: A questo aggiungerei il potere di tutto quello che parte dal basso. Un cambiamento di questo tipo un conto è se viene imposto dall’altro, un conto è se trova una sua pratica d’uso a partire da un linguaggio vicino alla platea di studentesse e studenti. Anche per questo vale la pena saper governare l’aspetto comunicativo attraverso i social e non aver nessuna forma di polarizzazione. E’ qualcosa che parte dal basso e partendo dal basso ha più potere di diffusione.

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Quanta strada è stata fatta ad oggi per arrivare a un linguaggio veramente inclusivo?

E.B.: In realtà si parla di linguaggio di genere già dagli anni ’80. Quando se ne discute sembra sia una cosa di adesso, in realtà è vermanete una tematica che si affrontava già ai tempi. Nasce indubbiamente dalle rivolte degli anni ’70, da lì comincia a nascere questa esigenza di dire che il linguaggio ha veramente questa importanza così centrale che deve anch’esso entrare all’interno di questa trasformazione.

Una tra le voce più importanti al tempo fu Alma Sabatini, che fu chiamata a lavorare in una commisione per le pari oppurtunità tra uomo e donna nell’84 e nell’87 fu pubblicato un primo volume sul sessimo nella lingua italiana. Da lì partono le riflessioni, quindi possiamo dire che è un tema che ha radici profonde ma che tutt’oggi ha bisogno di continue rivendicazioni. Perchè alla fine la lingua è strettamente legata alla cultura che viviamo e che continuiamo a portare avanti, quindi puntare al cambiamento lingusitico non è che lo si può fare con un volume dall’oggi al domani. C’è sempre quell’aspetto iniziale di riconoscimento formale, però poi serve necessariamente un impegno sostanziale, una convinzione che deve essere sempre più comune, sempre più condivisa.

Se nel 2018 sono uscite altre direttive che hanno riparlato del linguaggio di genere all’interno dell’uso amministrativo vuol dire che siamo ancora in una soglia del formale, quindi c’è necessità veramente che tutto questo linguaggio sia alla portata di tutt* per far sì che sia un cambiamento che abbia una sua incidenza vera e propria.

I.C.: Per molto tempo si è rimasti in una fase di stallo in cui l’argomento linguaggio inclusivo era adottatto sotto un aspetto formale ma sotto un aspetto più sostenziale era un contatto molto più distaccato. Ora questo stallo si sta piano piano decostruendo per portare avanti un progetto che è più operativo, più pratico e meno formale.

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Prendiamo ad esempio l’utilizzo degli asterischi o degli schwa per l’inclusività delle identità non binarie, queste soluzioni linguistiche sono ancora utilizzate di rado e quasi del tutto assenti dai documenti ufficiali, da cosa deriva questa diffidenza?

A.R.: Quando abbiamo iniziato a ragionare sul documento delle linee guide la questione della pratica linguistica dell’uso dell’asteristico e dello schwa è emersa. Ci siamo chieste se non fosse il caso di inserire su un piano formale l’utilizzo della pratica e ci siamo rivolte ai linguisti dell’Accademia della Crusca che hanno affrontato e stanno affrontando le pratiche d’uso in evoluzione in riferimento al linguaggio, e ci hanno spiegato che non esistono degli studi consolidati nell’ambito della linguistica italiana perchè di fatto sono due soluzioni emerse all’interno delle comunità LGBT+ e delle comunità che si occupano di inclusione. Sono quindi delle pratiche d’uso linguistico e non delle indicazioni formali su cui esiste una letteratura in merito e che pertanto hanno degli studi di linguistica consolidati alle spalle.

Le indicazioni che sono date tanto dalla Sabatini che dal documento del 2018 hanno degli studi di linguistica italiana alle spalle e sono quindi avallate da degli studi competenti da un punto di vista scientifico. La pratica d’uso che si sta diffondendo anche nei social dell’asteristico e dello schwa manca ancora di una letteratura sufficiente per poter consentire una adozione all’interno dei documenti formali. Quello su cui invece c’è una letteratura ampia è sull’utilizzo delle strategie di visibilità e di inclusività nei documenti formali che l’Accademia della Crusca e il Ministero ci danno.

Quindi questo è il motivo per il quale non c’è una diffidenza. Un conto è una pratica d’uso linguistico che forse troverà una sua letteratura tra trent’anni, un conto è ciò che la letteratura ha già formalizzato. Forse il primo passaggio che mi verrebbe da dire è: proviamo a legittimare e a tradurre in pratica le linee guida che già abbiamo e su cui c’è già una letteratura importante. Poi sicuramente andremo sul considerare le evoluzioni di una lingua viva come quella italiana. Però partiamo dal legittimare e diffondere i riferimenti che già abbiamo.

I.C.: Mi viene in mente che il Comune di Castelfranco Emilia ha deciso di adottare i documenti amministrativi utilizzando la schwa. Secondo me è un segno forte, che parte da un piccolo comune ma che dimostra una necessità di apertura verso la formalizzazione dell’uso degli asteristichi e della schwa nei documenti ufficiali. Dipende molto dalla decisione che prenderemo nei prossimi anni, ovvero se voremmo legittimare l’uso di queste pratiche linguistiche oppure se voremmo mantenerle come pratiche non formalizzate. Il cambiamento parte da noi.

A.R.: Un ultimo esempio. Immaginate quante mail scambiamo ogni giorno, immaginate quando ancora per rapidità uno dica che è più semplice scrivere solo al maschile. Se solo già iniziassimo ad usare il trattino con il femminile, e poi in un futuro l’asteristico e poi in un futuro ancora lo schwa sarebbe già importantissimo. Sento ancora troppe troppe volte utilizzare sempre e solo il maschile come rappresentativo del tutto e dell’unicità.

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Quali sono i vostri obiettivi per il futuro e come sperate che questi obiettivi influiscano sulla comunità studentesca?

E.B.: Il prossimo appuntato sarà il 25 maggio alle 12 per la presentazione delle linee guida. Per quanto riguarda la pagina vorremmo invece che diventasse un progetto stabile, quindi l’obiettivo più a breve termine è quello di farla conoscere e poi nel lungo periodo sperare che possa diventare una pagina fissa di Unisi che gli studenti e le studentesse che verrano potranno prendere in mano. Il ricambio generazionale sarà importantissimo per far sì che tutto rimanga sempre contemporaneo a come la società avanza.

I.C.: Mi aspetto da questo progetto di crescere personalmente e di trasmettere questa crescita anche a chi vorrà ascoltarci sia sulle pagine social sia leggendo il documento che emaneremo il 25 maggio. Vorremmo che il progetto non rimanesse chiuso all’interno dell’Università di Siena ma che creasse una maggiore consapevolezza con il maggior numero di persone possibili. Per far questo c’è bisogno dell’impegno di ognuno di noi, da cui può nascere il cambiamento che potremo vivere negli anni successivi.

A.R.: Vorrei aggiungere che per noi è stata una grossa opportunità di costruire un gruppo di lavoro che continuerà a lavorare per tutto il 2021. Noi apparteniamo ad una organizzazione che fa della sostenibilità e degli obiettivi di sviluppo sostenibile la sua missione, questa è un’azione concreta che cerca di costruire una comunità più inclusiva e più attenta all’equità di genere.

Questo è un atto concreto di appartenenza comunitaria e partecipazione alla propria comunità di riferimento.


Grazie di cuore a Elisa, Ilenia e all Prof. Romano per questa intervista e per l’impegno e la passione che stanno dimostrando in questo progetto.

Seguite le loro pagine Facebook e Instagram per conoscere tutte le iniziative proposte.


Alice Fusai

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