Numero chiuso a Medicina: ci sarà o no?


È ufficiale: il numero chiuso a Medicina è stato tolto.

O forse no.

Il caos dei test di accesso


Lunedì è stata lanciata la bomba. Abolizione del numero chiuso a Medicina, con tutte le ovvie conseguenze del caso, come aumento del numero degli iscritti e conseguente aumento del numero di laureati da inserire nel mondo del lavoro. Mancano medici e ingegneri, praticamente, e la soluzione sarebbe appunto quella di permettere l’accesso universitario a chiunque.

 

Analizziamo prima la situazione precedente la manovra. Quest’anno, ad esempio, si sono presentati 67mila candidati per 10mila posti: una scrematura già di per sé molto significativa. Il vero freno all’occupazione, però, è il numero insufficiente di borse di studio per le scuole di specializzazione, necessarie al giovane medico che vuole partecipare a un concorso pubblico. Sempre quest’anno sono state bandite 7mila borse di studio.

Per fare un confronto, sono 8mila i medici andati in pensione e 10mila i nuovi laureati. Un numero di borse insufficiente, che costringe migliaia di studenti a aspettare, rinunciare o andare all’estero. Togliere il test d’accesso a Medicina significherebbe aumentare il numero di studenti in concorso per lo stesso numero di borse. Una strage, in pratica.

Ma c’è di più. Questa decisione è stata immediatamente avversata dalle Università. Un maggior numero di studenti implica delle conseguenze a valanga: servono più aule, più laboratori, più corsi, più docenti, con conseguente aumento delle spese che, almeno per ora, non possono essere assolutamente coperte. Al di là delle becere polemiche politiche, che si attaccano a qualsiasi cosa pur di screditare l’avversario, questa storia del numero chiuso a Medicina preoccupa, sconcerta e lascia perplessi.

 

Numero chiuso: il ministro dell’istruzione non ne sa nulla.

Poi, la svolta: il ministro dell’Istruzione Bussetti dice di “non saperne niente”. Come può un ministro non sapere di cosa si stia parlando, quando il provvedimento riguarda direttamente un suo organo di competenza? L’annuncio, semplicemente, è stato dato troppo in fretta, erroneamente. Non sono state valutate le conseguenze, dell’idea stessa, l’impatto che potrebbe avere sull’opinione pubblica.

Un’altra motivazione, apparentemente un po’ banale e stereotipata ma ben radicata nel pensiero comune, data a questa idea è che servono più laureati in Medicina e Ingegneria che in Lettere, per esempio. Quindi sarebbe opportuno togliere il numero chiuso da una parte e metterlo dall’altra. Questa ragione si basa su un luogo comune antichissimo, che vede le facoltà scientifiche come più utili e produttive di quelle umanistiche.

Non è questo il luogo per discutere di quest’opinione. Cito in merito una frase da L’attimo fuggente, che probabilmente ho già usato in altri contesti e che chiunque mi conosca ha già sentito fino alla noia: «Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita».

Mentre cerchiamo di capirci qualcosa da questo gran marasma di opinioni, polemiche, accuse e via discorrendo sono state proposte svariate alternative a questo famigerato numero chiuso: una selezione al primo anno basata sui CFU, su modello francese; una scrematura basata su un test delle vere competenze (quali?) che non preclude comunque l’accesso; una preparazione che parta addirittura dalle scuole, andando a gravare ulteriormente su un sistema scolastico già pieno di responsabilità e di obblighi. Chi più ne ha più ne metta.

Noi rimaniamo in attesa di qualsiasi sviluppo e vorremmo, informalmente, far partire un dibattito. Fateci sapere cosa ne pensate, cosa vorreste dire, cosa non vorreste dire. Fatevi sentire, perché dobbiamo abituarci, come studenti ma soprattutto come cittadini, a formarci un’opinione e a esprimerla in maniera civile.

Fonti: Corriere della Sera, La Repubblica, Il Post


Federica Pisacane.

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