Outlast – Coraggio ne avete?

Bisogna essere onesti nella vita, si sa. Soprattutto quando c’è bisogno di riconoscere i propri limiti. Ed io, per almeno tre lunghissimi anni, ho avuto un grosso limite. Il mio problema deriva da un prodotto della casa di sviluppo Red Barrels che, una notte di tanti anni fa, ha rapito la mia curiosità e mi ha trascinato in una spirale piena zeppa di ansie e paure che ancora adesso, dopo anni, si ripresentano e bussano alla porta. Si, stiamo parlando di Outlast.

Quella notte di novembre, ho capito che il mio più grande limite era il coraggio e che Outlast per me, in quel momento storico, rappresentava l’Everest. La scalata a questo gioco parte come detto una notte di novembre, mi trovavo da solo sul divano di casa, con il mio fidato computer (palla di neve) a tenermi compagnia. Stavo navigando nell’internet più recondito, quando la mia attenzione si posò su un’anteprima Youtube.
La descrizione era povera di contenuti e quindi, per saziare la mia famelica curiosità, fui costretto ad aprire ciò che poi definii come il mio personale vaso di Pandora. Il video non riuscì a saziare quel brontolio che proveniva dal mio stomaco, era solo un breve trailer di qualche minuto dove si vedeva poco e niente. Dovevo saperne di più. Dopo qualche minuto, finalmente, Google riuscì a “dissetarmi” e mi fornì tutte le informazioni che cercavo. Da quello che lessi, riuscii a capire che c’erano tutti gli elementi per un capolavoro.

La storia è ambientata ai giorni nostri e il palcoscenico di questo racconto è un ospedale psichiatrico i cui pazienti sono gestiti dalla Murkoff Corporation. Il protagonista di questa vicenda è Miles Upshur, giornalista d’inchiesta che un bel giorno si ritrova nella sua posta una mail dove gli viene suggerito di indagare proprio nel manicomio gestito dalla Murkoff Corp per le misteriose attività che si celano all’ interno di Mount Massive. A tutto questo si aggiunge una modalità di gameplay eccezionale; infatti la visione in prima persona è arricchita da innumerevoli elementi che fanno spiccare Outlast tra tutti. Gli oggetti con cui si può interagire sono limitati. Quelli che si possono ritenere fondamentali sono la fidata telecamera, che ci illuminerà nei passaggi più bui del gioco, le batterie che saranno vitali per tener la telecamera accesa e quindi non farci navigare nel buio più profondo ed infine i documenti che saranno importanti per riuscire a capire meglio cosa accade in quel maledetto manicomio. Beh, cosa dire, aveva tutti i punti per esser un gioco da 110 e lode.

Lo feci immediatamente mio, grazie a Steam e in quel momento pensai di esser la persona più felice al mondo, ma non sapevo a cosa stessi andando incontro. Mi sentivo euforico, ma prima di iniziare era necessario prendere l’ultimo elemento che in un Survival Horror è fondamentale: le cuffie. Una volta pronto mi pentii immediatamente di quest’ultima scelta, infatti la musichetta del menu già mi terrorizzava, ma ormai il danno era fatto, potevo solo andar avanti. Il cuore si fermò quando capii che non potevo combattere i miei nemici, non potevo far nulla se non avere tre possibilità correre, nascondermi… o morire!

Anche se ero ancora sicuro dei miei mezzi, il cervello mi suggerì di impostare la difficoltà su facile, ma non cambiò molto l’esito finale. Si parte, il cuore inizia ad accelerare, capisco immediatamente che sarà dura quando mi vedo catapultato in una jeep, nel buio più totale, circondato da un bosco fittissimo, su una strada sterrata, che non finisce mai. Dopo una serie di curve, ci siamo, il cancello dell’istituto Mount Massive si apre. Una volta presa confidenza con la videocamera e letti gli ultimi documenti, scendo dalla macchina e mi incammino verso l’edifico, che da lì a poco diventerà la mia prigione. La porta d’ingresso è sbarrata quindi cerco un’altra soluzione e dopo una serie di arrampicate stile Parkour, riesco finalmente ad entrare all’interno del manicomio, grazie ad una finestra.

Dentro regna il caos più totale, ci sono segni inequivocabili che qualcosa è andato storto e che forse quello lì non era un semplice manicomio. Mi incammino nei corridoi e subito vengo colto da una fitta al cuore. Una delle porte sulla mia sinistra, inspiegabilmente, si chiude. Rimango pietrificato, so che non posso tornare indietro e che quindi l’unica soluzione è proseguire, ma una parte del mio coraggio, in quel momento, ha già fatto le valigie. Mi faccio forza e vado avanti, arrivo alla fine del corridoio in una stanza dove un condotto di aerazione mi sta aspettando. La musica inizia ad incalzare, capisco che devo essere veloce perché sta per succedere qualcosa.

Nonostante il sangue che circonda l’ingresso del condotto di aerazione, so che quella è la mia unica alternativa. Mi ci fiondo e proprio quando il mio battito cardiaco torna a viaggiare su ritmi accettabili, eccolo lì il primo jumpscare, che mi colpisce alle spalle. Dalla grata del condotto di aerazione si scorge una figura umana (che di umano però non ha nulla) che irrompe nella stanza e dopo un rapido controllo, esce repentinamente. Quello per me è stato il punto di non ritorno.

Tutta la mia voglia di giocare, tutto il coraggio che avevo messo da parte per poter affrontare quest’avventura, svaniti dopo esattamente cinque minuti di gioco. Spensi tutto e mi promisi di non provarci mai più.  Ogni volta che vedevo l’icona sul desktop del mio portatile, rabbrividivo e ripensavo subito a quel momento. Questo “disturbo” mi ha accompagnato per tanto tempo e non nego che per qualche breve periodo avevo anche difficoltà a percorrere il corridoio di casa.

Ecco, ho deciso di raccontarvi questa breve storia perche Outlast non è il tipico gioco horror. Giocherà con le vostre ansie, conviverà con le vostre paure, sarà subdolo e inaspettato, vi prenderà e vi ribalterà come un calzino. Solo un tipo di persone riuscirà a sopravvivere e a terminare quest’avventura malata, persone che hanno ciò che Outlast mi ha tolto dopo pochi minuti: coraggio. Voi ne avete? …. Io vi ho avvisato.

Alessandro Isidori

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