Quando lavarsi diventa una questione di metodo

Il 23 Aprile, l’aula workshop del San Niccolò ha ospitato la lezione di Nunzio La Fauci dal titolo: “Jakobsòn e De Saussure: Linguisti da prendere sul serio” , organizzato dal  Centro Omar Calabrese .

Professore ordinario di Linguistica Italiana presso l’Università di Zurigo,  curatore del blog Apollonio Dioscolo, La Fauci non spiega riempiendo vasi ma piuttosto, come un piromane, appiccando fuochi. Con la sua relazione non ha riempito l’uditorio di dati e nozioni, ma ha messo in crisi e problematizzato conoscenze, in alcuni casi date per scontate, all’interno del mondo della linguistica: abbiamo conosciuto un De Saussure e uno Jakobsòn meno famosi, ma che hanno, certamente, incuriosito tutti i presenti, dagli addetti ai lavori a coloro che, come me, erano dei semplici intrusi.

È stato tratteggiato un De Saussure fallito. Rifiutato dalla figlia di un banchiere che intendeva sposare e costretto ad andarsene dall’ Università di Parigi nella quale voleva insegnare riesce, soltanto negli ultimi anni della sua vita, a ottenere una cattedra di Linguistica generale presso l’Università di Ginevra. Il padre dello strutturalismo non è stato, secondo il professore, interpretato sempre in maniera coerente al suo pensiero. Esemplare è il caso del principio dell’arbitrarietà del segno: alcuni spiegano tale arbitrarietà considerando che non c’è nulla di necessario e determinato per cui un cavallo debba essere definito con la parola cavallo. In questo modo la lingua viene spiegata attraverso la sua relazione con la realtà e non è ciò che dice De Saussure per cui l’arbitrarietà non riguarda il rapporto fra la lingua e la realtà, ma riguarda la funzione segnica, ovvero la relazione fra significanti e significato. Il significato è arbitrario rispetto al significante, ma ciò non interessa il parlante, non interessa la realtà. Per lui la realtà non è pertinente per spiegare la lingua.

A differenza di De Saussure, il Jakobsòn di La Fausi non era un fallito, ma un seduttore, un affascinante quindicenne che chiacchierava con Malinovskij, un personaggio fondamentale per cultura del novecento, il padre del funzionalismo. Di questo Jakobsòn sono due i concetti  che bisogna portare con sé : il concetto di funzione e quello della marcatura. Che cos’è una funzione?  Funzione è un termine pericoloso, perché può essere usato in maniera banale ed ambigua. Jakobsòn userebbe tale concetto per individuare all’interno della lingua sia delle dinamiche finalistiche sia delle dinamiche relazionali. Nel primo caso la parola funzione corrisponderebbe alla domanda “a che serve?” e risulterebbe molto pericolosa perché dietro tale domanda c’è sempre un soggetto trascendente a cui serve quella particolare dinamica linguistica. La Fauci sostiene che il concetto di funzione risulta molto più utile nella sua accezione relazionale, per il fatto che la lingua, come diceva De Saussure, non è fatta di cose ma soltanto di relazioni e differenze.
Se con il concetto di funzione il linguista può individuare le relazioni di cui la lingua è fatta con quello di marcatura può descrivere le differenze. Nella lingua le opposizioni non si esprimono con il rapporto fra  due elementi completamente diversi (rapporto A vs B), ma fra l’assenza o la presenza di uno stesso elemento (rapporto A vs non A).

Durante la sua lezione il professor La Fauci, con i concetti di arbitrarietà del segno, di funzione e di marcatura e di molti altri ancora ha generosamente consegnato a noi degli strumenti per osservare la contemporaneità attraverso la lente della linguistica.
Ma non si è limitato ad elargire strumenti. A tutti coloro che vogliono far parte del favoloso mondo della Linguistica prescrive una regola metodologica: “La linguistica è una piscina, prima di entrare è necessario fare la doccia”. Bisogna lavarsi dalle norme, dai dogmatismi, da ciò che è giusto e da ciò che è sbagliato, per poter criticamente analizzare un oggetto, quello della lingua, che è parte integrante del nostro vivere quotidiano.

 

Roberta Grazia Leotta

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