Un Leone in Riva d'Arno

1 Febbraio 1969, Reconquista, Argentina. Nasce Gabriel Omar Batistuta.

Nella patria del calcio, una volta accertato il sesso, la prima cosa che i padri sono soliti fare è prendere un pallone e regalarlo al figlio, con la speranza che ne faccia buon uso. C’è chi delude le aspettative e chi invece è destinato soddisfarle. Gabriel Omar appartiene alla seconda categoria.

A 21 anni arriva il grande salto. Il presidente della Fiorentina lo acquista dal Boca Juniors. Inizia qui una delle sempre più rare storie di calcio in cui il pallone fa da sfondo alla passione fra un uomo ed il suo popolo.

In un contesto dominato dagli interessi, dal format del calciatore moderno, fatto di soldi, macchine costose e donne avvenenti, si fa una gran fatica a ricordare il significato della parola “bandiera”. Ma chi vive il calcio con gli occhi di un romantico che non si vuole rassegnare alla realtà del presente, a quella parola collega uomini, prima che calciatori, fedeli ad una maglia e ad una squadra, che il più delle volte rappresenta l’anima di una città intera. Chi vive il calcio con la passione del Tifoso vero, lontano da spranghe ed assalti alle tifoserie rivali, non può fare altro che ringraziare coloro che hanno dato significato a quella parola. Perché gli permettono di vivere prima, e raccontare poi, storie che vanno aldilà dei numeri. Quella del “Re Leone” e la sua Firenze è una di queste.

Arrivato come attaccante gracile, Batistuta, dopo le difficoltà iniziali, ha saputo trasformarsi in un attaccante devastante, capace di segnare con costanza disarmante. In 9 anni ha vissuto di conquiste individuali e di squadra, ma anche di sconfitte difficili da digerire. Si è più volte ritrovato a passare estati tormentate in cui l’unico argomento di una città intera era il suo possibile addio, in cui l’unica speranza era che rimanesse. In poco tempo è diventato il Capitano e il simbolo di una squadra dal cui andamento dipende da sempre l’umore di tutta la città. Ma, a dispetto di offerte e dichiarazioni, ogni volta in cui una decisione definitiva doveva essere presa, non c’era niente da fare. Il cuore vinceva e l’unica frase che Batigol continuava a pronunciare era “L’affetto di questa gente vale più di qualsiasi cifra e qualsiasi trofeo!”

È andata così per 9 lunghissimi anni. I tifosi sono sempre stati dalla sua parte. Erano legati a lui da un vero e proprio sentimento. Per lui hanno costruito una statua e riempito la curva con una gigantesca bandiera argentina. A lui hanno dedicato cori indimenticabili e associato esultanze ripetute talmente tante volte da diventare esclusive. Con lui hanno gioito e con lui hanno pianto.

Quel maledetto infortunio nell’anno del possibile scudetto. Quei gol decisivi contro la nemica Juventus. Quella tripletta, all’ultima partita con la 9 biancoviola e la fascia di capitano, che lo rese il primo per gol realizzati con quella squadra in serie A. E quella indimenticabile notte dell’Olimpico, col gol segnato con la maglia giallorossa proprio alla sua Fiorentina.

Un gol che lo ha fatto piangere insieme ai tifosi giunti dalla sua città. La città che ogniqualvolta sa della sua presenza si esalta. La città che è diventata la sua seconda casa. Perché lo ha visto arrivare cucciolo e crescere fino a diventare un leone. Il  suo Re Leone.

Leonardo Fiaschi

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