Alexander Romanovsky: la perfezione di un concerto

Finalmente, dopo tre anni di quasi assidua frequentazione dei concerti dell’Accademia Chigiana, mi assegnano un palco al primo ordine in una posizione fantastica. Il Teatro dei Rozzi, non proprio sold out, è stato un ottimo sfondo a un concerto peculiare sotto molti aspetti: innanzitutto, il programma prevedeva un solo brano, le 33 variazioni su un valzer di Diabelli di Beethoven; non era previsto un intervallo, perciò saremmo rimasti immobili in religioso silenzio per un’ora di fila; il pianista era Alexander Romanovsky, una figura «affascinante e sottile con una voce del tutto coinvolgente».

A differenza degli ultimi concerti ai quali ho partecipato non c’è stato un discorso introduttivo: sinceramente, ho apprezzato questa cosa, perché un conto è un’introduzione breve sul brano e il suo contesto storico per aiutare il pubblico a comprendere ciò che ascolterà, un altro è parlare per svariati minuti dell’importanza della Chigiana nel panorama culturale senese e italiano.

Probabilmente pecco di arroganza nel dire che è cosa risaputa: lo si capisce dalla totale assenza di eventi di musica classica alternativi alla Micat in Vertice, dal numero dei biglietti staccati e dal livello altissimo degli interpreti.


IL PROTAGONISTA

A proposito di ciò, conviene ricordare ai lettori chi è Alexander Romanovsky. Nato in Ucraina nel 1984, si trasferisce in Italia all’età di tredici anni per studiare all’Accademia Pianistica di Imola e vince il primo premio al prestigioso Concorso Busoni ad appena diciassette anni. Il suo talento lo ha portato a suonare in tutto il mondo e a incidere numerosi dischi; importante è anche il suo impegno nella promozione dei giovani talenti.

Alexander Romanovsky
Alexander Romanovsky

L’ESECUZIONE

A essere sincera la mia bassa soglia di attenzione era un po’ preoccupata all’idea di un programma composto da un solo brano senza interruzione; allo scorso concerto ho fatto molta fatica a seguire persino uno solo dei concerti di Beethoven.

L’esibizione di Romanovsky, sorprendentemente, mi ha tenuta con gli occhi incollati al palco. Le sue Variazioni erano un filo ininterrotto che ha riecheggiato nel silenzio assoluto della platea. La gestione dei piano e dei pianissimo è stata magistrale, come se le sue dita stessero sfiorando appena i tasti.

Per la prima volta in tre anni di Micat in Vertice ho desiderato che il concerto non finisse mai, tant’è che sono rimasta sorpresa quando Romanovsky ha abbassato le mani e si è alzato per ricevere gli applausi. Le mie preghiere sono state esaudite da tre bis, uno più bello e magico dell’altro; sono uscita dai Rozzi con un gran sorriso sulle labbra e la sensazione di aver assistito al miglior concerto in tre anni.

Alexander Romanovsky in concerto
Alexander Romanovsky in concerto

LA DISINVOLTURA DI ROMANOVSKY

Un altro fattore che ha contribuito alla bellezza del concerto è stata la presenza fisica di Romanovsky: i suoi gesti erano misurati, precisi, privi della teatralità caratteristica di troppi pianisti; si inchinava con leggerezza, sorridendo appena, ed entrava e usciva dal palco con la disinvoltura tipica di chi possiede una grande sicurezza.

Ha dimostrato di apprezzare il pubblico concedendo appunto tre bis, di cui due iniziati mentre venivano accese le luci di sala: come se Romanovsky avesse voluto trattenerci lì ancora un altro po’ in barba allo staff del teatro che invece voleva, giustamente, tornarsene a casa.

Non so se riuscirò ad assistere a un altro concerto della Micat in Vertice: purtroppo i miei giorni a Siena stanno per concludersi. A ogni modo, questo concerto è stata la degna chiusura di un ciclo sia dal punto di vista “professionale” che umano.


Federica Pisacane

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