PURITY- ALLA RICERCA DELLA PUREZZA PERDUTA

Approcciarsi a uno scrittore quale Jonathan Franzen, che gode della fama internazionale di autore americano tra i migliori al mondo, e al suo Purity, di certo è un’impresa molto più complessa di quella che mi aspettassi mentre mi lasciavo incuriosire dalla candida copertina del suo ultimo best-seller appoggiato sugli scaffali più alti e più in vista delle librerie.

Jonathan Franzen è una sfida, e nemmeno di quelle piacevoli o intriganti: è faticoso, arduo, e la prima sensazione a caldo nel leggerlo, almeno per quello che mi riguarda, è quasi quella di rigetto o fastidio. Il suo (quinto) romanzo è un’intersezione; un gioco di scatole cinesi all’apparenza assolutamente disorganico e cinicamente irriverente; un intreccio ai limiti della più ordinata e rigida schizofrenia; un’accozzaglia di personaggi con problemi mentali più o meno gravi, figure di emarginati e guru di Internet, di contesti storici rivisitati e genitori incapaci e problematici.

La “purezza” del titolo non è solo l’ovvio riferimento al nome della protagonista, ma soprattutto, com’è chiaramente intuibile sin dalle prime pagine e dallo stile scabro dell’intero libro, l’utopia (e mi sia concesso, anche il clichè) di una purezza assoluta e irraggiungibile, cercata a tentoni dai protagonisti ma di cui non si conoscono nemmeno i tratti fondamentali.

Anche per un neofita dei suoi romanzi Franzen è un autore tanto, forse troppo ingombrante; lussurioso e insieme frigido con l’enorme carico della sua composizione. Ce l’ha un po’ con tutti ma non è veramente chiaro il suo obiettivo: ci parla sprezzatamente dell’alta società americana, dei suoi intrallazzi politici, di Wikileaks e del mondo che gira intorno ad esso; tratteggia un irriducibile passato da guerra fredda della Germania e  un, in fondo, incrollabile (almeno nell’immaginario collettivo) muro di Berlino; ci racconta senza mezzi termini della spietatezza e miseria dell’universo giornalistico e di un femminismo insensato, ma tutto questo non è altro che un macabro e irriducibile vortice intorno alla semplice, piccola storia di una ventitreenne in difficoltà.

La giovane Purity (detta Pip) ha 130.000 dollari di debito con l’università, vive in un appartamento occupato a Oakland, in California, e sopporta la mamma psicolabile che ha tagliato i ponti con la famiglia e che non vuole nemmeno rivelargli il suo vero nome o chi sia suo padre. La giovane vorrebbe emanciparsi dall’eredità asfissiante degli Anni 60 e ritrovare il papà e dunque cerca aiuto, a modo suo, in Andreas Wolf, a capo del Sunlight Project, una sorta di Wikileaks.

Purity combatte probabilmente per cercare la cosa più simile che possa trovare a un significato per la sua vita, e in fondo è l’unica cosa che sta a cuore anche al lettore che si immerga in questa immensa e multiforme narrazione.

Franzen gioca col tempo, con lo spazio, con i punti di vista dei personaggi (dalla prima alla terza persona da una parte all’altra delle sei di cui si compone il libro), lasciando il “lavoro sporco” di ricongiungimento dei pezzi del puzzle all’affaticato lettore; non si preoccupa del peso quasi asfissiante del suo lavoro certosino, ma anzi ne fa un suo vanto.

A costo di rischiare di inimicarmi i suoi fan in tutto il mondo, non posso non dire che lo scrittore americano pur riuscendo a produrre un’opera indubbiamente poderosa e complessa, pecca di sommessa vanagloria: sa come evitare di essere roboante e pomposo, ma le fondamenta stesse del suo progetto letterario denunciano chiaramente una sua forma di boria (probabilmente indissolubilmente legata alla sua genialità- in questo gli concedo il beneficio del dubbio-) non estinguibile, e soprattutto non distinguibile da Franzen stesso come autore e soprattutto come figura pubblica. Il fatto di essere considerato tra i migliori scrittori americani viventi non gioca, nella mia visione delle cose, a suo favore: è un grave fardello, e non un lusso, e forse rappresenta uno dei suoi principali problemi.

Leggete Purity dunque solo se vi sentite fisicamente e mentalmente pronti; se amate le sfide letterarie e siete disposti a impiegare tutta la vostra attenzione a un romanzo che può essere sicuramente dibattuto, ma che certo non può lasciare indifferenti.

Jonathan Franzen, (Western Springs, 17 agosto 1959) è uno scrittore e saggista statunitense. Tra le sue opere più famose “Le correzioni” (2002) e “Libertà” (2010)

 

Rossella Miccichè

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